di Stefano Pistolini (linkiesta.it, 11 ottobre 2019)
Contaminazione interessante quella appena venuta alla superficie grazie alla pensata di Norman Cook, alias Fatboy Slim, il venerabile dj/producer britannico che non manca mai di colorare i suoi ritmi d’impegno sociale. Ciò che è garantito è che Fatboy sa come riempire una pista, come far ballare un intero festival, come trasformare un pompatissimo tormentone EDM in un pezzo da alta classifica.È altrettanto vero che la sua è una delle voci più rispettate e ascoltate nell’ambiente musicale d’Oltremanica, quando si tratta di prendere posizione su questioni che vanno oltre le centoventi battute al minuto. Ad esempio, Cook è da tempo un fervente sostenitore della causa ambientalista e un entusiastico supporter delle sortite pubblico-planetarie di Greta Thunberg. Ma, grazie al suo acume e alla sua visione, ha anche la capacità di fare un passo in più, ovvero d’individuare la cifra migliore per offrire un sostegno concreto alla sua beniamina, cogliendo il punto perfetto dell’istanza stilistica di Greta, nello slancio della sedicenne attivista più amata/odiata del mondo.
Perché, ovviamente, a montare sul carro di Greta ci hanno già pensato in parecchi. Ad esempio, un discreto gruppo di post-rock come The 1975 di recente si è occupato di mettere in musica un lungo discorso della Thunberg, limitandosi a offrirle un delicato tappeto strumentale (“Greta è la persona più punk che abbia conosciuto” ha detto nell’occasione Matty Healy, il cantante dei 1975). E in questi giorni anche il nostro Piero Pelù, vecchio militante della protesta ecologista, si è unito all’elenco dei “megafoni” musicali di Greta: nel suo nuovo singolo Picnic all’inferno risuona la voce della ragazza, in questo caso prelevata dal discorso pronunciato alla conferenza sul clima di Katowice. La “piccola guerriera”, come la chiama lui nel brano, pronuncia i suoi ultimatum e Pelù ha ottenuto l’autorizzazione a inserire l’estratto in una canzone che così si aggiunge al “canzoniere di Greta”, tangibile dimostrazione del formidabile impatto mediatico del personaggio e della sua rappresentatività.
Fatboy Slim ha fatto un’operazione più minimalistica ed estremamente efficace: ha isolato e campionato una frase-slogan di sole quattro parole pronunciate da Greta durante il suo memorabile discorso alle Nazioni Unite del 23 settembre scorso: “Right Here, Right Now” – adesso e subito – detto in riferimento alle azioni che Greta non solo si aspetta, ma pretende da chi comanda, per invertire la minaccia di rottamazione del pianeta. Poi, chirurgicamente, le ha inserite, disciolte, plasmate in un remix del brano di big beat il cui titolo recita ugualmente Right Here, Right Now, una sua hit del 1999 che all’epoca raggiunse il secondo posto assoluto delle charts britanniche. Il risultato, presentato live nel corso del suo concerto a Gateshead, è stato accolto trionfalmente dalla platea, ha fatto ballare tutti come indemoniati ed è divenuto virale attraverso i video postati dai presenti.
Per un verso, funziona magnificamente l’amalgama tra il virtuosistico crescendo della base di Cook verso l’inevitabile climax, dopo il quale esplode la dance tribale. Dall’altro, la voce rabbiosa e ostinata di Greta assume l’intensità del grido di guerra di una leader assodata, del quale si appropriano istantaneamente le migliaia di fans presenti. Il risultato è sbalorditivo, prima di tutto dal punto di vista della comunicazione: ecco come si accentua una leadership, come si lancia un messaggio elementare ma forte al mondo, come si dà forza – perfino leggenda – a una personalità. Musica e parole che, grazie alle sapienti regole del cun’n’mix, diventano un unico vettore. E la parola d’ordine diventa “salviamo il pianeta”, “difendiamolo”, perché è irresistibile l’idea di farlo insieme, di abbandonarsi insieme a questa corrente, per poi alzarsi in piedi a reclamare i propri diritti. Chiedendo un piccolo posto alla Storia, almeno nelle file di quel reggimento che s’ingrossa sempre più e che s’intravede sfuocato, inesorabilmente in marcia alle spalle della Giovanna d’Arco 2.0.