Da Praga ennesimo schiaffo all’Unione europea
di Alberto Maggi (affaritaliani.it, 21 ottobre 2017)
Terremoto politico nel cuore dell’Europa. Nel 1968 fu la volta della Primavera di Praga, soffocata dai tank dell’Armata Rossa sovietica, poi nel 1989 la Rivoluzione di Velluto portò alla fine del comunismo e alla separazione della Cecoslovacchia. Il 21 ottobre 2017 verrà ricordato come l’inverno di Bruxelles, visto che alle elezioni per il rinnovo del Parlamento ceco a trionfare sono state le forze anti-sistema e soprattutto anti-Unione europea.Successo clamoroso, con più del 30% dei voti, del “Trump ceco”, ovvero il movimento populista Ano [“Sì” in ceco, N.d.C.] del miliardario Andrej Babis, soprannominato anche il Babisconi della Repubblica ceca per le similitudini della sua ascesa politica con quella di Silvio Berlusconi. Forte avanzata dello Spd di Tomio Okamura (secondo partito intorno all’11%), imprenditore di madre ceca e padre giapponese, partito dichiaratamente anti-Islam. Boom anche dei Pirati, una sorta di Movimento 5 Stelle ceco (intorno al 10%) e tenuta dei comunisti ortodossi (9% circa), anche loro dall’estrema sinistra fortemente critici nei confronti dell’Unione europea. Tracollo senza precedenti per le formazioni tradizionali: il Partito social-democratico Cssd del Primo ministro Bohuslav Sobotka ampiamente sotto il 10% e i Cristiano-democratici poco sotto l’11%. Dopo la svolta a destra dell’Austria e il fallimento della Grande Coalizione in Germania, con la perdita di consensi della Merkel e di Schulz, dalla Repubblica Ceca arriva un altro duro colpo all’Ue. Ora Praga, probabilmente, si sposterà ulteriormente su posizioni intransigenti sulla questione dei migranti e dei rifugiati facendo un fronte comune con l’Ungheria di Orban, la Polonia e la Slovacchia. È come se all’Est stesse risorgendo una sorta di “cortina di ferro” fatta non più di socialismo reale e dominio dell’Urss ma di governi sempre più in rotta con Bruxelles e che mettono a serio rischio la tenuta stessa dell’impianto dell’Unione europea. Babis è al secondo posto della classifica delle persone più ricche nel Paese, con una fortuna stimata di 88 milioni di corone ceche, possiede o controlla due tra i più popolari quotidiani del Paese, un’emittente radiofonica e una rete televisiva. È anche ex amministratore delegato ed unico proprietario del conglomerato Agrofert. Il Magazine Foreign Policy lo ha soprannominato “Babisconi”, con un’allusione a Silvio Berlusconi; molti lo chiamano “il Trump ceco”. Dice di voler guidare il Paese come “un’impresa di famiglia”, è contrario alle sanzioni alla Russia, vuole abolire il Senato, ammira il modello di potere centralizzato di Orban e non ama i giornalisti. Un sondaggio del 2017 del Public Opinion Center della Repubblica Ceca, rivela che solo il 18% dei cechi “appoggia con forza” l’idea che il Paese sia membro dell’Ue, contro il 38% che “concorda in parte” con questa scelta, la più bassa percentuale di adesione all’ideale europeo registrata nei Paesi membri del cosiddetto Gruppo di Visegrad, che comprende anche Polonia, Ungheria e Slovacchia. A favore dell’adozione dell’Euro è il 21% dei cechi. Quando Sobotka si è dimesso a giugno è stato sostituito ai vertici del CSSD dal ministro dell’Interno Milan Chovanec, che ha attaccato Bruxelles sul tema delle quote dei migranti e del controllo sulle armi. Candidato del partito socialdemocratico alle elezioni è diventato invece un europeista, Lubomir Zaoralek, che ora rischia, visti i pessimi risultati elettorali, di essere ritenuto responsabile della disfatta proprio a causa della sua posizione filoeuropea.