di Riccardo Brizzi (quotidiano.net, 11 luglio 2021)
Le grandi imprese della Nazionale italiana di Calcio e l’entusiasmo che le ha accompagnate hanno spesso rappresentato spartiacque importanti nel nostro immaginario collettivo. Indipendentemente dai regimi politici. Il fascismo strumentalizzò ampiamente i trionfi mondiali del 1934 e del 1938 (e quello nel torneo di Calcio delle Olimpiadi berlinesi del 1936), presentandoli come il simbolo del ritrovato prestigio internazionale dell’Italia. Mussolini d’altronde veniva raffigurato dalla propaganda come “il primo sportivo d’Italia”, e i successi della Nazionale dovevano simboleggiare la fine dell’apatia atletica dell’Italietta liberale e la conferma della superiorità dell’uomo nuovo fascista.
Al punto che il successo nella Coppa del mondo in Francia del 1938, alla vigilia del Manifesto della razza, fu celebrato dal regime come la manifestazione di una presunta superiorità fisica e morale degli italiani. L’Italia democratica e repubblicana ha evidentemente tolto connotazioni di parte alle imprese della Nazionale, veicolando un patriottismo inclusivo che ha nondimeno caratterizzato svolte importanti della nostra storia. A partire dalla vittoria agli Europei del 1968, che ha rappresentato un momento di rifondazione collettiva per un Paese solcato da profonde fratture politiche e generazionali. L’entusiasmo incontrollabile dei tifosi sommerse piazze e strade, sdoganando il Tricolore, sino ad allora icona ad appannaggio della retorica nazionalista del Msi. Si assistette all’esplodere di un patriottismo popolare imprevedibile (tanto più che il movimento giovanile aveva spesso proposto temi in contrasto con gli eccessi dell’orgoglio nazionale), confermato più tardi dai caroselli tricolori dopo l’epico 4-3 contro la Germania e sancito definitivamente nel 1982 dall’esultanza di un presidente partigiano sugli spalti del Santiago Bernabeu.
Proprio l’11 luglio di trentanove anni fa il “Campioni del mondo!” scandito tre volte da Nando Martellini al termine della finale con la Germania rappresentò un urlo liberatorio che esprimeva la voglia di voltare pagina dopo il decennio drammatico degli Anni di piombo. Si aprivano finalmente le porte a una nuova stagione di crescita e a un decennio spensierato e dinamico, per quanto ricco di contraddizioni. “Il peggio sembra essere passato” avrebbe cantato Sergio Caputo in Sabato italiano. Un periodo chiuso simbolicamente dalle “notti magiche” di Italia ’90, il cui triste epilogo sembrò sancire il tramonto inesorabile della “Prima Repubblica”, accelerato dagli scandali di Tangentopoli. Proprio in questo contesto di disorientamento generale Silvio Berlusconi, alla vigilia delle elezioni del 1994 e del mondiale negli Stati Uniti, maturò la decisione di entrare in politica, anzi, come lui stesso precisò, di “scendere in campo”, alla guida di una formazione denominata “Forza Italia”, rimarcando sin dal nome la contiguità che nel nostro Paese esiste tra dimensione calcistica e politica.
Più recentemente le imprese degli Azzurri nel Mondiale del 2006 hanno consentito di voltare (forse troppo frettolosamente) pagina nel pieno della più grave crisi conosciuta dal pallone italiano, mentre oggi l’entusiasmo popolare nei confronti della nazionale di Mancini è la spia di un Paese che prova faticosamente a rimettersi in moto dopo la pandemia e a risollevarsi dalla crisi demografica, economica e di sfiducia in cui è sprofondato da troppi anni. Il premier britannico Churchill si prendeva gioco di noi dicendo che gli italiani perdono le partite di Calcio come se fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio. Non aveva tutti i torti. Ma l’entusiasmo suscitato dai successi della Nazionale non costituisce soltanto uno dei pochi punti fermi dell’identità nazionale di un Paese irrimediabilmente diviso e litigioso: ha periodicamente fornito anche una risposta potente quanto spontanea a un bisogno di catarsi collettiva. Rappresenta il tentativo di reazione alla decadenza annunciata del nostro Paese. Continua ad alimentare l’idea, magari ingenua ma rassicurante, che anche un Paese abituato alla sconfitta possa finalmente voltare pagina e iniziare a vincere.