di Andrea de Georgio (internazionale.it, 23 luglio 2021)
7 luglio 2021. Mentre il Sole comincia lentamente a calare, una fiumana di gente affolla la Corniche Président John Fitzgerald Kennedy di Marsiglia, trafficato lungomare che collega il centro città alle spiagge di Catalans, Malmousque, Maldormé e, più avanti, Prado. Il Théâtre Silvain, suggestivo anfiteatro immerso nel verde che scalda le estati musicali marsigliesi, stasera ospita il concerto di Fatoumata Diawara, una delle voci più eccentriche e interessanti del panorama artistico africano. I biglietti per la serata clou del Festival de Marseille, che chiude la 17ª edizione di Africa Fête, sono esauriti da giorni.
Diverse migliaia di persone – dopo aver presentato all’ingresso un certificato vaccinale o un test molecolare negativo al Covid-19 – riempiono la pista da ballo e gli ampi gradini del teatro all’aperto per assistere allo spettacolo della Diva maliana. Alcuni ragazzi, appostati in cima alle mura esterne della struttura, si accontentano dei giochi di luce e degli echi del concerto, riflessi sulla collina dietro le loro spalle. Tornata in tour «dopo un anno buio per tutti, particolarmente per gli artisti», Fatoumata Diawara si sta riprendendo i palchi e i riflettori dei più importanti festival musicali in programma quest’estate in diverse città europee: Barcellona, Parigi, Londra, Zurigo, Oslo, Stoccolma, Varsavia, Utrecht, Edimburgo, Strasburgo, Bologna, Roma, Sassari. Solo per citare le principali. «Poter ritornare a suonare davanti a così tanta gente è incredibile, è come reimparare insieme a camminare». L’energia sprigionata durante le sue performance live è contagiosa e imbarca il pubblico in un viaggio di sola andata nel poliedrico mondo di Fatou, artista di 39 anni che non smette di crescere, sperimentare e condividere, nonostante una già lunga carriera costellata di successi.
Attrice, ballerina, musicista, cantautrice. La sua maturazione artistica comincia presto: già a 8 anni viene iniziata alla danza e alla chitarra dal padre; nel 1996, a 14 anni, fa la prima apparizione cinematografica nel film Taafé Fanga del regista maliano Adama Drabo, che racconta la rivolta delle donne in un villaggio Dogon; successivamente recita per il celebre regista maliano Cheick Oumar Sissoko nel film La Genèse, selezionato al festival di Cannes del 1997. «La mia vera fortuna è stata cominciare a viaggiare per il mondo a 19 anni, grazie al teatro», racconta Diawara nel backstage del concerto di Marsiglia. «Ho imparato che ci vuole amore per cambiare le cose». Partita giovanissima da Bamako, scampata a un matrimonio combinato e a una situazione familiare complicata, il suo spirito libero trova rifugio nella prestigiosa compagnia di teatro di strada Royal de Luxe. Da Parigi, per sei anni, parte in tournée esibendosi ai quattro angoli del pianeta, plasmando il suo senso artistico attraverso le diverse culture incontrate lungo il cammino. «Ricordo di essermi stupita la prima volta che, da ragazza, negli Stati Uniti, ho visto un’artista cantare e, contemporaneamente, suonare la chitarra. In Mali, se sei donna, o suoni o canti».
Davanti all’eterogeneo pubblico del Théâtre Silvain, accompagnata da un virtuoso quartetto (pianole, chitarra, basso e batteria), Fatoumata Diawara imbraccia fiera la chitarra elettrica, rossa fiammante, che sfoggia sopra a uno sgargiante vestito giallo in tessuto wax e un velo rosso svolazzante con cui, durante alcune danze sfrenate, si copre il volto. Le scarpe da ginnastica – anch’esse rigorosamente rosse – per quasi due ore non smettono di saltare e di scattare da una parte all’altra del palco. Durante lo show, alla fine di ogni canzone, per introdurre la successiva, il pugno chiuso alzato al cielo, ribadisce i temi forti che si trovano anche nei due album da solista finora pubblicati (Fatou, del 2011, e Fenfo, “Molto da dire” in Bambara, del 2018, entrambi usciti per l’importante etichetta World Circuit): la questione femminile, la lotta contro le mutilazioni genitali delle donne, gli effetti nefasti del cambiamento climatico, la libertà di movimento di tutti gli esseri umani. Sul fenomeno delle migrazioni dall’Africa verso l’Europa Fatoumata Diawara ha scritto e cantato diverse canzoni, come Clandestin (2011), Djonya (“Schiavitù”) e Nterini, quest’ultima citata dall’ex presidente statunitense Barack Obama nella sua playlist preferita del 2018.
Passando agilmente da una complessa rivisitazione di Sinnerman di Nina Simone a un pezzo-tributo a Fela Kuti, anima ispiratrice dell’afrobeat, da un vecchio cavallo di battaglia come Sowa a canzoni inedite e sperimentali, sul palco Fatoumata celebra la grandezza delle donne africane che hanno lottato attraverso la musica come Angélique Kidjo, Miriam Makeba, Oumou Sangaré. «Le donne si stanno organizzando. Ma abbiamo bisogno anche dell’aiuto di voi uomini!», dice sforzando quel poco di voce che le resta a fine concerto. «Qualcosa sta cambiando, ma vorrei vedere più giovani donne che si sentono leader nel loro settore, non solo in ambito artistico». L’Africa che racconta, e che vibra forte nel suo timbro musicale sfuggevole alle etichette, vive una transizione importante. «È un periodo speciale, stiamo rinascendo e finalmente succedono belle cose: nascono nuovi suoni, nuovi video, nuove espressioni, nuove rappresentazioni. La gioventù si batte per cambiare l’immaginario dell’Africa, ma la realtà politica, in Mali e nel Sahel, è caotica».
Un gruppetto di fan maliani fissi sotto il palco sventola senza sosta una grande bandiera verde-giallo-rossa, urlandole per tutto il concerto “Sia Yattabare”. Per il pubblico africano, infatti, Fatoumata Diawara è strettamente legata al personaggio interpretato in Sia, le rêve du python del grande regista Dani Kouyaté. Il film del 2002, premiato in diversi festival internazionali e diventato un cult in tutta l’Africa Occidentale, racconta la leggenda di una giovane vergine offerta in sacrificio al dio Pitone che cerca di liberarsi dal suo triste destino. Quando la storia di uno o più personaggi s’incolla alla vita di un’artista, diventa difficile scindere la persona reale dalla rappresentazione. Il pubblico europeo, invece, la ricorda maggiormente per l’interpretazione nel film Timbuktu, che nel 2015 ha vinto sette premi César (tra cui miglior film e miglior regia). La giovane chitarrista lapidata dai jihadisti della pellicola del regista mauritano Abderrahmane Sissako non è che un’altra sfaccettatura dell’antieroina femminile che si ribella alle angherie subite da famiglie o società oppressive. Una figura che ritorna spesso, sotto mentite spoglie, nel percorso di Fatoumata Diawara. Come la strega Karaba, interpretata nel 2008 in Kirikou e Karaba, rivisitazione teatrale del famoso cartone animato di Michel Ocelot, che ha riscosso un grande successo e ha contribuito alla sua popolarità, soprattutto in Francia. Questo personaggio, al contempo malvagio e profondamente distrutto da un passato segnato dalle violenze sessuali, dipinge un ulteriore volto di un’artista intimamente e globalmente impegnata, che ha trovato nella musica (e nei testi, quasi prettamente in lingua Bambara) la sua forma d’espressione più naturale.
Prima della pandemia, infatti, faceva la spola tra Bamako e Parigi, intessendo rapporti e collaborazioni di lusso. Prima con il leader della band dei Gorillaz, Damon Albarn, con cui nel 2012 ha firmato, insieme a Flea dei Red Hot Chili Peppers e a Tony Allen, storico batterista di Fela Kuti, l’album-progetto Rocket Juice & the Moon. Sempre grazie al collettivo Africa Express, fondato da Damon Albarn, Fatoumata Diawara arriva a suonare con molti grandi nomi della musica contemporanea, tra cui spiccano Paul McCartney, Bobby Womack, Herbie Hancock, Dee Dee Bridgewater, Roberto Fonseca e Matthieu Chedid. Arriva anche Désolé, featuring coi Gorillaz. «Quello che amo della musica è che quando saltiamo siamo tutti uguali», conclude l’artista maliana, stremata dai selfie e dall’affetto dei suoi sostenitori di Marsiglia. La mattina dopo, alle 5:30, un taxi la porterà a prendere l’ennesimo aereo che la condurrà per qualche giorno a casa, sul Lago di Como, dai due figli e il marito. Prima di riprendere la tournée di fuoco che farà tappa, il 27 luglio, a Roma, nella splendida cornice di Villa Ada «per far ballare anche il pubblico romano». Parola della Diva di Bamako.