(ilpost.it, 23 giugno 2022)
Una settimana fa, durante un evento trasmesso su YouTube per celebrare nove anni di carriera, il gruppo musicale sudcoreano Bts – attualmente uno dei più famosi al mondo – aveva annunciato che si sarebbe preso una pausa per lasciare ai membri il tempo di dedicarsi a progetti solisti. La notizia era totalmente inaspettata, appena pochi giorni dopo l’uscita del loro ultimo attesissimo album, Proof. Qualche giorno dopo, la Korea Singers’ Association aveva rilasciato una dichiarazione in cui chiedeva al gruppo di riconsiderare la sua decisione «per il bene dell’industria musicale coreana». Alcuni fan dei Bts, che sono milioni in tutto il mondo e vengono chiamati Army (acronimo di “Adorable Representative MC for Youth”, ma anche “Esercito”), hanno commentato on line questa richiesta con indignazione, facendo notare che la scelta dei sette giovani membri del gruppo dovesse essere rispettata.
E lo slogan “Leave Bts alone” (“Lasciate in pace i Bts”) è entrato rapidamente nelle tendenze più popolari su Twitter. Questa reazione – che potrebbe sembrare incomprensibile e contraria all’interesse di qualsiasi fan – è molto significativa del tipo di fenomeno che i Bts sono diventati e del modo con cui sono riusciti a conquistare milioni di fan, adolescenti e non, in tutto il mondo. I Bts sono sette giovani sudcoreani – RM, Jin, Suga, J-Hope, Jimin, V e Jungkook – nati tra il 1992 e il 1997: hanno cominciato a lavorare come gruppo musicale nel 2013. Il genere musicale dei Bts è il K-pop, un pop locale mescolato o ispirato alla musica statunitense, tra il pop, l’R&B, il rock e l’hip hop: si rivolge in particolare agli adolescenti, e dagli anni Duemila ha travalicato i confini della Corea del Sud conquistando fan in tutto il mondo. Oggi i Bts sono gli artisti più venduti in Corea del Sud e uno dei gruppi più popolari a livello globale, con fan distribuiti in decine di Paesi del mondo: sono l’unico gruppo insieme ai Beatles ad aver avuto tre dischi al primo posto della classifica Billboard 200 nello stesso anno. In particolare, fuori dalla Corea del Sud sono diventati molto forti negli Stati Uniti: il loro ultimo concerto, dopo due anni di pandemia, si è svolto a Las Vegas ad aprile di fronte a 65mila spettatori. A fine maggio i membri del gruppo sono stati ricevuti alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden per un discorso contro i crimini d’odio nei confronti delle persone asiatiche. Proof, il loro ultimo album uscito a giugno, è diventato il più venduto negli Stati Uniti nella prima settimana dall’uscita.
Per il modo in cui hanno saputo conquistare milioni di fan in tutto il mondo i Bts sono stati spesso paragonati ai Beatles e associati alla cosiddetta “Beatlemania”, ma il loro seguito ha qualcosa di diverso e molto peculiare. Innanzitutto perché non sono solo cantanti, ma personaggi dello spettacolo in senso più ampio. On line i Bts offrono ogni giorno nuovi contenuti per i loro fan: il loro canale su V Live, una piattaforma sudcoreana di live streaming, ha 37 milioni di iscritti, il canale ufficiale su YouTube ne ha 68 milioni, e sulla app Weverse, un social network coreano pensato proprio per mettere in comunicazione musicisti e fan, si possono comprare contenuti extra a pagamento. Il modo in cui i Bts comunicano con i propri fan è riuscito a creare una specie di culto incentrato su un’attenzione – per certi versi inedita – alla salute mentale, alla cura di sé stessi, all’espressione delle proprie fragilità, cosa che ha fatto sentire incluse e comprese moltissime persone. Uno dei maggiori punti di forza dei Bts è sempre stato quello di parlare liberamente di sé stessi, delle loro paure e stanchezze, della pressione da parte della loro casa discografica, della nostalgia di casa, del terrore di sbagliare e di non essere all’altezza delle pressioni sociali, soprattutto all’interno di una cultura competitiva come quella della Corea del Sud. Tra le tematiche più ricorrenti nelle loro canzoni ci sono l’accettazione di sé stessi e la difficoltà di conciliare chi si è veramente con le aspettative della società.
I ragazzi del gruppo sono sempre apparsi davanti ai propri fan in modo molto autentico e spontaneo. All’inizio questa fu una novità abbastanza dirompente nel panorama degli artisti K-pop sudcoreani, da sempre molto conformisti e attenti a non dire o fare nulla di possibilmente controverso, ma fu evidentemente una formula efficace anche per conquistare il resto del mondo. Intervistata sul New Yorker su cosa distingua i fan dei Bts da quelli di qualsiasi altro gruppo, la giornalista di origini sudcoreane E. Tammy Kim ha risposto: «C’è un’intensa reciprocità tra i Bts e i loro fan. I membri producono contenuti quotidiani, ringraziano e interagiscono con i fan a un livello molto emotivo, cosa che porta i fan, a loro volta, a voler restituire qualcosa». Anche nel video in cui annunciano la pausa i Bts parlano a lungo del loro stato d’animo. «Voi siete l’essenza di quello che siamo, e questo è il motivo per cui non possiamo separarvi da noi», ha detto RM, il leader del gruppo, con le lacrime agli occhi e facendo commuovere anche gli altri: «mi sento così in colpa, perché ho paura che vi abbiamo deluso. Quando dico che voglio fare una pausa mi sento come se stessi facendo qualcosa di sbagliato». La risposta dei fan è stata evidentemente quella a cui i Bts stessi li avevano educati in tutti questi anni: on line molti hanno chiesto rispetto per loro e per la loro decisione, facendo notare una certa ipocrisia tra il modo in cui i Bts sono stati a lungo sminuiti dalla stampa e dalla cultura “alta” e il modo in cui ora vengono implorati di tornare. In un recente articolo sul New Yorker E. Tammy Kim ha scritto che una fan (adulta e madre di 5 figli) le ha detto che i Bts erano diventati per lei come una specie di terapia per la salute mentale, aggiungendo di essere molto triste della loro pausa – per quanto ne capisca le ragioni – perché sono stati «di conforto per tanti per molto tempo».
Sul tema della salute mentale i Bts hanno partecipato a diverse campagne di sensibilizzazione, per esempio con Unicef e con le Nazioni Unite, e questa attenzione si è spostata in alcuni casi anche a temi legati alle discriminazioni delle minoranze, soprattutto quella asiatica negli Stati Uniti, ma non solo. Il leader dei Bts, RM, ha dichiarato di aver cominciato a leggere libri femministi dopo che il gruppo era stato criticato per alcuni versi sessisti nelle loro canzoni. E insieme a Suga, un altro membro, ha detto pubblicamente che le persone queer dovrebbero vivere il proprio amore liberamente: due cose che non sono affatto scontate in un Paese come la Corea del Sud, dov’è diffuso il maschilismo e le persone omosessuali sono poco accettate. On line l’Army dei Bts ha dimostrato in più occasioni di avere a cuore certe cause sociali e politiche, e di essere abbastanza numeroso e agguerrito da riuscire a ottenere dei risultati: l’esempio più famoso è la mobilitazione del 2020 con cui provò a sabotare il primo comizio di Donald Trump dopo la pandemia (il comizio andò malissimo, non solo per questo ma i fan dei Bts contribuirono). Più di recente i fan dei Bts si sono spesi molto anche contro l’elezione a presidente delle Filippine di Ferdinand Marcos Jr., figlio dell’ex dittatore, senza riuscire a impedirla.
Kim ha portato come esempio della dedizione dei fan dei Bts le persone (soprattutto adulte) che dedicano parte del proprio tempo a trascrivere e tradurre i contenuti sui Bts che ogni giorno vengono pubblicati on line per fare in modo che raggiungano i fan di tutte le lingue. Candace Epps-Robertson, una docente dell’Università del North Carolina, ha definito i fan dei Bts un esercito di bibliotecari che lavorano al «monitoraggio e alla documentazione degli hashtag di Twitter, agli archivi partecipativi, a blog di traduzioni di canzoni e a un archivio emergente di fan che raccontano le proprie esperienze personali di sopravvivenza e crescita». Sul New Yorker Kim ha citato le interviste di diverse persone (adulte e adolescenti) che, dopo aver scoperto i Bts, hanno deciso di cominciare a studiare il Coreano. Durante il concerto a Las Vegas, la giornalista racconta di aver avuto un momento di commozione sentendo la lingua dei suoi genitori, che per lei era sempre stata fonte di imbarazzo nella città americana dov’è nata e cresciuta, cantata all’unisono e con gioia da spettatori di tutte le nazionalità. Una donna incontrata da Kim al concerto dei Bts a Las Vegas le ha raccontato di sentirsi molto più vicina alla cultura coreana che a quella americana: «è molto “tutti insieme”. C’è molto calore», mentre negli Stati Uniti «è più: ok ci sono solo io».