In due anni, il pontificato di Bergoglio è diventato l’argomento religioso principe del piccolo schermo. Lo rivela il dossier di Critica liberale. Che denuncia: troppo poco lo spazio dedicato alle altre fedi
di Paolo Rodari («la Repubblica», 13 marzo 2015)
Città del Vaticano – Due anni dopo l’elezione al soglio di Pietro, il 13 marzo 2013, Francesco domina i palinsesti della tv italiana, pubblica o privata che sia. È il paradosso di un Papa che ama la semplicità e il nascondimento, ma ha i riflettori sempre puntati su di sé. Il primato di Bergoglio emerge ora da un dossier di Critica liberale, che mette in luce come in pochi mesi si sia passati dall’attenzione morbosa per gli scandali del Vaticano a quella per il vescovo di Roma. Una figura raccontata, come scrive la rivista diretta da Enzo Marzo, «attraverso le scarpe ortopediche, l’amore per il tango, la passione per il calcio, le telefonate ad atei e (ex) mangia-preti. E i suoi moniti, amplificati e magnificati con compiacimento, forse politicamente scorretti, ma pieni di senso comune. Ecco, il miracolo è dunque avvenuto: abbiamo un Papa della porta accanto». L’“argomento Francesco” è il primo di quelli religiosi in tv (34,4%), davanti alle questioni della fede in generale (13,1%), alla canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII (16,9%), seguiti a loro volta da temi come miracoli, persecuzioni religiose e solidarietà. Anche nelle singole trasmissioni Francesco è centrale. Porta a porta, per esempio, ha dedicato fra il 2013 e il 2014 due puntate soltanto a lui. Sicché una domanda è d’obbligo: perché tutto questo? Secondo Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano e fresco autore di Un papa solo al comando (Tau), «lo stile di governo di Francesco, costretto a riformare la Chiesa da solo, unica possibilità perché una vera riforma avvenga, favorisce il fatto che tutti guardino principalmente a lui. È il prezzo che paga chi davvero vuole agire e non essere soltanto di passaggio. Nello stesso tempo – aggiunge Svidercoschi – credo che Francesco non si aspettasse tutta questa popolarità, ma resosi conto di essa, non l’ha rifuggita, accettandola e permettendo che in qualche modo si perpetrasse». Dal Papa alla religione cattolica il passo è breve. È il cattolicesimo, per Critica liberale non senza una certa mancanza di pluralismo, il re incontrastato dell’informazione televisiva religiosa. Il 95,5% dell’approfondimento religioso in tv, infatti, ha avuto dal primo settembre 2013 al 31 agosto 2014 temi e soggetti inerenti la fede cattolica. E anche quando si parla di altre religioni lo si fa sempre attraverso la lente cattolica. La religione cattolica vince nei palinsesti con il 74,7% fra numero e durata di trasmissioni. Segue il protestantesimo con il 12,4%, l’ebraismo con l’11,8% e tutte le altre, dal buddismo al’Islam, che oscillano fra lo 0,2 e lo 0,3%. I programmi specificatamente religiosi sono le dirette domenicali delle messe, la recita dell’Angelus papale, le celebrazioni di eventi importanti di culto, le rubriche fisse dedicate alle confessioni religiose come – per il cattolicesimo – A Sua immagine, Tg1 Dialogo, Sulla via di Damasco e Le frontiere dello spirito. Mentre ai protestanti e agli ebrei si rivolge una sola rubrica di trenta minuti a settimane alterne in onda la domenica notte (all’1.30 circa) su Raidue. Quanto a numero e durata delle trasmissioni religiose, la fede cattolica è in testa con il 78,6%. Seguono i protestanti (11,4%) gli ebrei (9,8%) e poi tutti gli altri. La tv con più trasmissioni religiose è Raiuno (357 in totale), poi Raidue (215), Rete 4 (54) e Canale 5 (37). Per Critica liberale, il tutto, evidenziato anche da un esposto dell’Uaar, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, si tratta di «violazione del pluralismo informativo in materia di religione». «Il potere cattolico – spiega Raffaele Carcano, segretario dell’Uaar, ripreso in fondo al dossier di Critica liberale – è veramente enorme, se si pensa che i partiti politici riconoscono, più o meno a malincuore, che è necessario porre limiti alla propria presenza in video, ma che non è indispensabile porli alla Chiesa». Commenta invece Luca Diotallevi, sociologo e docente a Roma Tre: «Se osserviamo la presenza reale di altri culti nella società italiana, la quota che viene data complessivamente nella comunicazione radio-televisiva a queste altre confessioni è uguale se non superiore alla loro presenza nel Paese. Se quasi tutti gli italiani si dicono cattolici, è normale che in tv siano preminenti».