I pois di Grace Kelly

Gamma-Keystone via Getty Images

di Alessandra Zauli (elle.com, 26 dicembre 2024)

Algida e cesellata di stile inarrivabile. Capelli biondi, occhi azzurri e piglio elegantissimo. Un “vulcano bollente” la tratteggiò affettuosamente Alfred Hitchcock. “Il resto più bello del mondo” la battezzò invece Bing Crosby, riferendosi al volto dell’attrice stampato sui francobolli e sulle monete di quel Principato che lei rese glamour. Mito Grace Kelly; “la donna che visse due volte” barattando – apparentemente senza sforzo – il ruolo di diva con quello di principessa.

La leggenda intrisa di un’aura d’inarrivabile meraviglia, precocemente uscita di scena avallando ancor più quella favola scolpita da una moda unanimemente giudicata come tra le più femminili ed eleganti della storia. Ebbe un guardaroba da sogno: taffetà, moiré di seta, chiffon e jersey a modulare silhouette cristallizzate negli annali del costume. E la vestirono tutti; da Christian Dior a Cristóbal Balenciaga, da Pucci a Givenchy, da Oleg Cassini a Helen Rose, a Edith Head. Fu proprio la celeberrima costumista hollywoodiana a condensare in una frase il fascino Kelly: “C’è chi ha bisogno di lustrini, c’è chi invece no”, come ebbe a dire riferendosi all’abito a colonna acquamarina da lei indossato durante la notte degli Oscar nel 1955.
Più semplice che ardimentoso, il suo dress code ha resistito imperturbabile alla prova del tempo; una gonna a corolla alla volta, un giro di perle dopo l’altro, guanti e borsetta in pelle a costruire un guardaroba che fece epoca. Ovunque andasse, suscitava ammirazione: nel perimetro di tappeti rossi, nella cornice di cerimonie, serate di gala o matrimoni, come quando, il 12 maggio 1962, presenziò ad uno dei tanti party reali, celebrativi delle nozze tra Juan Carlos di Borbone e Sofia di Grecia. I due futuri sovrani di Spagna si erano conosciuti soltanto un anno prima al matrimonio dei duchi di Kent e, nonostante i tabloid dell’epoca riportassero la fiaba del colpo di fulmine, pare che tutto fosse già deciso a tavolino, con la cronaca ufficiosa a narrare di un impenitente donnaiolo e una invece discretissima reale, segretamente innamorata di un principe con ben altre mire.
Ma tant’è, Doña Sofia e Don Juan Carlos convolarono a nozze, preludendo il matrimonio con festeggiamenti che radunarono ad Atene il gotha delle monarchie europee. C’erano anche Ranieri di Monaco e la principessa Grace, che, per l’occasione, schedulò una serie di look a sfoderare il suo côté semplicemente glamour anche in quel della Capitale greca. Il più indimenticabile di tutti fu sicuramente lui; l’abito a pois neri su sfondo bianco, composto di corpetto lavallière e gonna midi, arricchito da cappello en pendant. Un suggellato di charme reale che distinse Grace dalle restanti teste coronate e che lei accessoriò di immancabili occhiali scuri, borsetta e raffinati guanti.
Del resto, già nel 1955, Time l’aveva ribattezzata “la ragazza coi guanti bianchi”, a riprova dello stile ricercato dell’ex musa di Hitchcock, che, inconsapevolmente, ci fece dono della mise da perfetta invitata dimostrando come lo charme sia spesso un gioco sottrattivo. Un’alchimia che non esige necessariamente lustrini e stoffe lussuose e che elesse i pois a vessillo easy-chic della moda (anche) di corte. Da allora, in effetti, sono molte le reali ad aver subito il fascino dei polka dots: li amavano la principessa Margaret e Lady D, li amano Letizia di Spagna e Kate Middleton, a più riprese paparazzate con la fantasia a puntini.
Perché piace? Perché è romantica senza risultare leziosa, perché è casual ma anche raffinata, perché è un passe-partout modaiolo che non conosce né voghe né stagioni. Una stampa storica – che il sociologo Michel Pastoureau definì “la stoffa del diavolo” e il Medioevo bannò, pena l’associazione a malattie della pelle quali peste o morbillo – ciclicamente in auge e ricca di riferimenti snodati tra cinema e arte: dalla Vivian di Pretty Woman al Louis Vuitton by Yayoi Kusama, dalle pin-up anni Cinquanta o, appunto, a Grace Kelly. Immortale diva che con l’abito a pois dette l’ennesima lezione di (copiatissimo) stile.

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