(ilpost.it, 30 novembre 2021)
Martedì Éric Zemmour, popolarissimo giornalista e conduttore di estrema destra, si è candidato ufficialmente alla presidenza francese, dopo mesi in cui aveva di fatto già cominciato la campagna elettorale. In un lungo video chiamato Il tempo di agire, Zemmour ha ripreso i temi portanti della sua retorica, cioè l’ostilità al multiculturalismo, al femminismo e all’accoglienza delle persone migranti, accompagnato dalla Sinfonia n. 7 di Beethoven. A quelle che considera delle degenerazioni della Francia contemporanea, ha contrapposto un’immagine di Paese associata a personaggi come Giovanna d’Arco, Luigi XIV, Napoleone e Charles de Gaulle.
Nel video, che dura dieci minuti, Zemmour legge ai francesi una lettera «dai toni drammatici e nostalgici», scrive Le Monde. «Non è più tempo di riformare la Francia ma di salvarla», dice. Zemmour spiega di essersi «accontentato per molto tempo del ruolo di giornalista, di scrittore, di Cassandra», credendo «che un politico avrebbe preso la torcia» che lui gli stava passando: «Mi dicevo: ad ognuno il suo mestiere, il suo ruolo, la sua lotta. Mi sono ripreso da questa illusione (…). Ho capito che nessun politico era pronto a riprendere in mano il destino del nostro Paese». Fondamentalmente, dice sempre Le Monde, il suo è un discorso apocalittico sulla Francia per come la vede lui. Rivolgendosi direttamente a coloro che si sentono «stranieri nel loro Paese» fa riferimento alla teoria di un presunto progetto di sostituzione etnica che sarebbe portato avanti dalle persone migranti in Europa ai danni della popolazione bianca e cristiana. Parlando ai francesi «disprezzati dai potenti, dalle élite, dai benpensanti, dai giornalisti, dai politici, dagli accademici, dai sociologi, dai sindacalisti, dalle autorità religiose», promette di «riconquistare la sovranità della Francia, abbandonata ai tecnocrati e ai giudici europei», e accusa i governi sia di destra sia di sinistra di aver «mentito», di aver nascosto il «declassamento della condizione» del loro Paese e di aver condotto i francesi «sul cammino funesto del declino e della decadenza». «Non saremo sostituiti», dice negli ultimi momenti del suo discorso.
Finora, da candidato ufficioso, Zemmour aveva avviato una specie di campagna elettorale in giro per il Paese con il pretesto di presentare il suo ultimo libro, e aveva accentrato intorno a sé il dibattito delle presidenziali: era già incluso nei sondaggi, che lo davano al secondo posto dopo l’attuale presidente Emmanuel Macron, e aveva partecipato ai dibattiti televisivi con chi è già candidato. Nelle ultime settimane, però, Zemmour aveva commesso una serie di errori piuttosto grossolani, e il successo della sua pre-campagna elettorale aveva subìto una brusca interruzione. Lo scorso 20 ottobre, durante la visita a una fiera dedicata alla sicurezza a Villepinte, a circa trenta chilometri da Parigi, Zemmour aveva puntato un fucile ad alta precisione contro i giornalisti presenti: «Non ridete più ora, eh… indietreggiate», aveva detto ridendo. A parte il fatto di aver puntato un’arma contro qualcuno, in molti hanno fatto notare che durante un suo precedente comizio Zemmour aveva dichiarato di voler «ridurre il potere dei media».
Il 13 novembre, nel sesto anniversario degli attentati al Bataclan del 2015, Zemmour si era presentato davanti alla sala concerti accusando l’allora presidente Hollande di non aver «protetto i francesi» e di aver preso la «decisione criminale di lasciare aperti i confini». La sua presenza e ciò che aveva detto erano stati criticati dalle persone sopravvissute, dai parenti delle vittime, da vari politici e associazioni: non solo avevano contestato la sua presenza («Nessun politico aveva mai parlato il 13 novembre da uno dei luoghi presi di mira» ha detto Arthur Dénouveaux, presidente dell’associazione delle vittime “Life for Paris”), ma anche l’utilizzo di informazioni false – gli attentatori provenivano dal Belgio, erano belgi e francesi – e la strumentalizzazione politica di quanto accaduto.
Pochi giorni fa, poi, la rivista Closer ha pubblicato un articolo dicendo che Zemmour sarebbe diventato padre nel 2022: la direttrice della sua campagna elettorale, Sarah Knafo, 28 anni, con la quale non è sposato, sarebbe incinta. La notizia è stata commentata semplicemente perché Zemmour, 63 anni, ha posto la difesa dei cosiddetti valori tradizionali della famiglia e del matrimonio in cima al suo programma politico. Uno dei momenti più criticati della sua pre-campagna è stato però il viaggio a Marsiglia di venerdì 26 novembre, che secondo i giornali francesi ed europei si è trasformato in «un fiasco totale». Quella a Marsiglia doveva essere l’ultima tappa del tour di promozione del libro di Zemmour, prima del lancio ufficiale della sua campagna elettorale. Informato della presenza dei movimenti antifascisti che avevano organizzato una protesta alla stazione di Saint-Charles, dove sarebbe dovuto arrivare, Zemmour ha preferito scendere a Aix-en-Provence, trenta chilometri prima. Una volta arrivato a destinazione, la sua passeggiata programmata in città si è trasformata in una camminata molto veloce di appena quindici minuti in una strada deserta. Senza fermarsi mai, non ha interagito con nessuno.
Più tardi, mentre si trovava in macchina, una passante gli ha fatto il dito medio e lui, dal finestrino abbassato dell’auto, ha prontamente restituito il gesto. Un fotografo dell’Agence France-Presse è riuscito a fare una foto che è circolata moltissimo e che è stata criticata un po’ da tutti perché assai poco presidenziale. Dall’entourage di Zemmour hanno fatto sapere che si è trattato di «un gesto istintivo», e due giorni dopo lui stesso ha riconosciuto su Twitter di essere stato «molto poco elegante». Quello che ha scritto è però lontano da scuse sincere, hanno notato in molti: Zemmour ha detto che quello non era il luogo di aprire un dibattito come piace fare a lui, che non aveva tempo, e che quindi ha «usato l’unico linguaggio che voi e i vostri compagni “antifa” capite subito: il vostro». Tuttavia, imitare quella donna, ha concluso, «è stato molto poco elegante, ne convengo».
Sempre a Marsiglia, Zemmour ha parlato vicino a Notre-Dame-de-la-Garde, dove l’arcidiocesi si è rifiutata di concedergli il parco della basilica. La settimana prima gli era stato rifiutato l’uso di altri spazi sia a Londra («Chiunque voglia incitare all’odio contro le persone a causa del colore della pelle o del credo religioso non è il benvenuto», aveva dichiarato Sadiq Khan, sindaco di Londra) sia a Ginevra. Durante il suo comizio Zemmour ha detto che la città è «il contro-esempio della Francia», che è stata «disintegrata dall’immigrazione e in parte islamizzata»: «Marsiglia è il futuro della Francia tra vent’anni se non faremo nulla». E ancora: «Tutta la Francia sarà come Marsiglia se continueremo ad accogliere 400mila immigrati l’anno». Vicino a La Canebière, la principale strada che attraversa il centro storico delle città, almeno trecento manifestanti hanno protestato contro il suo arrivo, urlandogli “fascista”, “Marsiglia antirazzista” e “vattene”.
Tutti questi episodi hanno complicato molto la posizione di Zemmour. Diversi suoi sostenitori ne stanno prendendo le distanze, forse perché in precedenza lo ritenevano un candidato presidente più capace e presentabile di quanto sta dimostrando. Il ricco mecenate dell’estrema destra, Charles Gave, presidente di un gruppo finanziario con sede a Hong Kong e che aveva prestato all’ex conduttore 300mila euro a fine settembre, ha ritirato il suo sostegno, così come alcuni esponenti politici che lo avevano inizialmente appoggiato. Zemmour, sempre più isolato e sempre più contestato ovunque vada, sta anche calando nei sondaggi. E c’era qualcuno che stava mettendo in dubbio che potesse effettivamente decidere di candidarsi o che fosse in grado di farlo.