di Marta Allevato (agi.it, 20 gennaio 2024)
A cento anni dalla sua morte, annunciata il 21 gennaio 1924, il fantasma di Lenin continua ad aleggiare sulla Russia e spaventa persino Vladimir Putin. Ne è convinto Gian Piero Piretto, già docente di Cultura russa alla Statale di Milano, che alla morte e alle esequie del padre della Rivoluzione d’Ottobre ha dedicato uno dei primi capitoli del suo recente saggio L’ultimo spettacolo (Raffaello Cortina Editore), dedicato ai funerali sovietici che hanno fatto la Storia.
«Putin già da diversi anni ha segnalato disagio nei confronti della figura di Lenin e della stessa Rivoluzione del 1917», ricorda Piretto, portando come ultimo esempio la parata del V-Day del 9 maggio scorso sulla Piazza Rossa, quando il mausoleo dov’è esposta la salma imbalsamata di Lenin è stato nascosto da un’impalcatura dipinta con i colori della bandiera russa e le date della guerra contro il nazismo. Putin «fa finta che lì sotto non ci sia niente, come se decenni di storia e iconografie non avessero lasciato nella memoria collettiva dei russi ben chiara l’immagine del mausoleo di Lenin!».
Concentrato sulla riabilitazione di Stalin, per proporre la Russia di oggi come erede diretta di chi sconfisse il nazismo in Europa, Putin guarda a Lenin non come uno statista ma come un rivoluzionario. Lo ha ammesso lo stesso leader del Cremlino, che gli imputa addirittura l’attuale crisi con l’Ucraina per il fatto di aver spartito in modo sbagliato i territori del vasto impero sovietico e aver concesso troppa libertà ai gruppi etnici.
Nonostante le critiche aperte e i tentativi di far scivolare nel dimenticatoio l’eredità di Lenin, Putin non ha mai osato toccare il «cadavere vivente» sulla Piazza Rossa, di cui la Chiesa ortodossa e il 57% dei russi – secondo i sondaggi – chiedono la sepoltura. «Il fantasma di Lenin esiste», dichiara Piretto, «anche se il presidente russo fa di tutto per farlo dimenticare, nessuno ha il coraggio di prendersi la responsabilità di fronte al mondo, non solo ai russi, di rimuoverlo dal mausoleo». A quel punto, «bisognerebbe smantellare tutta la Necropoli che si trova alle sue spalle, sotto le mura del Cremlino, dov’è sepolto anche Stalin. È una responsabilità tale che fa paura anche al coraggiosissimo Putin».
Con molteplici rimandi iconografici e bibliografici, frutto di un’approfondita ricerca, nel suo saggio Piretto punta l’attenzione sul senso di sconforto e spaesamento che colse tutto il Paese alla notizia della morte di Lenin e sull’immediata operazione fatta dagli ideologi del tempo per santificare Vadimir Il’ic Ulianov. «L’Unione Sovietica era nata da un paio d’anni» spiega Piretto, «era uno Stato ancora molto giovane e non poteva permettersi di perdere il suo padre fondatore. Lenin era, in realtà, già morto: una serie di ictus lo aveva relegato alla residenza di Gorki, nella periferia moscovita, ma idealmente continuava ancora a esistere. Nel momento, in cui si sa della sua scomparsa il Paese crolla nella disperazione ed è immediata la reazione per costruire la sua immortalità», prosegue. «Lenin corpo umano viene a mancare ma Il’ic, il suo patronimico, diventa una specie di divinità che continua a vivere insieme alla sua causa».
La morte di Stalin, che guidò l’Urss dal 1922 al 1953, ha invece visto il Paese attanagliato dalla commozione. «Nessuno credeva che Stalin potesse morire: Lenin era un essere umano divinizzato post mortem, ma con Stalin era come se fosse morto Dio. Da qui l’incredulità e la disperazione, dalle testimonianze del tempo emerge che nessuno riesce a trattenere le lacrime». Di questi riti di massa che furono i funerali dei leader sovietici, la Russia di Putin rispolvera quello che Piretto definisce «il kitsch totalitario» nelle celebrazioni pubbliche del potere: in una sorta di «operetta», conclude Piretto, «si ripescano quegli aspetti più oleografici e più presenti nella memoria collettiva, dai costumi alle canzoni, la musica e i balli, puntando su emozioni facili da condividere da cui ogni sottotesto traumatico di quell’epoca viene cancellato per far piazza pulita della problematicità e rimandare l’immagine di un bel mondo tipo Disneyland, in cui tutti sorridono e le parole d’ordine sono ottimismo e stabilità, gli slogan del putinismo».