di Vanni Codeluppi*
È arduo definire con precisione quando siano comparsi i primi fenomeni di coinvolgimento psicologico nei confronti di un divo. Il culto di alcune personalità individuali è sempre esistito nella storia delle civiltà umane ed era riservato ad esempio ai sovrani o ai grandi condottieri.Nell’antichità si possono rintracciare diversi casi di questo tipo, così come precise strategie orientate ad accrescere il culto personale. È esemplare la figura di Alessandro Magno, che non disponeva dei media moderni, ma riusciva comunque a diffondere con grande successo la fama di sé stesso e delle sue imprese. Ha commissionato agli scrittori di raccontare le sue gesta, agli artisti di creare il suo ritratto, agli incisori di forgiare scudi, monete e altri oggetti con il suo profilo. Soprattutto, ha incoraggiato l’adorazione della sua persona. Il suo esempio è stato seguito dagli imperatori romani, ma anche da molti aristocratici delle epoche successive, che hanno chiesto a pittori e scultori di ritrarli per rendere immortale la loro immagine. Il culto della personalità individuale ha in comune con il divismo contemporaneo la presenza della pratica del pettegolezzo, ovvero il cosiddetto “gossip”, intendendo con questo termine gli scambi comunicativi, tra due o più soggetti, riguardanti non la loro vita privata bensì quella di altre persone. Il culto della personalità dev’essere considerato però differente dal divismo, in quanto, come ha affermato Francesco Alberoni (1963), «I divi sono celebrità tipiche delle società mercantili (o capitalistiche) e democratiche. Il loro culto è fondato sulla capacità di sedurre e di attrarre. Non possono imporre il loro culto». Ciò che invece cercavano abitualmente di fare i sovrani o i grandi condottieri del passato. I divi pertanto, per riuscire ad affermarsi, hanno la necessità di stabilire una profonda sintonia con la cultura sociale di cui fanno parte. Sta di fatto che, quando un personaggio qualsiasi diventa celebre, si trasforma in una specie di bene collettivo. Entra cioè all’interno di una dimensione particolare, nella quale viene considerato una proprietà dei media e del pubblico. Può essere pertanto liberamente fatto oggetto di pettegolezzi di vario tipo. Non è un caso dunque che i contenuti relativi alla vita privata dei divi siano sempre stati rilevanti in pressoché tutti i mezzi di comunicazione. Ma i divi stessi, a loro volta, hanno cercato di utilizzare tali mezzi per le proprie finalità promozionali. Si pensi ad esempio alla fotografia: pochi anni dopo la sua nascita, avvenuta nel 1839, gli attori di teatro e i cantanti lirici si facevano abitualmente ritrarre con gli abiti di scena in immagini da distribuire agli spettatori prima degli spettacoli. A Parigi alcuni frequentavano lo studio del celebre ritrattista Nadar, il quale ha raccolto un archivio di circa 15.000 foto di attori e attrici, che vendeva per corrispondenza. Ma, se esistono dei mezzi di comunicazione che hanno sviluppato un rapporto particolarmente intenso con il divismo, questi sono certamente il cinema, la televisione e il web. Ciascuno di questi mezzi non ha operato isolatamente, ma insieme agli altri due e anche con altri, come ad esempio la stampa e la radio. Nonostante ciò, ognuno di essi ha caratterizzato una delle tre diverse fasi in cui può essere suddivisa la storia del divismo contemporaneo. La prima fase è quella del cinema, al quale, come si è detto, va sostanzialmente attribuito il merito di avere creato e codificato il divismo contemporaneo. La seconda fase è quella della diffusione della televisione, che ha indebolito il modello del divismo hollywoodiano e ha progressivamente trasformato la figura del divo, rendendola più intima e familiare. Non a caso il tipico divo della televisione è il presentatore, una figura media e poco definita. Ai personaggi provenienti dal cinema si sono così potuti affiancare quelli della musica dei giovani, ma anche quelli dello sport e della moda. L’ultima di queste fasi, invece, è quella dell’“iperdivismo” (Codeluppi, 2012). Come ha sostenuto Rosa Viscardi (2014), tale fase segna il passaggio alla «leadership della famosità». Arrivano, ad esempio, molti outsider, cioè personaggi che provengono da ambiti ed esperienze professionali assai diversi, ma che riescono a ottenere una notevole visibilità sociale, principalmente grazie a un abile utilizzo del web.
*Da “Introduzione”, in Il divismo. Cinema, televisione, web, Carocci, Roma 2017.