I vestiti di Kamala Harris

Ph. J. Scott Applewhite / Ap

(ilpost.it, 4 settembre 2024)

Da candidata Democratica alla presidenza degli Stati Uniti, Kamala Harris ha una sfida in più rispetto al suo rivale Repubblicano Donald Trump: scegliere accuratamente i propri vestiti. È un compito che, volente o nolente, le è richiesto in quanto donna, perché da sempre le donne sono esaminate attentamente per come si vestono, tanto più se ricoprono o vogliono ricoprire un ruolo di potere.

Mentre gli uomini ricorrono alla stessa uniforme da duecento anni – il completo scuro con giacca e cravatta, ereditato dalla borghesia ottocentesca –, le donne se la devono inventare da quando sono entrate negli stessi luoghi di lavoro degli uomini. Per essere prese sul serio non devono apparire troppo frivole o desiderose di piacere, ma nemmeno troppo sciatte: uno studio citato dal New York Times ha scoperto che elettrici ed elettori americani sono indulgenti se un candidato maschio ha un colletto spiegazzato o i capelli fuori posto, mentre se è una candidata la associano subito a un’idea di trascuratezza generale.

La soluzione, per molte, è stata adottare la divisa maschile, cioè il completo pantalone, colorandola in toni pastello o molto vivaci per dare un’idea di femminilità. La più nota indossatrice del genere è stata Hillary Clinton, che su X (ex Twitter) si era definita “pantsuit aficionado” (pantsuit indica il completo pantalone indossato dalle donne), una soluzione pratica in linea con il suo scarso interesse per i vestiti (per cui era stata sempre criticata, come quando si legava i capelli con un elastico scrunchie anziché perdere tempo a farsi una messa in piega).

Indossano spesso pantsuit anche Nancy Pelosi, la donna più potente della politica americana, e l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre altre capi di Stato e di governo di epoche precedenti preferivano il più femminile completo con giacca e gonna sotto il ginocchio, come le britanniche Margaret Thatcher, Theresa May e la regina Elisabetta II. Il completo da uomo tradotto su un corpo femminile è anche la divisa delle politiche italiane, perlomeno nei momenti formali, come si è potuto notare nel cambio di stile di Giorgia Meloni da quando è presidente del Consiglio: i jeans, le scarpe da ginnastica e le giacche di pelle sono state sostituite da completi sartoriali e camicie in seta dai colori luminosi.

Altre donne in posizioni importanti hanno usato gli abiti per raccontare la propria storia o per mandare un messaggio: per esempio le First Lady indossano spesso marchi statunitensi, per promuoverli o esprimere patriottismo, e quando sono in visita ufficiale in un Paese straniero scelgono un marchio locale come omaggio. Internet ha rafforzato questo meccanismo consentendo di far conoscere a milioni di persone i vestiti e i marchi indossati anche dalle donne di potere (comprese principesse e regine, come Kate Middleton e Letizia di Spagna), i cui capi più accessibili vengono rapidamente esauriti sui siti che li vendono: è il motivo per cui Michelle Obama ha indossato spesso abiti di stilisti afroamericani emergenti.

Vestirsi con un messaggio può anche avere conseguenze più profonde, come dimostra una scelta di Hillary Clinton così azzeccata e potente da influenzare il modo di vestire delle politiche americane per gli anni a seguire: alla convention del Partito Democratico del 2016, tenutasi a Philadelphia, in Pennsylvania, accettò la nomination alla candidatura presidenziale in un completo pantalone di Ralph Lauren bianco, il colore ufficiale delle suffragiste e del National Woman’s Party (l’organizzazione politica fondata nel 1916 negli Stati Uniti per reclamare il diritto di voto delle donne).

La Clinton si presentava in opposizione al notoriamente misogino Trump, l’altro candidato alla presidenza, e sottolineava che la sua eventuale elezione sarebbe stata un traguardo per tutte le donne. Ricordava anche il completo bianco indossato 32 anni prima da Geraldine Ferraro, la prima candidata alla vicepresidenza, per accettare la nomination nel 1984, e aveva un significato simbolico evidente. Da allora il bianco è stato indossato da politiche Democratiche, ma anche da conduttrici televisive, giornaliste, donne di spettacolo e la stessa Harris indossò un abito bianco della stilista americana Carolina Herrera per presentarsi agli elettori dopo l’annuncio della vittoria.

Ph. Tasos Katopodis / Getty Images

Anche alla convention del Partito Democratico di quest’anno, tenutasi ad agosto a Chicago, in Illinois, molte donne erano vestite di bianco e ci si chiedeva se la Harris l’avrebbe indossato per il discorso con cui avrebbe accettato la nomination alla presidenza. Invece ha fatto una scelta molto diversa e, ha scritto la critica di moda del New York Times Vanessa Friedman, «ha probabilmente portato quel particolare momento storico alla fine. Come ha detto nel suo discorso, era tempo di “tracciare una nuova strada da seguire” e si è vestita di conseguenza».

Harris ha indossato un completo giacca e pantalone color blu navy, blu scuro, con una camicia di seta sempre blu allacciata al collo con un fiocco, un modo di vestire che negli ultimi quattro anni è diventato la sua divisa personale. Il completo, dalle spalle larghe e dai pantaloni larghi in fondo, è stato fatto su misura da Chloé, un marchio di lusso francese che da quest’anno è diretto da Chemena Kamali, una stilista tedesca che ha disegnato la prima collezione con un gusto bohemienne e intellettuale che è piaciuto molto.

La scelta di non farsi vestire da uno stilista americano è stata la più criticata perché dai tempi del primo presidente, George Washington, i presidenti e le First Lady indossano quasi sempre marchi statunitensi nelle occasioni importanti. Può essere che la Harris abbia deciso di farsi vestire da un’azienda guidata da donne e pensata per le donne o forse che volesse semplicemente sentirsi a proprio agio, come farebbe un uomo. È lo stesso motivo per cui ha accettato la presidenza vestita di blu anziché di bianco: è il colore con cui si vestono tradizionalmente gli uomini al potere ed è anche il colore della divisa del “commander in chief” (comandante in capo), cioè il capo delle forze armate, un altro ruolo del presidente negli Stati Uniti.

La Harris non voleva insomma presentarsi come l’eroina finale di una lunga battaglia femminista ma come la presidente di tutte e tutti, sottolineando la sua competenza e la sua capacità di portare a termine il lavoro; non voleva raccontare la sua storia di donna di origine asiatica e afroamericana, ma convincere della sua efficienza. Anche per questo potrebbe aver scelto una stilista europea, evitando di sottolineare l’appartenenza a un’America anziché a un’altra: bianca e tradizionale, nera o asiatica.

Ultimamente infatti indossa raramente gli stilisti emergenti neri che aveva scelto nei momenti importanti della vicepresidenza, come Pyer Moss, Sergio Hudson, che le fece il completo blu per il ritratto ufficiale da vicepresidente, e Christopher John Rogers, quello dell’abito e cappotto viola (colore simbolo dell’Unione americana) per il giorno del giuramento del 2021. Come ha scritto il sito di Vogue, la Harris «sta mettendo lo stile sopra l’etichetta» e sta cercando di evitare che qualsiasi cosa indossi si traduca in un racconto: «eliminando la politica identitaria dalle sue scelte sartoriali, elimina del tutto la componente giornalistica».

Da quando è candidata presidente, le sue scelte stilistiche sono state poco sorprendenti e in linea con quelle da vicepresidente, per ricordare che era stata convocata per il bene della nazione e non per sua ambizione personale: come ha scritto la Friedman in un articolo intitolato Kamala Harris si sta vestendo per diventare presidente, il suo stile era l’unica cosa non eccitante della sua candidatura, ma era «sobrio, deferente, un po’ noioso». Ha inoltre abbandonato l’abbigliamento informale del 2020, quando abbinava spesso giacche e sneaker, soprattutto il modello Chuck Taylor del marchio Converse, che indossava anche sulla copertina di Vogue: quell’immagine troppo sbarazzina fu criticata e la rivista fece subito uscire una copertina digitale dove indossava invece un completo azzurro dello stilista americano Michael Kors.

Ph. Tyler Mitchell / Vogue – Afp – Getty Images

Di quei tempi, invece, sono rimaste le perle, il simbolo della Alpha Kappa Alpha, la prima confraternita di donne nere fondata alla Howard University, alla quale la Harris è molto legata. Per tutto questo, uno dei pochi momenti in cui il suo stile è stato divertente si è registrato il primo giorno della convention, quando si è presentata con un completo giacca-pantalone di Chloé, identico a quello blu, in tinte chiare.

Mentre spiccava sorridente dagli spalti circondata da abiti scuri, tutti ripensavano al famigerato tan suit (un completo beige chiaro) indossato dall’allora presidente Barack Obama nel 2014, in una conferenza stampa dopo un attentato dell’Isis (lo Stato Islamico) in Siria. La scelta venne molto criticata dai Repubblicani perché i colori chiari erano considerati troppo informali e poco rispettosi dell’occasione (Obama scherzò poi sul fatto che quello fu l’unico “scandalo” della sua presidenza).

Barack Obama via X

In più una versione simile dell’abito in vendita sul sito di Chloé viene definita color coconut brown, marrone noce di cocco, che ricorda anche il meme per cui la Harris è più famosa. Forse la Harris voleva essere subito riconoscibile, o prendere in giro i Repubblicani, o ingraziarsi l’elettorato più giovane; o forse voleva indicare il modello di presidente cui s’ispira e rivendicare la storia cui appartiene. L’ex presidente Obama le ha risposto con un meme: «Com’è iniziata. E come sta andando ora. Dopo dieci anni, è ancora un bel look!».

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