di Mario Sesti (huffingtonpost.it, 16 luglio 2021)
Diciamo che siete figli di una coppia di attivisti socialisti italiani costretti durante il fascismo a emigrare in Francia, che crescete a Marsiglia ai margini della società, che a diciotto anni fate il vostro primo concerto vestiti da cowboy ma che sognate il cinema: se avete vissuto tutto questo siete su un’ottima strada per diventare la figura pubblica più popolare di Francia tra gli anni Sessanta e Ottanta. Ovvero: Yves Montand. Presentato al Festival di Cannes nella sezione Cannes Classic, Montand est à nous di Yves Jeuland, che ha alle spalle una lunga e robusta carriera di documentarista, non è solamente una virtuosistica compilation biografica impreziosita da materiali fotografici e filmati inediti.
È una dichiarazione di devozione e amore incondizionato da parte di un cineasta (“Montand è l’eroe della mia vita”: da quando a quindici anni i genitori gli regalarono un doppio 33 giri con il famoso concerto dell’Olympia) che non teme né l’agiografia né il culto da cui nasce. E una dedizione contagiosa per lo spettatore: Montand si muove sul palco con l’atletismo e la duttilità mimica di un Chaplin, la voce ha il velluto di Sinatra (e le modulazioni finali dei papà che si fanno la barba), lo sguardo, incorniciato dalle basette e da un sorriso interminabile che ricorda il crollo di una diga, ha un sex appeal che appare pericoloso ancora oggi in una foto: come stupirsi che caddero tra le sue braccia Edith Piaf e Simone Signoret (e, in un intermezzo americano, anche Marilyn Monroe)?
Le sue grandi passioni: la canzone, il cinema e la politica. La prima l’ha visto in tutti i più grandi templi del pianeta, da Parigi all’Unione Sovietica (in una trionfale e controversa tournée dopo l’invasione dell’Ungheria: un turning point della sua vita, essendo cresciuto in una famiglia d’incrollabile fede comunista) a New York e Los Angeles. La seconda e la terza fuse insieme da Costa-Gavras che, con La confessione e Z – L’orgia del potere trasformò il gigionismo e il romanticismo dello chansonnier che un po’ si vergognava della sua pronuncia imperfetta nell’attore feticcio del cinema d’impegno, avanguardia intellettuale della denuncia delle privazioni di libertà nei Paesi dell’Est. Posizione che i suoi non gli hanno mai perdonato.
Quando appare in tv in Francia, negli anni Settanta, a denunciare con forza le atrocità dei gulag, è record d’ascolti: i francesi, tutti, non solo Jeuland, lo hanno amato alla follia. Proprio per questa sete di vita, questa carica indomabile accumulata nei borghi sottoproletari di Marsiglia, questo giacimento inesauribile di energia, seduzione e allegria. “Perché ha scelto Montand come nome francese in sostituzione del proprio, Ivo Livi?”. “Perché mia madre mi chiamava sempre dalla finestra a casa: Ivo monta! Ivo monta!”. E Ivo non ha mai smesso di farlo con la vita: come quel cowboy che ha impersonato all’inizio, su un puledro imbizzarrito.