di Manuel Peruzzo (huffingtonpost.it, 17 febbraio 2022)
Hanno vinto i conservatori. Ci ho pensato quando ho visto “Love Fiercely”, la campagna social con l’obiettivo di sensibilizzare i fan di Chiara Ferragni sulle forme d’amore inclusivo lgbtq+, che è un po’ come sensibilizzare i follower del Papa circa l’importanza di amare il prossimo e quelli di Lady Gaga sul vestirsi come gli pare. Nel video si intervistano tre coppie che si amano (l’uomo trans e la donna cis, le lesbiche interracial che si tengono per mano e i papà gay della ztl di Milano), rappresentative di tutti e di nessuno, e per dimostrare che l’amore è bello in ogni sua forma contro ogni pregiudizio si chiede loro “come vi siete conosciuti?”, ma anche “vi importa dello sguardo della gente?”. Certo, sono tutti content creator o talent o creativi, vivono dello sguardo sui social, e rispondere “non ci importa nulla” ha la stessa validità della Nike che dice che fa le scarpe per passione, mica per venderle.
Quando chiedono allo stylist Nick Cerioni (l’autore occulto delle personalità di Achille Lauro e di molti altri) e al suo compagno se sentano mai gli sguardi omofobi su di loro (ossessione sintomatica da vecchia beghina: cosa penseranno di me gli sconosciuti per strada), la risposta non può che essere negativa. Dopotutto, i “frocio” che ricevono nel quadrilatero della moda possono arrivare solo da un altro omosessuale a cui hanno appena tagliato la strada. I due sono anche genitori. Hanno realizzato il sogno omosessuale d’essere visibili e invisibili allo stesso tempo, completamente assimilati in quella sovrastruttura etero-patriarcale che oggi tutti vogliono distruggere con desinenze neutre o indossando abiti pensati per un altro genere, ma che sembra essere ambitissima (e io che pensavo che volessimo il matrimonio per poterlo rifiutare: un mondo alla rovescia dove gli etero invidiano la sessualità libera dei gay e i gay inseguono l’asessualità monogama degli etero).
Quando ho inviato questo video ad alcuni amici si sono subito formate due file: quelli che “buon per loro, io continuerò a pippare nei bagni pubblici e a limonare con sconosciuti” e quelli che “che sfiga pazzesca c’ha addosso tutta questa operazione, è esteticamente triste”. Le persone che frequento non sono rappresentative di niente. In pubblico sotto ai video c’erano solo cuori, e questo è forse l’unico articolo scritto senza favori all’ufficio stampa, perché Ferragni ci piace e perché i gay sono i nuovi gattini. Quindi accettiamo che lei si posizioni socialmente con messaggi rivoluzionari quali “vivi e lascia vivere” e nel farlo danneggi l’immagine dei gay che diventano uno di quelli che piacciono tanto alle zie: fa i compiti, ha tanto gusto, molto creativo e ha il coraggio d’amare un altro uomo a Porta Venezia. Che fine abbiamo fatto noi gay antisociali?
Alberto Arbasino, uno che non s’è mai fatto troppi problemi identitari, in un passaggio su Robert Mapplethorpe scriveva che, prima di tutti i vantaggi portati dall’emersione dell’omosessuale nella scena pubblica (aggiungo con complicità di quella piaga nota come epidemia di Aids), si faceva molto più sesso e non occorreva essere gay per avere un incontro con un altro uomo, c’erano meno donne disponibili e ci si arrangiava molto con “giovanotti senza problemi e senza etichette, in cinema e parchi e stazioni e caserme”. Tutto è finito con la liberazione sessuale e l’emancipazione degli omosessuali. Oggi ci sono più etichette che persone e scopare è sempre meno prioritario. Gli unici che si devastano ancora e vivono come rockstar sono i preti con le offerte della messa. “E su tutti quei luoghi invisibili scattò la curiosità, il pettegolezzo, e quindi la repressione. Inizio dell’ideologizzazione. Sconforto di Pasolini ed altri”, scrive sempre Arba in Ritratti e immagini. Oggi, se Pasolini fermasse un teen etero per dargli un passaggio, il ragazzo lo denuncerebbe per molestia. E fine della carriera di Pasolini. Molti gay vi diranno che non rimpiangono per nulla quel periodo in cui il sesso importava ancora a qualcuno e si provava un sottile godimento nel far qualcosa di socialmente condannabile, battere in zone oscure, concedersi uno scambio di fluidi corporei tra sconosciuti. Poi ci sono quelli sinceri. Quelli che sì, i diritti sono importanti, però quanto si stava meglio sessualmente quando eravamo invisibili.
Se vi state chiedendo cos’abbia a che fare Ferragni con l’amore libero è perché non l’avete sentita dire: “Amare con fierezza, amare come vuoi e chi vuoi è il significato di tutto quello che ha spinto le mie scelte” (e nessuno che le abbia detto: e ti sei messa in casa Fedez, dovremmo fidarci?). Qui Ferragni più che una hippie che s’infila fatta in una tenda a Woodstock mi fa l’effetto di una di quelle studentesse ubriache che finiscono in Via Lecco a Milano per l’addio al nubilato vestite da spose e coi cazzetti disegnati a pennarello sulla guancia dalle amiche birichine e frizzantine. Insomma, Ferragni sta all’amore libero e contro tutto e tutti come Naomi Campbell sta al razzismo e alla povertà. La vera cosa interessante è che per tutte e tre le coppie il coming out non è necessario e non è dovuto, cade quella che Sergio Rigoletto ha chiamato teleologia gay del “sei veramente te stesso solo quando sei dichiarato” (che i trans non hanno mai avuto: nessuno li chiama trans velati o criptotrans), e che era l’ossessione dei gay militanti del Fuori negli anni Settanta. Amare fieramente diventa, quindi, una cosa privata e lontana dagli occhi dei padri e delle madri. E se proprio questi vogliono una dichiarazione pubblica di ciò che sono e ciò che desiderano i loro figli possono farsi un account su Instagram. Scopriranno che nonostante tutte le stranezze, le incomprensioni, le bizzarrie false rivoluzionarie, questi vogliono solo essere come i loro genitori.