Sono un caso le foto sexy della moglie del presidente
di Paolo Valentino («Corriere della Sera», 28 giugno 2014)
NEW YORK – Quando nel febbraio 2009, al primo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama, la moglie Michelle si presentò al Congresso con un elegante vestito di Narciso Rodriguez, che ne lasciava interamente scoperte le lunghe braccia, furono in molti in America a storcere il naso con disapprovazione. Abbigliamento inappropriato, poco rispetto per le istituzioni, troppa frivolezza modaiola, furono i commenti dominanti. Eppure, a dispetto di tanti riflessi bacchettoni e in alcuni casi apertamente sessisti, il principio affermato dalla First lady si rivelò vincente: «Se ho voglia di andare a sentire mio marito scollata, continuerò a farlo», fu il suo commento. Cosciente o no, Michelle Obama aveva aperto il varco a una diversa iconografia e a una nuova auto-percezione delle donne di potere. «La domanda era: si può essere potenti e femminili, autorevoli e attraenti allo stesso tempo? La risposta da quel momento è positiva», spiega Dee Dee Myers, che fu portavoce della Casa Bianca sotto Bill Clinton e oggi fa l’analista politico. Ma la provocazione di Michelle impallidisce ora, di fronte alla bomba fatta esplodere dall’edizione messicana della rivista Marie Claire, che nel numero di luglio pubblica un servizio di 20 pagine dedicato a Angelica Rivera de Peña, First lady del Messico, e alla figlia Sofia Castro. Dove tutto, a partire dalla foto di copertina, è sexy e ammiccante. Dalle pagine del mensile, alternando profonde scollature a trench di pelle, minigonne con spacchi ad attillati fuseaux, le due signore guardano con aria decisa e quasi di sfida dentro l’obiettivo del fotografo. Ancora più delle mise, sono infatti le pose a essere volutamente provocatorie. Sguardo seducente, mani sui fianchi piegati o sulle gambe nude, testa gettata languidamente all’indietro. Il punto della storia? Una nuova definizione del «potere al femminile», che secondo Rivera nasce dalla combinazione tra «indipendenza personale» e femminilità. Il terreno è sdrucciolo, naturalmente. L’immagine tradizionalmente legata a una First lady o alle donne al potere, non solo negli Stati Uniti, è sempre o quasi sempre stata regale, materna, in qualche caso business like. Vengono subito in mente i sobri blazer colorati della cancelliera Angela Merkel, che la narrativa ufficiale accredita come die Mutter der Nation, la madre della nazione, pronta ad applaudire la nazionale di calcio tedesca a ogni angolo del globo. O, in un’altra epoca, i regali tailleur blue conservative dell’immensa Margaret Thatcher, che parlando di se stessa usava il noi. O ancora, i castigatissimi tailleur-pantalone di Hillary Clinton. La stessa Michelle Obama, bicipiti a parte, è molto misurata nell’abbigliamento e nelle pose assunte sulle cover dei vari Vogue, People, Better Homes, The Oprah Magazine, Glamour, Children’s Health, Ladies Home Journal. Detto altrimenti, quando si tratta di donne al potere, se non la bellezza, il sex appeal non fa sicuramente parte del vocabolario. Le eccezioni, se così si può dire, si contano sulle dita di una mano: Carla Bruni al tempo dell’Eliseo; Letizia Ortiz, neoregina di Spagna; la nostra giovane ministro Maria Elena «shabadabadà» Boschi. Ma il sasso gettato dalla signora Rivera de Peña su Marie Claire ha dalla sua un argomento forte e rompe un altro tabù. «Tutte le donne sono First ladies – dice nell’intervista -, io ho l’onore di rappresentare il mio Paese quando accompagno mio marito all’estero e mi piace indossare abiti di creatori messicani che hanno raggiunto fama internazionale e per me sono i migliori del mondo. Essi interpretano la donna messicana moderna, che ama apparire bella, è vestita bene, è colta, lavora e si occupa dei suoi figli e della famiglia». Dove la cura di un’immagine femminile e sexy non è più associata a superficialità e frivolezza, ma può benissimo conciliarsi con l’orgoglio patriottico, il politicamente corretto e la promozione intelligente dell’interesse nazionale. E forse, parlando di donne in carriera, un esempio molto calzante di quanto ciò sia vero lo ha dato pochi giorni fa la bellissima attrice americana Olivia Wilde, che recita nel ruolo di una scrittrice insieme a Liam Neeson nel film Third Person di Paul Haggis, appena uscito negli Usa. Recensendo la pellicola, il critico cinematografico di GQ, Tom Carson, c’era andato pesante, producendosi in una infelice derapata sessista: «Fa la parte di una scrittrice, ma non ci crederete per molto, soprattutto quando la vedrete girare nuda nei corridoi di un albergo. Con quel culo, chi ha bisogno di essere anche colta?». Straordinaria risposta via Twitter della Wilde: «Kiss my smart ass».