di Guia Soncini (linkiesta.it, 16 marzo 2021)
Oggi, qui, io volevo scrivere della serie su Francesco Totti. Ho le prove. Mi ero annotata un incipit. Faceva così. «Anche questo dobbiamo aggiungere, ai danni dell’aver brasato la carriera a Kevin Spacey: che a sfondare la quarta parete e ammiccare al pubblico è rimasto Pietro Castellitto». Purtroppo sei minuti di realtà hanno fatto irruzione nella mia visione della finzione (finzione fino a un certo punto: nella serie su Totti ci sono i filmini di lui da piccolo, le immagini del vero Totti in tribuna all’Olimpico, e insomma pensa The Crown fatto con la collaborazione della regina). L’effetto della realtà è stato quello che la visione dei film di Antonioni aveva avuto su Elide Catenacci. Come diceva Elide tornata dal cinema, io mi sono stranita. Non riuscivo più a guardare la finta Ilary Blasi incinta (è incinta per la maggior parte delle scene delle prime tre puntate) senza pensare al cuscino.
Io non so cos’abbiano fatto di male le ventenni di oggi. Non so quale maledizione sia stata lanciata sulle loro culle. So però che – là dove noi avevamo Alessandro Baricco – hanno Stefano Massini. Il divulgatore culturale che nemmeno loro, con la colpa d’essere ventenni, meriterebbero. Io Massini non lo conosco (i Beatles non li conosco), non ho neanche letto quel capolavoro che tutti mi giurano essere i Lehman (neanche il mondo conosco), ma una volta l’ho visto, Massini, a Otto e mezzo. Stava dicendo, in piena epoca di Casalino, che una volta i politici avevano i portavoce, figura che non esisteva più perché l’intermediazione era finita (sì sì conosco Hiroshima, ma del resto ne so molto poco, ne so proprio poco). Sarà stato un paio d’anni fa: ho deciso che non valesse la pena interessarsi a quel che aveva da dire e non ci ho più pensato. Ogni tanto qualche mio contatto social fotografava qualche suo articolo insolentendolo, ma se dovessi star dietro a tutti i commentatori culturali insolentiti dai miei amici non avrei tempo di far altro. Poi, poco più d’un anno fa, la tv ha iniziato a parlare solo di pandemia, e io ho smesso di guardarla. Quindi non ho mai visto i monologhi di Massini a Piazzapulita. Fino a ieri mattina, quando chissà chi ha girato il link a chi, e – cinque giorni dopo la puntata della settimana scorsa – nella mia bolla hanno iniziato a rimbalzare quei sei minuti.
«Io sono incinto – Il nuovo racconto di Stefano Massini». «Cosa cazzo», è stato il mio primo commento – dialetticamente complesso, avrei appreso di lì a poco, quasi quanto il monologo di Massini. Insomma c’è questa giocatrice di pallavolo che è rimasta incinta. L’hanno licenziata, poco dopo ha perso il bambino (Massini dice «interrompe la gravidanza», che in Italiano vuol dire un’altra cosa, non che io voglia insegnare l’Italiano a uno pagato meglio di me per conoscerlo). La settimana scorsa la storia è finita sui giornali giacché la giocatrice ha fatto causa per la parte rispetto alla quale aveva ragione: la squadra si era rifiutata di pagarle l’ultimo periodo in cui si era allenata.
Poiché abbiamo molto bisogno di simboli (o, come dice Massini col tono di chi risponde «troppo generoso» a una domanda sui suoi difetti, «io vivo di irritazione, di indignazione, di battaglie» – domani, nell’indignazione, pensa a me), lo scandale du jour è montato non sulle garanzie economiche, ma sull’ingiustizia di licenziare un’atleta che non può più fare l’atleta. Prima d’indignarvi e dirmi che la gravidanza non è una malattia, accertatevi di non essere tra coloro che, se l’aborto spontaneo della pallavolista fosse stato provocato da una pallonata, si sarebbero indignati con chi pretende che le donne facciano le atlete da incinte. Negli Stati Uniti stanno linciando un conduttore di destra per aver sbeffeggiato le uniformi dell’esercito per donne incinte annunciate da Biden, e io trovo molto interessante che la nuova frontiera del femminismo sia mandare in trincea gente cui stanno per rompersi le acque. Mi sembra una buona idea sia per le sorti della gravida sia per quelle della battaglia, cosa potrà mai andar storto. (Le uniformi militari servono per battaglie vere, non per quelli come Massini che cianciano di «battaglia» parlando d’una polemichetta).
Insomma, la pallavolista viene licenziata, e Massini ha questa bella idea: gli uomini devono essere solidali con questi problemi femminili, e giacché siamo il tempo che ha inventato l’epistemologia identitaria c’è un solo modo in cui posso offrire analisi e sintesi del problema d’un’incinta, ed è simulare incintume, pur non avendo i gameti giusti. Quindi Massini entra in scena, nel programma di Corrado Formigli in cui ha uno spazio fisso (dio li riempie di anelli e poi li accoppia), e ha indosso un golfino da cui spunta un centimetro di maglietta, una cosa che ognuna coi gameti giusti riconosce come quella finta trasandatezza che ci hai messo venticinque minuti a sistemare davanti allo specchio. Ha dei braccialetti finto esotici, e quattro anelli sulle due mani. Quattro. Cosa potrà mai andar storto. In mano ha un cuscino. In bocca la sintassi di uno bocciato alle medie. «Sono stato contestato di essere qui a Piazzapulita troppo arrabbiato negli ultimi tempi», dice. «Il compromesso mi dispiace ma è abbastanza lontano anni luce da quello che io sento e credo», dice, mentre una Sardina ospite lo guarda con lo sguardo «vabbè ma allora prosatore anch’io». Prosegue poi con un notevolissimo combinato disposto di mitomania in terza persona e scelte lessicali da terza media: «Questa è una roba di una tale carica di schifo che se Massini non viene qua e non lo dice con i suoi toni, ripeto, piace, non piace, veemente, non veemente».
Fosse la veemenza, il problema, Massi’. La categoria dialettica dello «schifo» viene ripetuta altre, se non ho perso il conto, quattro volte (più due «porcherie»). A un certo punto evoca Alessandra Sardoni, come già ella non avesse il grave problema d’essere compagna di ospitata di una Sardina. La indica dicendo che «rappresenta le donne», e io vorrei tanto un fumetto che svelasse cosa pensa Sardoni in quel momento. Quel momento che precede di pochissimo quello in cui Massini, quarantacinque anni e l’impeto d’un quindicenne nel ritenere che le cose esistano solo quando se ne accorge lui, ci svela che in Italia gli atleti sono dilettanti, non professionisti. Quel momento che precede di poco quello in cui Massini, col suo lessico da concorrente di reality, dice «facciamo una bella provocazione». E, coi suoi due pollici anellati, spinge il cuscino sotto il maglione e si autoscatta per i social. È un piccolo passo per i diritti delle donne, ma un enorme passo indietro per il senso del ridicolo. E ora scusate, torno a vedere la serie su Totti, dove almeno il maschio fragile si limita a frignare perché l’allenatore non gli vuole più bene come prima, e il cuscino sotto il vestito ce l’ha la femmina incinta. Sì, io e il mio senso del ridicolo siamo retrogradi.