di Antonio D’Orrico («Sette», suppl. al «Corriere della Sera», 10 maggio 2018)
Premetto che leggendo certi commenti a Loro 1, primo atto del film di Paolo Sorrentino con Toni Servillo, mi sono cascate le braccia. Erano mossi da una fretta eccessiva. Come se un cronista sportivo decretasse il risultato finale di una partita dopo aver assistito soltanto al primo tempo. E mi è venuto il cattivo pensiero che questa critica praecox volesse rimettere in riga “loro” di Napoli, ovvero Sorrentino & Servillo.(In Italia si può perdonare tutto, ma non di vincere l’Oscar). Premetto che ho espresso questi miei sospetti a Servillo. Ma lui ha glissato rispondendo con fair play: «Ammiro gli allenatori di una volta, gli Scopigno, i Boskov, quelli che non parlavano mai dell’arbitro. Io faccio un lavoro, la critica ne fa un altro. Ognuno è libero di avere la propria opinione». Fine delle premesse. Sorrentino e Servillo sono recidivi con il potere italiano. Prima Il divo, con Giulio Andreotti, ora Loro 1 e 2, con Silvio Berlusconi. Loro è un sequel de Il divo, anni dopo? Per Servillo (mio Virgilio nel viaggio attraverso il film), non è così. «Già dalla sceneggiatura, Paolo ha preso le distanze dalla precedente esperienza. In Loro, a differenza de Il divo, non siamo mai nei luoghi della politica, non c’è mai il Palazzo di cui scriveva Pasolini». Berlusconi è rappresentato nel suo buen retiro in Sardegna. Sorrentino racconta l’uomo di potere quando non è al potere, tra pecorelle, prati verdi, onde azzurre, saune, piscine, gazebi e uno stuolo di domestici. Dice Servillo: «Nel film sopravvivo dopo aver perso il governo e aspetto la rivincita. Mi muovo da privato cittadino sullo sfondo di una Sardegna edenica. Sono quasi annoiato. Questo fa risaltare la dimensione intima del personaggio: la sua maschera da simpatico istrione. È tutto esteriorità, è come se non avesse un’anima».
Eccolo dunque “il mascherone” di cui hanno parlato i giornali. Capelli tinti, sorriso a trentadue denti. Mascherone che è stato paragonato al mascherone (o mascherina?) di Andreotti ne Il divo, quello che richiese a uno stoico Servillo interminabili sedute al trucco. C’è un filo di sadismo in tutti i registi verso gli attori e Sorrentino non fa eccezione alla regola (ricordate come eliminò il povero Toni nel crudele finale delle Conseguenze dell’amore?). Ma nei racconti di chi era sul set di Loro a Orbetello non c’è memoria di straordinari in materia di trucco e parrucco. Servillo conferma: «Il make up è stato meno invasivo di quello de Il divo che era ingombrante, pretendeva spazio e mi costringeva nei movimenti, nella mimica». I due premier visti da Sorrentino (e interpretati da Servillo) sono due personaggi diversi. La loro differenza, forse, è la stessa che corre tra la Prima e la Seconda Repubblica, tra due distinte fenomenologie del potere. «Il divo sin dal titolo ci dava la chiave del personaggio. Andreotti era “il divo” nel senso della romanità classica, senatoriale: il divo Cesare, il divo Augusto. Andreotti, da divo classico, non si dava in pasto al pubblico, anzi lo teneva a distanza alimentando il suo mistero. L’introversione era una parte fondamentale della sua strategia politica».
Viene in mente l’intera classe dirigente democristiana. Gente che si nascondeva, celava il suo corpo, per reazione all’esibizione muscolare, allo striptease (il torso nudo) di Benito Mussolini. Vengono in mente, nel bianco e nero Ferrania anni Cinquanta, foto di Amintore Fanfani sulla spiaggia a Ferragosto, in inappuntabile grisaglia grigia sotto l’ombrellone. L’unica e ultima volta che gli italiani hanno visto il corpo di un democristiano è stata nella celebre foto di Gianni Giansanti, che fece il giro del mondo: il cadavere di Aldo Moro nella Renault rossa (il sigillo definitivo su un mistero). Siamo agli antipodi del nuovo film di Sorrentino. Spiega Servillo: «Anche il protagonista di Loro è un divo. Ma un divo nel senso cinematografico, mediatico, non in quello senatoriale dell’antica Roma. Si muove in un paesaggio che è lo stesso che fa da sfondo alle vite delle star: la smagliante, lussuosa estetica delle tipiche magioni hollywoodiane». Una volta ancora Sorrentino ha fatto solo (e prodigiosamente) del cinema. Ha interpretato Berlusconi con le armi del suo mestiere. L’ha visto con i suoi occhi. La scelta ha ripercussioni profonde. «Interpreto la parte di uno che si comporta come un attore di Hollywood. Il politico oggi è un attore. Non parlo, per carità, dell’abusata metafora del teatrino della politica. Non dico che i politici hanno rubato il mestiere a noi attori (anche se…). Però i due ruoli spesso si sovrappongono. In Loro il politico coincide addirittura con la star hollywoodiana e gioca tutto sull’estroversione: gesti eclatanti, battute efficaci, canzoni cantate alla maniera suadente dei vecchi crooner». Prima o poi si riconoscerà a Sorrentino il titolo di più grande deejay italiano. Con i suoi film ha riportato nelle hit parade canzoni dimenticate di Raffaella Carrà (remix) e di Nada Malanima. Qui rispolvera il repertorio napoletano classico. Servillo ci regala anche una versione impeccabile di Malafemmena. Non è tanto una licenza d’autore (anche se la licenza d’autore è il sale del cinema e della letteratura di Sorrentino). Berlusconi cantava sulle navi da crociera, è un suo dato biografico. Ed è la spia di come è stato interpretato in Loro. «Il protagonista è un istrione. Direi, scherzando, che mi ricorda la celebre canzone di Aznavour». Servillo la canticchia: «Perdonatemi se, con nessuno di voi non ho niente in comune. Io sono un istrione…». Poi smette (peccato!) e analizza il testo. «Il personaggio della canzone si confessa e, nello stesso tempo, rivendica sé stesso. Prima si rivela con sincerità: “Perdonatemi se…”. È il momento della bonomia, delle scuse. Ma poi subentra l’astuzia: “Con nessuno di voi non ho niente in comune”». Sull’alternanza di queste due espressioni, bonomia e astuzia, di sentimento e cinismo, Servillo ha impostato la sua interpretazione. È questa la dialettica tra Lui e Loro, tra Berlusconi e i suoi adoratori, tra il Cavaliere e Sergio Morra (interpretato da Riccardo Scamarcio), il fornitore ufficiale di gnocca alle feste in villa.
Ancora una volta il linguaggio di riferimento è il cinema. «Il personaggio di Scamarcio discende direttamente dal nostro grande cinema, dalle favolose sceneggiature dei maestri Monicelli e Risi. È figlio degli anti-eroi di Gassman, Tognazzi e Sordi, è l’ultimo rampollo della commedia all’italiana. È l’italiano ignorante che viene dalla buia provincia, ma che è orgoglioso, a differenza dei suoi predecessori monicelliani, della sua ignoranza. Spinto dal suo malriposto orgoglio, vuole diventare come Lui. Per riuscirci gli porta, assieme alle ragazze, guantiere di tiramisù fatti in casa, il dolce preferito dall’anfitrione. È un piano fallimentare. Il desiderio ossessivo di Scamarcio di somigliargli, di prenderne il posto, di spodestarlo infine, sarà fatalmente frustrato. Il suo sogno è irrealizzabile e sfocerà in incubo. Il re gestisce la sua corte proponendosi come modello, ma è un modello irraggiungibile. Perdonatemi se…». Come disse una volta Giorgio Gaber: «Non temo Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in me». Tradotto in sorrentinese: non temo lui, ma loro. Tradotto in servillese: «Ho affrontato il personaggio come un lui, scusate il gioco di parole, che non è Lui ma può diventare noi».
All’inizio degli anni Ottanta con una definizione geniale, esatta fotografia dello spirito del tempo, il sociologo De Rita parlò di un sentimento inedito degli italiani: il rancore dei ricchi. Il rancore dei poveri era un sentimento vecchio e, a suo modo, naturale. Il rancore dei ricchi era un sentimento nuovo e innaturale (che motivo ha un ricco di essere risentito?). Adesso, nel ventunesimo secolo, è arrivato un altro sentimento fresco di conio: l’orgoglio dell’ignoranza (che è il sentimento dei “Loro”). Che sia lo spirito di questo tempo? «Volendo fare un discorso civile, a prescindere dal film, circola moltissimo in Italia un’idea che sta guastando la formazione di generazioni intere. L’idea che in politica il più bravo è chi si fa meglio i fatti suoi. È un’idea che va smentita subito». Sorrentino con tenerezza (che lui considera «un tono rivoluzionario») racconta Berlusconi un po’ alla Grande Gatsby (per i party kolossal; per l’origine misteriosa delle sue fortune): «Lì ci siamo divertiti a ripescare una gemma della tradizione come Cicerenella. La canto come un milanese che canta in napoletano presumendo di saperlo fare meglio dei napoletani». Un po’ alla Citizen Kane (la solitudine del potere): «L’uomo solo è un classico del cinema di Paolo. Uno dei leitmotiv del film è la vana promessa del protagonista di portare gli invitati a vedere i fuochi d’artificio del vulcano finto che c’è in villa. Alla fine accenderà il vulcano con il telecomando una notte che è rimasto solo». Ma, soprattutto, il film è uno Scene da un matrimonio, un film di sentimenti. Silvio e Veronica (una Elena Sofia Ricci «ammirevole», dice Servillo) litigano e si riconciliano. E ispira tenerezza (missione compiuta, dottor Sorrentino) quando fanno pace sulla giostra a cavalli mentre Fabio Concato in persona, convocato apposta in Sardegna, canta alla chitarra la canzone (Domenica bestiale) del loro amore. «Profondamente commovente è il litigio in cucina. Non è il tipico battibecco coniugale, ma è un momento dove si intrecciano i fatti e i sentimenti, si mischiano i sogni e gli incubi, l’essersi voluti bene e l’essersi fatti male. È un redde rationem. Sorrentino sa toccare anche queste corde». Veronica chiede a Silvio chi è veramente. Forse nemmeno lui lo sa. Come nell’incontro tra Berlusconi e il banchiere Ennio Doris con il colpo di scena dello sdoppiamento: anche Doris è interpretato da Servillo. Scrive Sorrentino nella sceneggiatura: «Nel corso del dialogo il pubblico si deve accorgere che Doris somiglia a Toni, all’attore». Spiega Servillo: «Lì si vede l’ossessione del personaggio: parla con gli altri parlando, in realtà, con sé stesso». Il Berlusconi di Sorrentino è un venditore di sogni, uno che vuole dare alla gente vite come le fiction di Canale 5 (sogni o incubi?). È la scena di lui di notte, in uno studio pieno, invece che di libri, degli elenchi telefonici di tutta Italia. Ne prende uno e chiama una sconosciuta. «Si presenta come Augusto Pallotta, agente immobiliare, e parla con evidente accento napoletano. Perché ha deciso di fare il napoletano? Perché il luogo comune vuole che i napoletani siano i venditori di sogni più bravi di tutti. E lui ha deciso di tornare a essere un venditore, come all’inizio della carriera: il venditore più bravo di tutti. Lo è ancora: convince la donna ad acquistare una casa. Ora può tornare sulla scena politica e comprare i senatori che gli mancano per avere la maggioranza». Il Berlusconi di Sorrentino è un uomo che ha paura di invecchiare, esorcizza il passare del tempo. Una notte una delle ragazze gli fa notare che ha lo stesso alito, «né profumato né maleodorante», di suo nonno; che è vecchio, cioè. «Ma lui rigira la frittata: la ragazza voleva soltanto dirgli che usa lo stesso detersivo per la dentiera di suo nonno».
Dicono che Sorrentino e Servillo si sono innamorati del Cavaliere. «Fa parte del mestiere. Ho imparato da un maestro come Louis Jouvet che l’attore deve provare gli stessi sentimenti del personaggio. Io amo sempre all’inizio il mio personaggio. Se lo rifiuti al primo approccio, non lo agganci più. All’inizio devi amarlo, dopo puoi prendere le distanze. Anche un mostro come Riccardo III devi amarlo, se vuoi recitarlo. Bruno Ganz fece l’esperienza estrema, interpretò Hitler. Gli chiesi come aveva fatto, rispose: “Andavo sul set senza pensarci”». Il Berlusconi di Sorrentino è un uomo bigger than life. Ha scritto il regista nelle sue note: «Devo chiedere aiuto a chi è molto più bravo di me: Hemingway. In Fiesta, Hemingway scrive: “Non c’è nessuno che vive la propria vita sino in fondo, eccetto i toreri”. Ecco, parafrasando, forse l’immagine più compendiaria che si può avere di Silvio Berlusconi è questa: un torero». Cito anch’io Hemingway: «La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta sugli esseri umani». Pure girare film assolutamente onesti sugli esseri umani non è facile. Sorrentino & Servillo hanno girato un film assolutamente onesto su Silvio Berlusconi. Olé.