Éric Zemmour, “il Trump francese”

(The Economist / internazionale.it, 22 ottobre 2021)

“Tu sei il Trump francese” ha sentenziato una volta un alleato dell’ex presidente degli Stati Uniti rivolgendosi a Éric Zemmour. O almeno questo è quello che il polemico giornalista nemico dell’immigrazione dichiara nel suo ultimo libro, campione di vendite. Fino a poche settimane fa una simile rivendicazione sembrava campata in aria e opportunistica. Ma un recente balzo di popolarità suggerisce che questo personaggio televisivo, nostalgico del collaborazionismo con i nazisti del regime di Vichy, abbia preso in contropiede la politica francese. Zemmour punta addirittura a stravolgere il nazionalismo e superare a destra Marine Le Pen cercando di farla apparire troppo morbida. Il 6 ottobre è arrivato al secondo posto, davanti alla Le Pen e dietro a Emmanuel Macron, in un sondaggio per le elezioni presidenziali di aprile.

Ph. Ian Langsdon / Epa

La notizia ha trasformato il commentatore di talk show nell’argomento principale dei programmi televisivi. Esattamente come voleva lui, un nazionalista radicale condannato per incitamento all’odio razziale. I sondaggi continuano a dare Macron favorito al primo turno e vittorioso nel ballottaggio, ma suggeriscono anche che Zemmour, che ancora non ha confermato la sua candidatura, potrebbe mandare all’aria diverse aspirazioni presidenziali sia a destra sia a sinistra. Zemmour, 63 anni, è una figura controversa da più di venticinque anni. I suoi libri “declinisti” annunciano il tracollo della civiltà francese, con titoli come Malinconia francese e Il suicidio francese. Di recente ha attirato l’attenzione su CNews, un canale via cavo che alcuni paragonano alla statunitense Fox News. Manifesti con lo slogan “Zemmour presidente” sono stati affissi su lampioni e muri di tutto il Paese. A settembre ha dovuto lasciare il suo programma televisivo quotidiano perché le leggi francesi impongono alle emittenti di concedere lo stesso spazio a tutte le figure politiche. L’agenzia di regolamentazione dell’audiovisivo ha valutato che Zemmour è ormai più un politico che un giornalista, e che le sue apparizioni dovranno essere quantificate in tal senso.

Se Marine Le Pen ha cercato di ripulire l’immagine razzista del Rassemblement National allontanandolo dalle sue origini, Zemmour vuole radicalizzare, provocare e inquadrare il dibattito in base alle sue ossessioni. È un antifemminista e antiprogressista che mescola l’erudizione con l’indignazione, le frasi semplici e le tirate rabbiose. Di origini algerino-ebraiche, Zemmour ha dichiarato che la Francia di Vichy ha protetto gli ebrei francesi, che alcuni nomi stranieri (come Mohammed) dovrebbero essere vietati e che l’Islam non è compatibile con la Francia. Jean-Marie Le Pen, fondatore del partito guidato attualmente dalla figlia Marine, ha dichiarato con soddisfazione che Zemmour “dice cose che nessun altro ha osato dire, tranne me”. La popolarità di Zemmour potrebbe rivelarsi effimera, ma il futuro candidato, che si presenta come gaullista, sembra aver trovato un approccio efficace. Zemmour mescola una patina di rispettabilità intellettuale con un grezzo populismo, mettendo in relazione il voto ultracattolico borghese e quello della classe operaia. Le Pen, invece, si rivolge solo alle persone economicamente fragili, dalla destra populista alla sinistra ex comunista.

Nel 2017 Le Pen ha ottenuto il 34 per cento dei voti al secondo turno, sconfitta da Macron. Ma ha perso smalto dopo la sconfitta alle ultime regionali. Ora Le Pen e Zemmour si contendono la stessa fetta dell’elettorato disilluso di estrema destra. Zemmour potrebbe accaparrarsi i voti dei nazionalisti tradizionali tanto quanto Le Pen, e minaccia di estrometterla dal ballottaggio. L’ascesa di Zemmour è un’ulteriore conferma dell’indebolimento dei partiti politici nel contesto della lotta presidenziale francese. Nel 2017 Macron ha dimostrato in modo spettacolare che nella quinta repubblica è possibile conquistare la presidenza senza avere alle spalle un partito consolidato. “Ci sarà un prima e un dopo Macron”, dice un elettore. “I vecchi partiti della destra e della sinistra non esistono più. Le persone non si identificano più con loro e si sentono perdute”. Nel 2017 il candidato dei socialisti (Ps), Benoît Hamon, non era andato oltre il 6 per cento, e oggi il Ps non se la passa meglio nonostante la candidatura forte di Anne Hidalgo, sindaca di Parigi. Anche il candidato dei Verdi, Yannick Jadot, appare in difficoltà. Una serie di altri candidati è ancora più sbilanciata a sinistra e nessuno sembra intenzionato a farsi da parte. Anche se lo facessero, non consentirebbero alla sinistra di arrivare al ballottaggio.

Nel centrodestra, i repubblicani (Lr) sceglieranno il candidato il prossimo 4 dicembre. I tre favoriti sono Xavier Bertrand, presidente della regione settentrionale Hauts-de-France, Valérie Pécresse, presidente della regione Île-de-France, e Michel Barnier, ex negoziatore dell’Ue per la Brexit. Bertrand sembra il preferito dei francesi in generale, ma il settantenne Barnier, meno conosciuto in Francia che nel Regno Unito, sta cercando di accaparrarsi il voto antimmigrazione. Per gli iscritti al partito, che sceglieranno il candidato e tendono a essere più orientati a destra, Barnier potrebbe essere l’uomo ideale. Nel frattempo Edouard Philippe, ex primo ministro di centrodestra, ha presentato il 9 ottobre il suo nuovo partito, Horizons, ma ha promesso di dedicare le sue forze ad aiutare Macron nel 2022. Nessun sondaggio finora indica che Zemmour potrebbe vincere un secondo turno. Anzi, potrebbe addirittura aiutare Macron dividendo il voto dell’estrema destra e risvegliando la destra tradizionale. “Sta attirando l’attenzione come outsider”, dice Emmanuel Rivière, della società di sondaggi Kantar. “Ma gestire una vera campagna elettorale è molto più difficile che apparire in tv o partecipare alla presentazione di un libro”. Comunque sia, a sei mesi dal primo turno e con la Francia in stato di agitazione, Zemmour sembra pronto a contribuire a una campagna elettorale infiammata e divisiva.

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