Gli africani si riprendono la loro Woodstock

di Giandomenico Curi («Il Venerdì», suppl. a «la Repubblica», 22 settembre 2017)

Il manager Don King aveva chiesto 10 milioni di dollari per organizzare a Kinshasa (allora Zaire, oggi Congo) l’incontro del secolo tra Muhammad Ali e George Foreman. E solo Mobutu poteva permettersi quella cifra, il dittatore che aveva fatto i soldi grazie al rame che la guerra del Vietnam aveva portato alle stelle.Zaire_74Lo stesso Vietnam aveva tolto ad Ali il titolo dei pesi massimi quando si era rifiutato di partire per la guerra ed era finito in galera per tre anni. E adesso (settembre 1974) lo rivoleva indietro. Mobutu organizzò l’evento come una sorta di Woodstock nera che sarebbe diventata l’espressione dell’orgoglio panafricano: cioè le stelle più luminose della musica d’Africa a suonare insieme ai grandi cugini della diaspora americana (da B.B. King a James Brown). Insomma tre giorni di grande roots music, una sorta di mega concerto che fu chiamato Zaïre 74, a gestire il quale Don King chiamò due signori della musica nera internazionale, il produttore americano Stewart Levine e il trombettista sudafricano Hugh Masekela. Tutto questo doveva portare anche alla realizzazione di alcuni dischi che, per una serie di guai giudiziari (fallimento della Liberian, la società produttrice, e Don King che blocca tutto), vedono la luce solo nel 1997. Ma dischi e documentari (Quando eravamo re di Leon Gast vincitore dell’Oscar nel 1996, e Soul Power Kinshasa Zaïre 1974 di Jeffrey Levy-Hinte del 2008) parlano soprattutto dei musicisti americani presenti in quei tre giorni di festa. Poi, un anno fa, i due produttori rimettono le mani sui nastri originali e scoprono che si tratta di un materiale straordinario. «Registrazioni dimenticate» dicono Levine e Masekela «di grande forza e bellezza. Siamo rimasti affascinati e travolti come allora. Quello era un momento formidabile per la musica africana, e molti di questi artisti si esibivano per la prima volta davanti alla propria gente, in uno stadio con 80mila persone. Così abbiamo pensato che, seppure 42 anni dopo, il mondo doveva conoscere questa musica». Si chiama Zaïre 74: The African Artists il triplo album da poco stampato dalla Wrasse Records con dentro la musica di tutti gli artisti, africani e americani, che parteciparono al grande evento. Tra gli altri, Miriam Makeba / Mama Africa, per anni portavoce della resistenza contro il regime dell’apartheid in Sudafrica, e Manu Dibango che invece mischia il suo sax con i salseros cubani di Celia Cruz. E poi ci sono Franco & TPOK Jazz, l’inventore di quella rumba zairese che allora faceva dondolare l’Africa intera; e il suo rivale, qui in grandissimo spolvero, Tabu Ley Rochereau, il James Brown africano che mette in fila i suoi successi in una sorta di funky tropicalizzato che manda in delirio la folla; fino al finale con una lunga versione di Salongo, chiara allusione alla politica di Mobutu, novello Mao, che sta guidando il Paese verso un avvenire radioso. Allora Mobutu era ovunque, come Stalin, anche nelle canzoni. Ora è finito nel libro nero dei governanti criminali e deliranti.

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