Il ducetto postmoderno

di Paolo Ercolani (lurtodelpensiero.blogautore.espresso.repubblica.it, 22 agosto 2019)

A più persone dovrebbe sorgere il dubbio di essersi talmente concentrate sulle sciocchezze elargite da Salvini a piene mani, alcune delle quali sicuramente gravi, da averne ignorato il dato sostanziale di fondo: l’inconsistenza culturale e politica. Fra balli sfrenati in spiaggia, felpe sbarazzine, divise improbabili ed espliciti ammiccamenti all’armamentario della simbologia fascista (e mafiosa), infatti, è passato in secondo piano il fatto che ci troviamo di fronte a un furbissimo ragazzo di oltre quarant’anni che, piaccia o meno, è però del tutto inadeguato a recitare qualsiasi ruolo di primo piano nella guida di un Paese come l’Italia.

Giacomo Licata via Facebook
Giacomo Licata via Facebook

Ancor di più in uno scenario che, in mezzo a conflitti geopolitici internazionali e conflitti economici globali, richiederebbe statisti in possesso di una solida cultura istituzionale e costituzionale, oltre che di una visione del “sistema Paese” che si intende costruire. Il dubbio atroce, che a dire il vero rappresenta ben più di un dubbio, consiste nel fatto che una tale incapacità di concentrarsi sul dato di fondo possa derivare da un’inconsistenza culturale che ormai pervade tutto lo scenario degli attori e degli analisti politici, andando ben oltre la non trascurabile (in termini di consenso) figura del pessimo Salvini. Certo, costui è stato da più parti innalzato ad astro nascente della politica italiana, a uomo forte, finalmente in grado di difendere l’interesse nazionale e di eliminare con vigore gli elementi (rigorosamente esterni: immigrati, poteri finanziari, Europa etc.) che secondo lui minano quello stesso interesse.

In realtà, lo abbiamo visto specialmente in questa vicenda grottesca e dannosa della crisi augustana, l’aspirante Duce della rinascente sovranità nazionale si è rivelato piuttosto un ducetto postmoderno. Filosoficamente parlando e molto semplificando, il postmoderno ha rappresentato un indebolimento generalizzato delle categorie più forti: l’Io, la conoscenza, le ideologie, la realtà dei fatti («i fatti non esistono, esistono solo interpretazioni», scriveva Nietzsche) etc. In questo senso, il ducetto postmoderno ne rappresenta la perfetta incarnazione umana: furbissimo, scaltro ed efficace nella comunicazione, quasi insuperabile nella tattica di corto respiro, ma in buona sostanza privo delle qualità “forti” che invece dovrebbe possedere uno statista politico degno di questo nome. Che sono specularmente contrarie a quelle del ducetto postmoderno: intelligenza e buon senso (prima della furbizia), un bagaglio concreto di cultura politica e sostanza programmatica (prima dell’efficacia comunicativa e della confusione ideologica ad uso proprio), una visione strategica del futuro e di come inserirvi in maniera virtuosa il proprio Paese (prima della tattica del giorno per giorno).

Il dubbio, però, come dicevo poco sopra, è che alla manifesta inadeguatezza del furbissimo ducetto postmoderno se ne aggiungano altre due che riguardano gli altri attori dello sconfortante scenario italiano. Da una parte quella di coloro che, analisti e protagonisti politici dell’opposizione, non sono riusciti a fare altro che concentrarsi sugli elementi provocatori e superficiali del “personaggio” Salvini, finendo soltanto con l’accrescere il consenso di costui nella misura in cui il popolo italiano si sentiva irritato da una “sinistra” che gridava al “fascismo” farsesco del leader della Lega, in totale assenza di idee e programmi concreti e alternativi rispetto al “fascismo” finanziario che sta martoriando la qualità della vita di individui e famiglie. Dall’altra parte, quella che forse è l’inadeguatezza più grave. Sì, perché se è vero che il Presidente Conte, nel suo discorso al Senato, ha accusato Salvini di aver aperto la crisi per «interessi personali e di partito», è anche vero che gli altri protagonisti in campo (lo stesso Conte, Di Maio e Renzi, con tutte le truppe cammellate al seguito) hanno più di un interesse personale e di partito a evitare il voto a tutti i costi. Conte per non sparire dallo scenario principale della politica, Renzi per mantenere la maggioranza dei consensi personali sui parlamentari del Pd, Di Maio perché i sondaggi danno il M5S in tracollo mentre Di Battista se la ride sornione dietro l’angolo.

L’inadeguatezza di costoro è di due tipi: dapprima consiste nel mettere il proprio interesse personale davanti a quello del Paese (esattamente come Salvini), ma questa non rappresenta una grande novità della politica. Quindi, fatto più grave, consiste nella pericolosa assenza di un programma politico ed economico definito e in grado di risollevare diritti sociali, lavoro e benessere dei cittadini dopo lo scempio compiuto da almeno due decenni di neoliberismo finanziario. Renzi, un costretto Zingaretti e Di Maio possono anche riuscire, con l’aiuto del Presidente Mattarella, nell’impresa di costituire un nuovo governo senza passare per le elezioni. Ma a quel punto è bene sapere che se il suddetto governo non procederà con riforme vere, efficaci e percepite come benefiche dalla grande parte dei cittadini (ricollocando al centro della propria azione la questione sociale), quello che Salvini spaccerà abilmente come un ribaltone messo in atto dai traditori dei cittadini stessi, con l’appoggio degli immancabili “poteri forti”, riporterà il leader della Lega al centro della scena e dei consensi politici. Stavolta, e per davvero, con percentuali che gli consentiranno di non doversi alleare con nessuno o quasi.

Quando Marx, rifacendosi a Hegel, parlava della Storia che sempre si ripete, la prima volta in forma di tragedia e la seconda di farsa, in realtà si riferiva non ai fatti ma ai protagonisti dello scenario politico. In questo senso, come il Duce del fascismo poté salire al potere anche grazie all’inadeguatezza di tanti statisti, analisti e uomini delle istituzioni che peccarono di miopia, così il ducetto postmoderno potrà beneficiare di una politica che non sa più cosa siano il pensiero, la visione, la coerenza e il coraggio di elaborare programmi indipendentemente dai diktat della teologia finanziaria. Col Duce finì in tragedia, ma anche la farsa del ducetto postmoderno, proprio oggi sotto gli occhi di tutti (fra invocazioni alla Madonna e baci al Crocifisso), potrebbe lo stesso aprire la strada a tragedie che non vorremmo vedere e patire. Insomma, il rischio è che gli entusiasti si immaginino troppo presto Salvini con la coda fra le gambe a chiedere lavoro alla discoteca del Papeete. Ignorando che se commettono errori adesso, potrebbero consentirgli di dettare la musica per il prossimo ventennio.

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