di Mary Adorno (cosmopolitan.com, 13 giugno 2020)
«Oggi l’hip hop è molto più dei concerti dei dj e dei rapper nei parchi del Bronx. È un fenomeno dello spettacolo che domina Internet, la televisione e la radio». Si apre così il documentario di Netflix Hip Hop Evolution, dedicato alla storia di quello che è un movimento culturale e di arte visiva, oltre che musicale. Ricostruire le sue origini non è semplice e, come accade per tutte quelle storie che sono avvolte nella nebbia del tempo, si intrecciano molte versioni appassionanti, come fosse un racconto tramandato per via orale.Nonostante questo, però, si tenta di rintracciare sempre qualche data e qualche avvenimento fondativo che faccia da riferimento per capire da dove sia partito, dove sia arrivato oggi e cosa ha significato, soprattutto per la comunità nera in cui è nato. Qui abbiamo ricostruito i primi passi dall’underground al mainstream e ti raccontiamo come due donne abbiano contribuito al suo successo muovendo le pedine giuste sulla scacchiera. […] l’11 agosto 2017 Google ha celebrato il 44esimo anniversario della nascita dell’hip hop con un Doodle dedicato in cui, appena cliccavi sulla scritta in stile graffito, si apriva un giradischi: potevi virtualmente inserire i tuoi dischi e creare la tua musica, con scratch annesso. Quella data, l’11 agosto 1973, rappresenta un punto cardine nella storia dell’hip hop e corrisponde al momento in cui Kool Herc, un dj giamaicano, organizzò una festa nel Bronx di New York in cui faceva ballare le persone girando i dischi ed evitando le pause, ovvero le interruzioni tra un cambio e l’altro. Quel mix generava nuova musica.
Questo, dunque, è considerato l’inizio che ha raccolto i semi di quell’arte in diffusione nel Bronx di New York già da qualche anno prima. In un articolo del The Atlantic si fa notare che, se ci fu un evento che poi fece in modo che il Bronx e New York si trasformassero nella culla della civiltà per la cultura hip hop, quello è stato il caos successivo alla morte di Martin Luther King, che con il suo attivismo e le marce aveva smosso la comunità nera soprattutto nelle zone rurali del Sud degli Stati Uniti, per poi arrivare nelle grandi città del Nord: «La rabbia era più violenta nelle principali città del Nord e del Midwest (…). I giovani neri in quei centri si scagliavano contro la struttura del potere, sia bianca sia nera. Per una settimana o più, gran parte dell’America nera fu consumata da un inferno. E lì, in quel primordiale caos, il calore della rabbia e l’energia elettrica determinata dalla frustrazione, si formarono le componenti molecolari di quello che sappiamo essere hip-hop». In generale, però, di questi primi anni del movimento culturale hip hop e della sua musica si sa poco. Come in molti esperti hanno dichiarato in diverse occasioni, i pionieri preziosi per ricostruire la storia delle origini hanno lasciato poche tracce ed erano una manciata di persone. Quello che accadde per loro è un po’ quello che è successo per i primi musicisti jazz dell’inizio del secolo scorso, che non furono mai registrati. Nel caso della scena hip hop, alcuni di questi non volevano neanche essere registrati.
A dare una prima svolta fu la famosa “notte di terrore” di New York, come raccontano in molti che in quel periodo bazzicavano la scena all’altezza di quel meridiano di Manhattan. Il 13 luglio 1977, a New York, ci fu uno dei più grossi blackout della Storia. Durante quelle ore di buio, molte persone presero d’assalto i negozi per derubarli. Avvenne soprattutto con quelli di elettronica, e le leggende dicono che, dalla notte al giorno, comparvero nel quartiere molti più dj di quanti ce ne fossero prima, tutti armati dell’attrezzatura necessaria per far girare la loro musica. Da quel momento, la comunità hip hop si arricchì di nuovi protagonisti. Uno dei più noti è stato Grandmaster Caz, che, in modo quasi unanime, come conferma la prima puntata di Hip Hop Revolution, è considerato il primo poeta dell’hip hop, quello a cui tutti si ispiravano nel Bronx e quello a cui molti devono anche il loro successo.
Come accade però ai pionieri, non fu lui a traghettare il rap verso il pianeta del successo mainstream. A farlo fu una donna molto particolare, che arrivò per dare una consistenza fisica, ovvero in versione disco registrato, a quella musica che girava esclusivamente live tra i parchi del Bronx e nelle performance nei locali. Si chiamava Sylvia Robinson e nella scena musicale era nota come Little Sylvia. Negli anni Settanta aveva avuto successo come cantante R&B e in seguito aveva fondato l’etichetta All Platinum Records. In quel decennio, però, i problemi finanziari cominciarono a bussare alla porta. Il caso volle che una sera si ritrovasse a una festa ad Harlem, dove un dj era dietro i suoi giradischi per fare quello che nel Bronx si faceva già da un po’. Sylvia, come illuminata da una nuova luce, decise che il suo prossimo disco, quello che avrebbe determinato la salvezza del suo business musicale, sarebbe stato con lui, nella fattispecie Lovebug Starski, che, però, come nelle migliori non happy ending story, rifiutò. Sylvia Robinson non si arrese e andò a caccia di qualcuno del mondo hip hop che fosse disposto a fare un disco.
A entrare in studio di registrazione furono gli Sugarhill Gang, costruiti a tavolino dalla stessa etichetta. Il successo del singolo e dell’album fu immediato ed esplosivo, tanto che la canzone Rapper’s Delight la potevi sentire ovunque, dalle radio ai taxi, e tanto che il gruppo cominciò a girare per le città per esibirsi, da Copenaghen al Venezuela. Era il 1979. Come da tradizione (di dissing), non tutti i protagonisti della comunità hip hop di quegli anni furono contenti. Hank, uno dei tre Sugarhill Gang, aveva chiaramente rubato delle rime a Grandmaster Caz e la loro musica, nella migliore delle ipotesi, veniva definita “una versione Pollyanna” di quello che era il vero rap. Tra chi aveva ottenuto successo e chi non voleva riconoscere dignità a quel tipo di rap, l’hip hop da quel momento cominciò a diffondersi a macchia d’olio e a diventare una vera tendenza che tutti volevano cavalcare. A quel punto erano pronte a spalancarsi le porte che lo avrebbero portato dall’underground al mainstream per creare quel mondo in cui oggi si muovono personaggi come Jay-Z o Kanye West e in cui, in passato, si sono mossi personaggi come Tupac e Notorius Big, le cui vicende artistiche sono state fortemente legate alla violenza tra gang del ghetto.
La terza svolta arrivò nei primi anni Ottanta. E anche in questo caso ci fu una donna a dare un piccolo contributo. Era Debbie Harris, aka Blondie, aka quella di cui di sicuro avrai cantato Call me. Lei è legata a una delle direttrici di diffusione che percorse l’hip hop di quel periodo, che non era solo musica ma anche un movimento artistico. A Downtown, zona di New York storicamente frequentata dai bianchi, potevi incontrare molti artisti, alcuni provenienti dal Bronx, altri, come Keith Haring, fortemente sensibili ai nuovi input. Tra questi c’era Fab 5 Freddy, che era coinvolto nella scena artistica del centro come pittore ed era molto amico del writer, come anche di Jean-Michel Basquiat. Fu lui a proporre che Afrika Bambaataa partecipasse come dj a una di quelle feste frequentate dai bianchi, che avevano deciso di sostituire la musica rock per ballare con quella punk. La loro attitudine alternativa era molto simile a quella della comunità hip hop, che aveva cominciato a far ballare in opposizione alla realtà della musica disco di quegli anni. Nei locali più underground Downtown Manhattan era quindi possibile imbattersi in dj che avevano accanto il loro MC, ovvero il Master of Ceremonies che rappava vicino a chi faceva girare i dischi. Andare nel Bronx per conoscere quella realtà non era più necessario.
Uno dei protagonisti più noti di questa fase fu Grandmaster Flash, che fu notato da Debbie Harris fin dai suoi primi scratch. Fu lei a trascinarlo nella cultura dominante e a dare il boost alla sua carriera. II punk e le persone più alternative si identificavano con l’hip hop e crearono linee di connessione, abbattendo barriere geografiche e di cultura, come solo la musica sa fare. Per concludere questo piccolo pezzo di storia dell’hip hop, devi sapere che Fab 5 Freddy in questa fase è stato l’anello di congiunzione dei due mondi e successivamente è diventato famoso anche per il suo ruolo di presentatore di YO! Mtv Raps, la trasmissione che negli anni Novanta trasformò il rap in un fenomeno mainstream e che si prepara a tornare su Mtv dopo trent’anni con la conduzione di Emis Skilla e Valentina Pegorer. Perché si sa che quello che non muore (il movimento hip hop) si rivede (in tv), più forte di prima.