(wired.it, 2 marzo 2018)
“Spazio non assegnato”. Se vi serviva una dimostrazione del fatto che le campagne elettorali non si giocano più per strada, i semideserti pannelli destinati alle affissioni ne sono la prova lampante. Saranno stati i social network, in queste elezioni, a fare la parte del leone?Tra immagini che tentano di essere virali, slogan, video, polemiche e qualche esperimento più o meno riuscito, abbiamo provato ad analizzare le azioni messe in campo da diversi leader dei partiti candidati. L’aspetto più significativo – che dà la misura di quanto il nostro Paese sia ancora legato a un certo tipo di comunicazione – è che però la maggior parte dei post su Facebook e Twitter ha un solo scopo: promuovere le varie ospitate tv dei candidati.
“Vinci Salvini”: la Lega si dà alla gamification
L’unico ad aver davvero sperimentato qualcosa di nuovo è Matteo Salvini; che da anni ha affidato la strategia della sua comunicazione social a uno specialista come Luca Morisi. E per queste elezioni, lo spin doctor leghista ha estratto dal cilindro il gioco “Vinci Salvini”. In sintesi estrema, gli utenti Facebook più veloci a mettere un like ai post su Facebook del leader della Lega Nord accumulano punti, che permettono ai primi classificati di ottenere una telefonata da Salvini, un post con la propria foto e addirittura un incontro privato con il leader. L’obiettivo, ovviamente, è quello di generare coinvolgimento sui post del leader leghista, per convincere l’algoritmo di Facebook a dare maggiore visibilità a quanto pubblicato da Salvini e rendere più efficace la macchina della propaganda. Per quanto possa sembrare una strategia comunicativa inquietante, da serie tv distopica, è inevitabile che gli spin doctor si scervellino alla ricerca dei metodi più efficaci per diffondere i messaggi social dei politici e aumentare il famigerato engagement. Già, ma allora com’è andata la campagna “Vinci Salvini”? A giudicare dal numero dei like alla pagina, non ha portato nuovi fan: due milioni erano il 6 febbraio (quando è iniziata la competizione) e 2 milioni sono oggi; segno che, probabilmente, il “Facebook salviniano” è già saturo (anche perché è il politico più popolare su Facebook in assoluto). Altro discorso, invece, riguarda il grado di coinvolgimento ottenuto dai vari post (like, condivisioni e commenti), sempre elevatissimo. Nonostante l’enorme mole di materiale pubblicato dalla pagina Facebook del leader leghista (decine di contenuti al giorno tra video, articoli, immagini e altro), ogni singolo post riceve migliaia di like e centinaia di condivisioni; scoprire quanto questo coinvolgimento sia merito del concorso “Vinci Salvini” – e quanto invece della facilità con cui i contenuti populisti accendono i sostenitori della Lega – è però impossibile.
La potenza social del M5S
Il secondo politico più popolare su Facebook è Luigi Di Maio, che può contare su 1,2 milioni di seguaci (e 290mila su Twitter). A differenza del leader della Lega, che ha costruito una strategia appositamente per Facebook, il candidato premier del Movimento 5 Stelle fa un uso abbastanza tradizionale dello strumento: video di propaganda, calendario dei comizi, diffusione del programma e contenuti rilanciati da Il Blog delle Stelle. A questi si aggiunge qualche foto rubata alla vita da “politico in campagna elettorale” (ma rigorosamente in giacca e cravatta), che ha anche lo scopo di aumentare l’engagement dei post in cui si segnalano le solite ospitate tv (l’algoritmo di Facebook apprezza moltissimo le foto). D’altra parte, come noto, la vera forza social nel Movimento 5 Stelle non sta nella pagina del singolo candidato premier o di Beppe Grillo, ma nell’enorme network di profili più o meno ufficialmente collegati, che quotidianamente svolgono un decisivo lavoro di diffusione dei contenuti. Pagine come “W il M5S” (600mila like), “Italia 5 Stelle” (243mila like), “Noi votiamo M5S” (137mila) e gruppi pubblici o privati come “Movimento 5 Stelle Unica Speranza” (2.300 membri), “Movimento 5 Stelle News” (7.600 membri), “Alleanze Movimento 5 Stelle” (12mila membri). Non è da sottovalutare neanche il ruolo giocato dalla moltitudine di pagine di controinformazione (quando non apertamente complottiste) che spesso e volentieri hanno nel M5S il partito di riferimento. A queste si aggiungono, ovviamente, i seguitissimi profili ufficiali delle altre personalità del partito (Alessandro Di Battista supera il suo stesso capo politico, con 1,4 milioni di seguaci) e delle varie ramificazioni locali del M5S. Nonostante qualche inevitabile parodia (come “I Simpson contro il Movimento 5 Stelle”), è questa la vera forza del M5S sui social: una galassia di sostenitori che rilanciano e condividono i vari contenuti, contribuendo alla loro vastissima diffusione.
Renzi contro le fake news
Contro una potenza di fuoco del genere può poco anche Matteo Renzi, uno dei primi in Italia (assieme a Beppe Grillo) a capire davvero l’importanza dei social per la comunicazione politica. La caratteristica del leader del Pd, come noto, è la predilezione per Twitter, dove la sua popolarità (3,37 milioni di followers) supera anche quella di Beppe Grillo (2,5 milioni) e schiaccia letteralmente qualunque altro politico (Salvini ne ha 600mila, più o meno come Pietro Grasso e Giorgia Meloni, e Luigi Di Maio solo 276mila). Considerando che Twitter ha in totale sette milioni di utenti in Italia (ma quelli attivi sono probabilmente molti meno), Matteo Renzi è stato in grado di conquistare il “follow” di un italiano su due; mentre su Facebook si deve accontentare di 1,1 milioni di like. Ma al di là dei numeri, che cosa combina Renzi sui social? Nei giorni sincopati della campagna elettorale c’è poco tempo per dedicarsi a operazioni complesse come il celebre “Matteo Risponde”; per cui il leader del Partito Democratico si limita a rilanciare, come tutti gli altri, i video dei comizi e delle interviste televisive, a rilanciare i post e i tweet dei candidati del suo partito e a mostrare qualche foto di “vita vissuta”. Rimane solo il tempo per provare a smontare le più classiche bufale da social (in cui si “scopre”, per esempio, che un’inesistente parente di Renzi gode di privilegi vergognosi) e di diffondere i video promozionali del Partito Democratico che riprendono un po’ lo stile del “Terzo Segreto di Satira”. Si sono perse invece per strada le varie pagine “buongiorniste” in favore del Pd (che mettevano in circolazione fake news e simili) che erano apparse in occasione del referendum costituzionale, probabilmente come risposta (non troppo riuscita) a quelle del M5S. Anche una pagina semi-ufficiale come “Matteo Renzi News” è diventata molto più istituzionale, mentre la famigerata (e assolutamente non ufficiale) “Per Matteo Renzi” – che in passato ha diffuso immagini di pessimo gusto – si è ridotta a un innocuo gruppo pubblico. Nel complesso, sembra che il clima social dalle parti del Partito Democratico sia meno esasperato e inquinato di quanto non fosse in occasione dello scorso referendum.
Berlusconi e gli altri: conta solo la tv
Tra gli altri leader, spicca il vecchio Silvio Berlusconi, che nonostante abbia ancora oggi nella televisione il suo mezzo preferito è da qualche tempo sbarcato su Twitter (26mila followers) e su Instagram (oltre 100mila), dove le foto della campagna elettorale e delle sue incursioni in tv hanno preso il posto dei cuccioli che gli hanno garantito il successo iniziale. E su Facebook? Il Cavaliere può contare su un milione di “mi piace”, ma si limita quasi esclusivamente a promuovere gli appuntamenti televisivi. Interessante la presenza di una sorta di “metapost”: Berlusconi ha pubblicato su Facebook le foto della sua visita alla sede milanese di Facebook, e qualche altra immagine acchiappalike. Non resta che parlare di Giorgia Meloni, che forte di 600mila like offre reportage completi, con tanto di selfie, della sua giornata assieme a Viktor Orban (il semi-dittatore ungherese), ci ricorda l’esistenza della misteriosa “ideologia gender” e pubblica scatti iper-sorridenti assieme ai manifestanti che la contestano. Foto utilizzata poi contro di lei e trasformatasi in un contenuto virale. E Pietro Grasso, leader di Liberi e Uguali? Anche lui, che va più forte su Twitter (600mila followers) che su Facebook (140mila), si limita a rilanciare contenuti video televisivi, pubblicare video e foto dei comizi e diffondere materiale elettorale. Complessivamente, fatta eccezione per le bizzarre (e riuscite) iniziative salviniane, per la galassia social del M5S e per i video simil-satirici del Pd, non sembra che si siano trovati modi davvero originali di sfruttare i social network a fini politici (se escludiamo un “effetto indesiderato” come le fake news). Il filo diretto con gli elettori, che qualche anno fa si pensava potessero instaurare, si limita a qualche foto privata e ai video con i supporter. Sui social, inoltre, il rischio è di profondere sforzi in un’attività che, complice la filter bubble, viene vista solo ed esclusivamente da chi è già convinto di votare per il politico che (infatti) segue su Facebook. A questo punto, potrebbe benissimo aver ragione Silvio Berlusconi: in campagna elettorale non contano le manifestazioni e non contano i social network. Insomma, anche nel 2018 conta, ancora, solo la televisione.