di Viviana Mazza (corriere.it, 4 marzo 2018)
Steve Bannon, lo stratega che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, è a Roma per «osservare» e «imparare» dalle elezioni italiane, prima di partire per Zurigo dove martedì sera parlerà delle «implicazioni globali della rivolta populista» in un incontro pubblico con Roger Köppel, direttore della rivista svizzera di destra Die Weltwoche.«Passerò molto tempo in Europa, qui c’è l’avanguardia del populismo», ci dice nella sua suite d’albergo. Ora Bannon sta lavorando (e cercando finanziatori) per costruire una sorta di Internazionale populista: «Una rete dal basso, un esercito per diffondere le idee del nazionalismo economico, innanzitutto in America ma anche a livello internazionale».
Perché è venuto in Italia?
«Ho lavorato per costruire un movimento populista nazionalista in America per dieci anni, sono entrato nella campagna di Trump quando rimanevano solo 85 giorni, stavano perdendo di brutto. Ma io sapevo che avrebbe vinto. Vedevo la risonanza tra la gente, mentre alle élite questo sfuggiva, e penso che lo stesso stia succedendo in Italia. Gli italiani si considerano spesso provinciali nella politica mondiale, ma non è così: siete sulla cresta dell’onda, un banco di prova fondamentale del potere della sovranità, di cosa significhi nell’era moderna, e questo è esemplificato dalla questione dei migranti, poiché tutti i problemi del Medio Oriente e dell’Africa sono stati scaricati dall’Ue sull’Italia e la gente ne ha avuto abbastanza, rivuole la propria sovranità. Questa elezione è cruciale per il movimento populista globale. Per me la cosa più importante è che, se sommi i sondaggi, siamo vicini al 65%, quasi due terzi del Paese, che in qualche modo appoggia il messaggio antisistema di gruppi populisti dal centro al centrodestra, dai Cinque Stelle alla Lega a Berlusconi e Fratelli d’Italia».
C’è chi ha scritto che lei è qui per dare l’endorsement a Salvini.
«È stato un colpo di genio da parte di Salvini riorientare la Lega da partito del Nord a nazionale. Ma sono qui per osservare. Incontrerò delle persone sì, ma non per dare il mio endorsement. Gli italiani non hanno bisogno che un americano dica loro cosa fare, come non hanno bisogno che lo facciano da Bruxelles».
Ha mai incontrato i leader Cinque Stelle?
«Non ancora, ma mi sono organizzato».
Uno degli scenari postelettorali è una coalizione tra Cinque Stelle e Lega Nord. Cosa ne pensa?
«Sia Lega che Cinque Stelle (e lo stesso Berlusconi) si erano espressi a favore di Trump. Ho rispetto per entrambi i movimenti, con le loro differenze: uno più laico, l’altro espressione della società più tradizionale, uno più antisistema, l’altro forse più con un programma d’azione. Penso che si raggiungesse una coalizione tra tutti i populisti sarebbe fantastico, trafiggerebbe al cuore Bruxelles, a loro metterebbe una paura tremenda. Ma se non succede ora non significa che non possa accadere in futuro».
Cosa pensa di Berlusconi? Lo considera un moderato?
«Penso che Berlusconi sia molto simile al presidente Trump, è unico ed è un businessman. Una cosa che capiscono bene è il mercato. Non è che non abbiano princìpi, ma sono anche pratici, pragmatici. Penso che Berlusconi sia uno dei grandi leader politici del XXI secolo. Ha mostrato agli italiani qualcosa di diverso dalle classi politiche, ha anticipato Trump mostrando che un uomo d’affari che sa parlare la lingua del popolo può guidarlo. Ed è stato ridicolizzato sulla scena internazionale proprio come Trump. Non è un ideologo, anche se è in un certo senso antisistema. Credo che abbia visto quel che Trump ha visto, che qualcosa è cambiato anche in Italia. Di fronte a populisti agitatori come Salvini e i Cinque Stelle, Berlusconi è stato abbastanza furbo e pragmatico da gestire la propria filosofia di conseguenza. Se avrà l’intelligenza e il pragmatismo di aggregare questi gruppi intorno a sé, lo vedremo dopo il 4 marzo».
Teme che in una coalizione i populisti possano perdere influenza? Lei ad esempio è stato estromesso dalla Casa Bianca.
«È stata più una decisione consensuale. Comunque il voto non è mai una bacchetta magica. Con la Brexit si è votato per lasciare l’Europa ma stanno ancora negoziando. In America la classe politica combatte Trump ogni giorno. L’amministrazione ha appena approvato i dazi sull’acciaio, una vittoria enorme per i nazionalisti come me, ma potrebbe essere revocata, gli indici azionari sono crollati, il presidente è sotto pressione dei globalisti che non approvano la politica dell’America First. Quando formi una coalizione a volte vince il sistema, ma la chiave è restare fedeli ai propri principi e giocare i propri colpi. Qui le questioni centrali da negoziare saranno i migranti e il rapporto con l’Ue».
Cosa pensa di Papa Francesco?
«Sono un orgoglioso nazionalista, populista e cattolico. Non credo che la Chiesa abbia fatto abbastanza per fermare la persecuzione globale dei cristiani. Il Papa è infallibile nella dottrina ma non nella politica della Chiesa nel mondo. Senza dubbio ha esacerbato la crisi dei migranti con la sua filosofia che un Paese può vivere con frontiere aperte: non è così».
E lei si candiderà?
«Noi street fighter non siamo dei buoni politici, mi piace difendere le mie convinzioni senza peli sulla lingua».
Appoggerà Trump nel 2020 nonostante il presidente non abbia parlato bene di lei ultimamente?
«Sono un grande sostenitore di Trump, il mio “esercito” lo appoggerà sempre. Mi interessa solo che il movimento del nazionalismo economico diventi sempre più grande e più forte. Non mi potrebbe importar di meno quel che la gente dice di me».
Tra le cose dette di lei c’è un soprannome: è stato definito «Principe delle tenebre».
«Quello in effetti potrebbe essere vero».