di Davide Sarsini (agi.it, 25 novembre 2022)
L’Iran non ha ripetuto la clamorosa protesta della prima giornata del Mondiale e contro il Galles tutti i suoi giocatori hanno cantato o almeno mormorato l’inno nazionale. Le immagini li hanno mostrati in primo piano, tutti con la bocca semi-aperta.
Mentre sulle tribune i loro tifosi si dividevano tra quelli che hanno cantato e applaudito le parole inneggianti alla «duratura, continua ed eterna Repubblica Islamica dell’Iran» e quelli che hanno contestato con “buuu” e fischi la retromarcia dei calciatori, forse frutto anche delle pressioni del regime. Particolarmente rabbuiato è apparso Sardar Azmoun, l’attaccante del Bayer Leverkusen che si era più volto esposto a sostegno della rivolta contro gli Ayatollah. Anche se poi la vittoria dell’Iran nel finale, grazie alle reti di Rouzbeh Cheshmi e Ramin Rezaian, è stata ovviamente festeggiata da tutti con scene di giubilo e ora apre la strada alla possibile qualificazione agli ottavi in caso di vittoria sul Grande Satana, gli Stati Uniti, nell’attesissima sfida di martedì prossimo.
Nello stadio Ahmed bin Ali di Doha anche stavolta sono spuntati striscioni e magliette con lo slogan «Donne, vita, libertà» inneggiante alle proteste in corso in Iran da metà settembre, dopo la morte della giovane curda Mahsa Amini. Sui social sono spuntate denunce, corredate anche da foto, dell’intervento degli steward per cercare di “oscurare” gli slogan contro il regime. La scelta dei calciatori del Team Melli di cantare l’inno, malgrado il capitano Ehsan Hajsafi si fosse impegnato a dare “voce” alla rivolta, è probabilmente frutto delle pressioni arrivate dal regime. Dopo che erano rimasti muti prima della partita con l’Inghilterra, il potente presidente del Consiglio comunale di Teheran, il falco Mehdi Chamran, aveva lanciato un avvertimento minaccioso: «Non permetteremo a nessuno d’insultare il nostro inno o la nostra bandiera». Un deputato conservatore del Kurdistan ha invitato a sostituire i calciatori con giovani «fedeli e rivoluzionari disposti a cantare l’inno».
Il monito più chiaro, però, è arrivato con il brutale arresto alla vigilia della partita con il Galles del calciatore curdo Voria Ghafouri, portato via in manette davanti al figlio. Il 35enne difensore ha militato nei maggiori club iraniani (è stato capitano dell’Esteghlal di Teheran), ma da luglio è senza squadra e ha perso anche la Nazionale iraniana proprio per le sue forti prese di posizione a difesa della minoranza curda. Non è da escludere che la punizione per l’inno non cantato possa arrivare a fine Mondiale: a rischiare di più sono i giocatori, circa la metà, che militano in patria, anche se per le stelle tipo Mehdi Taremi del Porto, Sardar Azmoun del Bayer Leverkusen e Saman Ghoddos del Brentford ci sono sempre possibili conseguenze per i familiari rimasti in patria. A meno che una vittoria sugli Usa non induca il regime a usare clemenza verso quelli che, a quel punto, diventerebbero autentici eroi nazionali.