di Giovanni Battistuzzi (ilfoglio.it, 5 febbraio 2024)
Quando nel 1990 Riccardo Albini s’inventò il Fantacalcio, portando in Italia, e adattandolo al calcio, uno dei passatempi degli appassionati di football americano, il Fantasy Football, difficilmente si sarebbe immaginato che una gran parte degli italiani avrebbe un giorno fantasizzato quasi ogni cosa dello sport. Esistono il fantabasket, diversi tipi di fantaciclismo, il fantavolley. Ogni sport ha più o meno una sua fantasizzazione. E non solo lo sport.
Da quattro anni c’è pure il FantaSanremo, perché lo sport preferito degli italiani è guardare le competizioni dal divano e non c’è competizione più nazionalpopolare che il Festival di Sanremo. Di anno in anno gli appassionati si moltiplicano, e quello che era un passatempo per pochi è diventata una passione di molti, capace di portare davanti alla televisione anche chi alla kermesse canora non s’era mai interessato. D’altra parte l’Italia è pur sempre il Paese dei milioni di allenatori, delle chiacchiere serissime su questioni inutili come la posizione in campo di un tal giocatore, il minutaggio di un altro o l’analisi dettagliatissima di qualsiasi decisione presa da uno sciagurato uomo seduto su di una panchina del campionato italiano.
Umberto Eco spiegò come «in un Paese che per anni si è illuso di essere centrale per le sorti del mondo intero, […] l’italiano ha iniziato a credere di non poter non essere protagonista in tutto quello che accade». Eco si riferiva ad altro, al protagonismo di una certa parte, parecchio minoritaria, della vita della Sinistra. Ma il ragionamento può essere esteso benissimo allo sport e a tutti i grandi eventi che occupano i discorsi degli italiani. E tra questi c’è sempre Sanremo, il Festival che tutti dicono di non guardare ma che poi anno dopo anno fa record di share.
La moltiplicazione degli adepti del FantaSanremo è parte di questo protagonismo. Solo che mentre nel calcio e negli altri sport la fantasizzazione è qualcosa che riguarda solo i fantallenatori – a tal punto che c’è chi ha deciso di mollare tutto questo perché ormai diventato un qualcosa capace di rovinare pure la visione delle partite, a causa del conflitto tra il tifo per una squadra e i giocatori che si schierano (che magari giocano contro la squadra per cui si fa il tifo) –, nel FantaSanremo questa ha acceso il protagonismo anche degli artisti in gara, volenterosi di far guadagnare qualche punto in più a chi ha scommesso su di loro, magari dicendo qualcosa che assegna un bonus. Il tripudio del narcisismo.
Perché nel FantaSanremo, oltre alla posizione in classifica – come accade nel fantaciclismo –, fa punteggio anche ciò che si dice e si fa. E si finisce col non capire più niente tra cosa è il Festival e cosa è la sua fantasizzazione. Poco male, in fondo. Soprattutto per Amadeus e per la Rai, adepti wildiani del «c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé».