Il governo indiano mette Bollywood nel mirino

(The Economist / internazionale.it, 8 novembre 2021)

Se Bollywood è la religione secolare dell’India, allora Aamir Khan, Salman Khan e Shah Rukh Khan sono la sua sacra trinità. I tre attori, che non sono imparentati tra loro, sono stati per trent’anni ai vertici dell’industria cinematografica indiana in lingua Hindi. Con i loro film, i loro personaggi e le loro figure hanno costruito l’immaginario del Paese. Insieme al primo ministro e al capitano della squadra nazionale di cricket, sono forse i volti più riconoscibili dell’India. Casualmente, sono anche musulmani. Per la maggior parte degli indiani, sempre che ci pensino, è un motivo di orgoglio: la fama dei Khan è un segnale del tollerante secolarismo del Paese.

Ph. Frédéric Soltan / Corbis – Getty Images

Invece ai nazionalisti indù, ben rappresentati dal governo del primo ministro Narendra Modi e dal suo Bharatiya Janata Party (Bjp), questo fatto non va giù. Negli ultimi anni tutti e tre gli attori hanno ricevuto critiche da importanti esponenti del Bjp, oltre al solito invito ad “andarsene in Pakistan”. La cosa strana però è che, dopo essersela presa con personaggi minori e produttori meno noti, l’attacco del governo contro Bollywood ha colpito i vertici del settore.

Il 3 ottobre il dipartimento per il controllo dei narcotici, un corpo di polizia nazionale, ha arrestato numerose persone in una retata antidroga a bordo di una nave da crociera al largo della costa di Mumbai, dove ha sede gran parte dell’industria. Tra le persone arrestate c’era anche Aryan Khan, figlio di 23 anni di Shah Rukh Khan, probabilmente l’attore più amato dei tre. La polizia antidroga ha dichiarato di aver sequestrato grandi quantitativi di sostanze stupefacenti, anche se poi ha ammesso di non aver trovato niente addosso ad Aryan. Tuttavia, il giovane è stato sottoposto a custodia cautelare e fino al 28 ottobre gli è stata negata la cauzione che invece era stata concessa ad altri. I canali tv hanno dato alla storia la massima copertura e i politici di tutto il Paese hanno espresso la loro opinione.

Tutta la storia suona familiare. Nel 2020, mentre i casi di Covid-19 aumentavano e il Bjp si preparava alle elezioni nel poverissimo Stato orientale del Bihar, il giovane attore Sushant Singh Rajput, originario dello Stato, si è suicidato a Mumbai. Le tv filogovernative, cioè la maggioranza, hanno mandato in onda servizi isterici sulla cultura della droga di Bollywood e hanno accusato Rhea Chakraborty, la ragazza della vittima, di averlo intrappolato con il demone della marijuana. Chakraborty è stata arrestata dalla polizia antidroga e ha trascorso un mese in carcere prima di uscire su cauzione.

Ora è l’Uttar Pradesh a essere in attesa di elezioni (si voterà nel marzo del 2022). La campagna del Bjp ha diffuso la sua versione di una insensata trama bollywoodiana descrivendo lo Stato, uno dei più arretrati dell’India, come un faro luminoso per il resto del Paese. Visto che difficilmente funzionerà, il partito sta anche ricorrendo alla solita strategia di fomentare le tensioni. Il circo attorno all’arresto di Aryan Khan è un sequel del dramma dello scorso anno. Il fatto che questa volta il bersaglio sia musulmano è un valore aggiunto. L’attacco a Bollywood è per il Bjp fonte di importanti benefici, non ultimo quello di dare fastidio al governo del Maharashtra, il ricco Stato occidentale di cui Mumbai è capitale. L’antipatia risale al 2019, quando il partito locale dello Shiv Sena, anch’esso filoindù, ha rotto l’alleanza di lunga data con il Bjp. Modi e i suoi accoliti non hanno mai perdonato gli alleati di un tempo.

L’attacco del Bjp a Bollywood ha però ragioni più profonde rispetto alla propaganda elettorale, ai risultati politici o alla pura e semplice gioia nel prendersela con i musulmani. Da quando è arrivato al potere nel 2014, il Bjp ha demolito l’opposizione nazionale, cooptato istituzioni indipendenti, addomesticato la stampa indiana un tempo vivacissima e ostacolato la libertà di espressione. Il partito sta costruendo intorno alla figura di Modi un culto della personalità da cartone animato, stampando la sua immagine su qualsiasi oggetto, dai sacchi di riso dei sussidi governativi ai certificati di vaccinazione contro il Covid-19.

Bollywood potrebbe essere l’ultima fonte di pensiero indipendente dell’India. È intrinsecamente patriottica, le sue superstar sono quasi tutte apolitiche e, dopo gli ultimi eventi, gran parte dei suoi esponenti ha il terrore di dire qualsiasi cosa possa attirare l’attenzione di New Delhi. Questo, però, non basta. Il fatto che nei suoi film indù, musulmani e indiani di ogni genere vadano d’accordo tra loro, che si affrontino problemi di ingiustizia sociale e che i personaggi e le persone che li interpretano abbiano valori liberali, è una minaccia troppo grande per l’angusta visione di una nazione indù diffusa da Modi. Se far sì che gli indiani s’immaginino solo nei termini dettati dal Bjp significa distruggere uno dei successi culturali e commerciali più importanti del Paese, è un prezzo che il partito e il suo primo ministro sembrano disposti a pagare.

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