di Essia Sahli (vanityfair.it, 7 giugno 2020)
La moda è una delle forme espressive umane, singola e collettiva al tempo stesso, che forse meglio incarna i continui cambiamenti storici. Questo perché spesso e volentieri è stata la comparsa di alcuni capi d’abbigliamento, in una data epoca, ad aver premuto l’acceleratore sulla sovversione di paradigmi e canoni, così come sulle restrizioni e le costrizioni sociali. Nel libro Il senso della moda, Roland Barthes rifletteva su questo fiuto della moda, spesso infallibile, e in particolare su che rapporto ha con la Storia.
Secondo il filosofo francese quest’ultima «non può agire sulle forme della moda, ma può benissimo agire sul loro ritmo, sconvolgendolo o cambiandolo». Riferito al fashion system ciò non può che essere vero, ma se consideriamo, al contrario, l’influenza della moda nella Storia, questa ha coinciso in particolare con un concetto tanto ampio e complesso quanto semplice e immediato: la libertà. Ritrovata o scoperta, la libertà – celebrata anche sul numero di Vanity Fair di questa settimana, impreziosito da una copertina realizzata in esclusiva da Lorenzo Jovanotti – si è intrecciata con le fitte trame della moda in molteplici occasioni, dai primi pantaloni femminili ideati da Coco Chanel, per conferire dinamicità alla donna moderna, ai celebri jeans, passando per la rivoluzione rappresentata dal bikini.
Che con la sua sottile preveggenza, sia stata proprio la moda a indirizzare la Storia, e le libertà di uomini e donne, verso nuove direzioni? Dopotutto, se non fosse per Paul Poiret, probabilmente l’utilizzo dei corsetti sarebbe stato sdoganato molto più tardi dei primi del Novecento. E se lo sportswear non fosse apparso in passerella qualche decennio fa, i capi d’abbigliamento tecnici verrebbero considerati ancora adatti, esclusivamente, per l’attività fisica.
L’abbigliamento morbido (anti-corsetto) di Paul Poiret, 1914
Diventato celebre per aver liberato la donna dal corsetto e per l’utilizzo rivoluzionario del drappeggio, il celebre couturier ha segnato l’inizio della moda moderna anche grazie alle intersezioni estetiche e culturali rappresentate dai suoi abiti. Femminili, confortevoli e ispirati all’Oriente, dai pantaloni alla turca all’abito kimono.I pantaloni da donna di Chanel, 1930
Sebbene i primi pantaloni femminili siano apparsi in Europa durante la Rivoluzione Francese, questi entrarono effettivamente a far parte del guardaroba femminile tra gli anni Venti e Trenta del Novecento grazie a Coco Chanel. Pioniera della moda emancipata, la stilista ha contribuito a liberare le donne dall’abbigliamento costrittivo della Belle Époque, offrendo capi confortevoli ed elegantissimi per la vita di tutti i giorni.I jeans: James Dean nel film Il gigante, 1956
Divisa da lavoro di fine Ottocento, in pochi decenni i pantaloni in denim si trasformarono da capo d’abbigliamento popolare e poco cool a icona di stile. Soprattutto negli anni Cinquanta del secolo successivo, grazie a personalità del cinema come il mitico James Dean, contribuendo a renderli emblema della gioventù provocatoria dell’epoca.Il reggiseno, 1922
Legata indissolubilmente all’evoluzione della condizione femminile, la storia del reggiseno ha subìto la vera e propria svolta moderna verso il 1920: nonostante venissero ancora usati i corsetti, questi ultimi iniziarono a essere più corti, affidando il contenimento del busto interamente al reggiseno, che all’epoca era simile a una fascia leggermente conformata. Il reggiseno per come lo conosciamo oggi ha origine nel 1922, quando Ida Rosenthal, cucitrice presso il piccolo negozio newyorchese Enid Frocks, notò che ogni modello avrebbe dovuto adattarsi maggiormente a ogni donna, e con un piccolo investimento iniziò a produrre reggiseni per ogni forma ed età.La minigonna: Mary Quant, 1967
La minigonna è sempre stata un capo-simbolo della battaglia femminista, già a partire da fine Ottocento: è in questi anni che Hubertine Auclert creò la “Lega per le gonne corte”, raccogliendo la rivendicazione di tantissime donne per un abbigliamento che garantisse una maggiore autonomia di movimento. Ma la vera e propria minigonna è opera della stilista Mary Quant, nel 1965, rendendola must-have delle londinesi più alla moda. Sino a farla conoscere al mondo intero.Il bikini: Ava Gardner, 1945
Inventato negli anni Quaranta dal francese Louis Réard, il bikini prese il nome dall’atollo delle Isole Marshall dove gli americani conducevano esperimenti nucleari. Questo perché, per lo stilista, il due pezzi avrebbe avuto un effetto esplosivo: come dargli torto? Il bikini liberò finalmente la donna dagli scomodi camicioni di qualche decennio prima, ma impiegò più di un decennio per essere accettato: basti pensare che negli anni Cinquanta, in Italia e non solo, venne letteralmente vietato.La giacca destrutturata di Giorgio Armani, 1979
A metà degli anni Settanta, in un’epoca in cui la generazione del dopoguerra entrava nel mercato del lavoro dopo un periodo fatto di provocazione ed eccentrismo nella moda, Giorgio Armani decise di rivoluzionare un capo classico come la giacca, rendendola meno austera e più adatta a chi la indossava. Sia per gli uomini sia per le donne, rendendo entrambi più liberi di sentirsi a proprio agio con la moda.La t-shirt: Marlon Brando, 1952
Come i jeans, la t-shirt subì una vera e propria transizione da capo da lavoro indossato dagli operai a must-have adatto a chiunque, grazie a influencer ante litteram del calibro di James Dean e Marlon Brando. Un capo comodissimo, aderente, traspirante e capace di accompagnare i movimenti. Ovviamente, unisex.Il power suit da donna: Katharine Hepburn, 1938
Nonostante sia stata Coco Chanel ad aver introdotto il completo da donna con pantaloni, il power suit per come lo conosciamo oggi è stato concepito da Marcel Rochas nel 1932: ispirato a quello maschile, il completo femminile ha simboleggiato, e simboleggia tuttora, la parità dei diritti tra sessi, in particolare nel lavoro.Hot pants: Marilyn Monroe, 1949
Nonostante siano iniziati ad apparire a metà degli anni Quaranta del Novecento, è nei Cinquanta che gli hot pants subiscono un vero e proprio boom, anche grazie alla canzone Shorts Shorts dei Royal Teens, rimbalzata su tutte le radio. In poco tempo le attrici di Hollywood ne vengono conquistate, rendendoli un capo glam da indossare in spiaggia e in città, in stile pin up o più urbano, liberando finalmente le gambe.Il wrap dress: Diane von Füstenberg, 1976
Anticipato dai design di Elsa Schiaparelli e Claire McCardell, rispettivamente negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, il wrap dress divenne celebre tra il 1972 e il 1973 con Diane Von Füstenberg: ispirata dal periodo post divorzio, la stilista diede vita a un abito avvolgente, con lunghezza al ginocchio e maniche lunghe, che divenne talmente popolare da essere direttamente associato alla sua creatrice. Un emblema di libertà e, soprattutto, della libertà sessuale delle donne dagli anni Settanta in poi.Lo sportswear: Alexander Wang, 2018
Moda e sport sono legati da sempre, e nell’era moderna, in particolare, dal momento in cui Coco Chanel decise di utilizzare dei tessuti sportivi come il jersey, il polo e il tweed nel prêt-à-porter. Negli ultimi decenni, tuttavia, soprattutto dagli anni Ottanta e Novanta, in passerella si sono imposte sempre più silhouette riconducibili direttamente a specifici sport come il basket, il football e non solo, rendendo lo sportswear un nuovo simbolo di lusso moderno.