di Michele Mezza (huffingtonpost.it, 19 maggio 2022)
Se nella guerra in Ucraina la Rete è stata un’infrastruttura fondamentale per la resistenza contro i russi, nel dopoguerra rischia di diventare una gabbia micidiale per le democrazie dell’Occidente. La balcanizzazione di Internet, conseguenza del conflitto Est/Ovest, che ha rotto l’universalità delle connessioni, riducendo il sistema digitale a un’Intranet euro-americana, sta spingendo i gruppi della Silicon Valley a ridisegnare i propri modelli di business. Facebook sta diventando il mercato della comunicazione commerciale, spingendo verso il suo metaverso milioni di piccole e medie imprese. Google si propone come re intermediatore del sistema dell’informazione, diventando la rassegna news globale, integrando nella profilazione dei suoi milioni di utenti il flusso delle news della carta stampata.
Elon Musk, proprietario della Tesla e della flotta satellitare SpaceX, oltre che di avanzati sistemi di automatizzazione della scrittura e della selezione dei contenuti, con l’acquisto di Twitter, che sta ora cercando di far digerire ai suoi sospettosi clienti, fingendo di non poter procedere al take over, sfonda i limiti delle piattaforme e si candida direttamente a fare il king maker della politica in Occidente. Con un esplicito tweet nella giornata del 18 maggio, l’uomo più ricco del mondo ha rotto il feeling fra il mondo digitale e i democratici annunciando che sarà da oggi al fianco dei repubblicani per strappare la Casa Bianca a Biden. Nei giorni scorsi, con un gocciolamento lento e sapiente, Musk aveva sistemato anche i conti in casa del Old Party, spiegando che Trump è impresentabile perfino quando ha ragione. Siamo alla soglia di un peronismo tecnologico in cui un miliardario, grazie a una potenza di calcolo che gli permette di profilare miliardi di individui per arti e mestieri, si lancia direttamente nella conquista delle istituzioni.
Difficilmente Musk sarà in campo direttamente, ma ambirà ad essere il king maker prima degli Usa e, successivamente, delle altre istituzioni occidentali, per poi dirigere il riassetto del pianeta con accordi con le potenze orientali, come ha già sperimentato con gli spezzoni del suo impero industriale. A questo punto la Rete diventa non più un’ossessione per tecnofobici o ossessionati dagli algoritmi, ma si propone come una spada di Damocle su tutto il mondo democratico. Diventa terribilmente incombente la visione di Shoshana Zuboff, che nel suo saggio Il capitalismo della sorveglianza (Luiss University Press) spiegava che i grandi monopolisti della Rete “sanno troppo per essere liberi”.
Non è un incubo, ma cronaca corrente la possibilità di controllare oggi ogni singola emozione di ogni singolo utente delle grandi piattaforme digitali. Ci sono gli strumenti, le pratiche e gli stimoli per rendere inconsapevole e globale questo controllo. Amazon lo pratica quotidianamente con i suoi due miliardi di clienti. Google lo ha standardizzato da anni, combinando per ogni sua query la risposta più adatta e performante per ogni individuo. Elon Musk deve solo combinare le pratiche commerciali con le ambizioni neurali per arrivare a globalizzare quel minuscolo laboratorio che era stato Cambridge Analytica.
Tocca ora alle istituzioni difendere l’opinione pubblica e le comunità di cittadini. L’Europa ha già fatto qualche passo con i nuovi regolamenti del Digital Service Act e del Digital Market Act, che mettono sotto controllo la discrezionalità dei proprietari rispetto agli algoritmi. L’attuale maggioranza americana, proprio nel pieno della guerra contro gli autocrati russi, deve dire da che parte sta: difende la lobby della Silicon Valley che punta al controllo del Paese, o deve ritrovare lo spirito antitrust che in passato ha permesso alla democrazia statunitense di ridimensionare il potere economico oltre il recinto della sovversione?