Fico in autobus? È solo il simbolo della nostra ipocrisia

di Francesco Francio Mazza (linkiesta.it, 27 marzo 2018)

La nostra potrebbe essere definita come l’Età dell’Ostentazione: tutti mostrano tutto, senza ritegno, nel tentativo di mendicare un decimo di secondo della nostra attenzione. Allo stesso tempo, però, gran parte di questa Umanità disposta a tutto pur di apparire pretende dalla classe dirigente chiamata a rappresentarla l’esatto contrario, in un’ansia pauperista che ormai non conosce più confini.ficobusUn conto è la condanna del peculato, che è un reato istituito dal Codice penale e che come tale viene perseguito, o la denuncia di quelle sacche di malaffare, spesso legate alle Regioni, in cui la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni viene presa a schiaffi quotidianamente, dando origine a una crisi di rigetto che diventa miele per sciami di api populiste sempre più numerosi. Questione ben diversa, tuttavia, è pretendere che chi sia chiamato a svolgere funzioni delicate e necessarie al funzionamento dello Stato se ne vada in giro come la signora Cecioni diretta al mercato rionale. È banale ripetere le motivazioni, ma vale la pena farlo in un momento in cui si sentono le urla delle groupies pauperiste di tutta Italia eccitate alla notizia che l’Onorevole Roberto Fico abbia preso l’autobus per recarsi al suo nuovo lavoro di Presidente della Camera. Primo, perché la Terza Carica dello Stato – ma in generale chiunque svolga un ruolo di interesse per la collettività – è un obiettivo a rischio dal punto di vista della sicurezza. È per questo motivo, non per assecondare manie di grandezza o appetiti libidinosi, che, prima che l’ondata pauperista mandasse KO il buon senso, venivano usate le auto blu. Scorrazzare liberamente per la Capitale sarà anche un segnale “identitario” lanciato dalla terrazza del lussuoso Hotel Forum con vista sui Fori Imperiali agli elettori di Tor Bella Monaca, ma in quel modo non solo si complica il lavoro del servizio di scorta ma si mette a repentaglio la sua sicurezza e quella dei cittadini. Secondo, perché il pauperismo esasperato ammazza qualunque criterio di meritocrazia interno alla classe dirigente. Il tema vero dovrebbe essere l’individuazione e la sostituzione di politici e dirigenti incapaci, attraverso una rivoluzione dei meccanismi alla base della selezione della classe dirigente, che in Italia sono, da sempre, avvolti in un cono d’ombra spesso inquietante. E, ove necessario, la punizione dei colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione attraverso pene non “esemplari” ma semplicemente certe e soprattutto rapide (Franco Fiorito, il batman della Giunta Polverini che con i rimborsi della Regione Lazio organizzava feste in stile The Wolf of Wall Street de’ noantri, sembra una storiaccia risalente a un’era geologica fa, però è stato condannato in Appello solo lo scorso dicembre). Costringere chi esercita il potere in modo virtuoso a girare sul bus come detta signora Cecioni, magari rinunciando, in futuro, al vestito di sartoria a vantaggio di una tuta con calzino bianco d’ordinanza, vuol dire allontanare dalla Pubblica Amministrazione chiunque abbia raggiunto un qualsiasi tipo di successo sociale o economico nel settore privato, rendendo la Cosa Pubblica nulla di più che un ascensore sociale per mezze calzette e avventurieri senza niente da perdere. Ma a ben guardare il problema è sempre lo stesso: invece che affrontare i nodi cruciali di un problema si preferisce dare in pasto all’opinione pubblica una serie di azioni simboliche che non hanno alcun effetto se non quello di strappare l’applauso degli ultras di riferimento, lasciando inalterato lo stato delle cose, abituando i cittadini ad attendersi nient’altro che questo. Facciamo una bella battaglia simbolica per introdurre, nella lingua italiana, obbrobri come “Sindaca” o “Presidenta”, in modo da finire ogni giorno sui giornali: però guardiamoci bene dal darci da fare per introdurre una legge che renda illegale chiedere alle donne, ad un colloquio di lavoro, se hanno intenzione di sposarsi, per poi depennarle al minimo segno di incertezza. Passiamo cinque anni a dannarci l’anima parlando di accoglienza, facendo a gara a chi lascia sulla bacheca di Salvini il commento più sprezzante: però lasciamo inalterata la Bossi-Fini senza nemmeno provare a discutere di uno straccio di alternativa, per non parlare di quanto accaduto sullo ius soli. È la politica di oggi, un organismo geneticamente modificato al punto da non trarre la propria ragion d’essere dal desiderio di riforma a partire da un insieme di valori di riferimento, ma dal desiderio di ammassare un consenso fine a sé stesso per portare a casa un vantaggio immediato, puntando esclusivamente a un blocco sociale composto da gonzi e faciloni. Consenso che, immancabilmente, si rivela volatile come i like su Facebook, e che infatti è pronto a evaporare al primo cambiamento di clima. Da qualche anno non si fa altro che scrivere delle nefandezze del populismo ma la verità è che il populismo di Fico appollaiato sul bus è identico a quello usato da tutti i leader di sinistra quando pensavano che per far breccia sul popolo non si dovesse più parlare di aumento di salari ma bastasse inforcare una biciclettina sfigata e fare ciao-ciao con la manina ai fotografi. Da Ignazio Marino, che ignorando i consigli della scorta andava in bici alla convention del partito (salvo poi essere condannato per la questione degli scontrini: brutale contrappasso!), a Giorgio Gori che sbarazzino gira per le vie della sua Bergamo, da Beppe Sala seduto sul sellino in posa fantozziana fino al sindaco di Napoli Luigi De Magistris, anche lui alle prese con la pantomima della bici. Si chiama demagogia e consiste nella lusinga costante delle attese più basilari ed elementari delle masse: non riguarda i partiti cosiddetti populisti ma costituisce l’unico modo di far politica oggi, a tutte le latitudini. Ed è un gioco al massacro, perché se lo cavalchi legittimi una realtà alla rovescia, con la Lega di Salvini che può vantare di aver eletto la prima persona di colore al Senato, o con Forza Italia di Berlusconi che, da partito del bunga-bunga, si trova a un passo da diventare “il partito delle donne”, vista la probabile, futura reggenza tutta al femminile. Invece di provare goffamente a farne parte, forze politiche serie, quelle degne del famigerato “Paese normale”, avrebbero il dovere di provare a invertire il senso di marcia e denunciare le sceneggiate per quello che sono: cialtronate buone per una tesi di laurea in Scienze della Comunicazione, ma non certo a raddrizzare i conti di uno Stato alle corde o di migliorare la vita dei cittadini. E invece, per non rischiare di andare a casa, per anni si sono accodati di conseguenza, in una lotta all’ultima boutade e all’ultimo like che ha avuto come unico risultato quello di mandare a casa quasi tutti. Non è un discorso che riguarda la sinistra: davanti ai cori di approvazione per Fico che timbra il biglietto per andare a Montecitorio è l’intera politica, così come l’abbiamo intesa finora, a rischiare di scomparire. Di questo passo, tra un paio di legislature, se decideranno di indossare un saio e rinunciare all’ostentazione della loro ricchezza, a Montecitorio avremo Chiara Ferragni e a Palazzo Madama Fedez, per un ticket istituzionale all’insegna del Like.

Spread the love