di Andrea Fioravanti (linkiesta.it, 25 dicembre 2019)
Babbo Natale è nato durante la Guerra di Secessione americana. Settant’anni prima della Coca-Cola, è stato il padre del fumetto politico moderno, il tedesco Thomas Nast, a creare l’immagine di Santa Claus che conosciamo oggi: gioviale, barba bianca, panciuto, in pelliccia, con un cappello di lana in testa, dona i regali prendendoli da un sacco sopra una slitta trainata dalle renne.Era il 3 gennaio del 1863. E fino a quella vignetta pubblicata sull’Harper’s Weekly Papà Natale era ritratto solo in due modi: come il vescovo San Nicola o nelle sembianze di uno spilungone emaciato dal volto cattivo. Ma all’esercito unionista serviva una figura rassicurante per superare l’inverno più difficile della Guerra di Secessione.
Per questo nella vignetta del 1863 la divisa di Babbo Natale richiama la bandiera degli Stati Uniti: pantaloni a strisce e giacca a stelle, 34 come gli Stati federati di allora, compresi quelli del Sud. Il vestito bianco e rosso arriverà dopo 33 vignette dello stesso genere pubblicate da Nast ogni anno fino al 1886 in cui Santa Claus scende con il sacco dentro i camini, legge le lettere seduto in panciolle sulla scrivania, sgrida i bambini cattivi e fa sedere sulle sue gambe quelli buoni per sentire i loro desideri. Nel 1881 pubblica la versione iconica che plasmerà l’immaginario del Novecento: Santa Claus con le guance rosse, la pipa sottile in bocca e i regali sottobraccio. C’è anche una spada attaccata alla cintura, ma l’amore del vignettista per le armi non è rimasto. Il punto è che Nast aveva già definito i caratteri di Santa Claus quarant’anni prima della copertina di Life Magazine del 12 dicembre 1923, considerata da molti la nascita del Babbo Natale commerciale in cui beve del whisky per sponsorizzare la compagnia White Rock.
Per creare il Babbo Natale moderno, Nast prese l’idea della slitta trainata dalle renne con un sacco pieno di doni dalla descrizione fatta da Clement Moore nella poesia Una visita da San Nicola del 1823. Dai personaggi del folklore tedesco prese l’idea di un uomo barbuto dai tratti gnomeschi. Anche se il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln lo aveva definito «il nostro miglior sergente di reclutamento» per la capacità di coinvolgere le truppe con le sue vignette, Nast era nato a Landau, nel Regno di Baviera, in una delle città più fortificate d’Europa. A sei anni, con la mamma e la sorella, era emigrato a New York e già a quindici anni aveva iniziato a lavorare disegnando fumetti politici per i giornali.
Nella vignetta del 1863, Santa Claus in the Camp, il primo regalo del moderno Babbo Natale è raccapricciante: un burattino di legno con una corda legata intorno al collo. Non è Pinocchio, ma la versione pupazzo del presidente confederato Jefferson Davis. Eh sì, il creatore di Santa Claus amava il politicamente scorretto. Spesso, nelle sue vignette, ritraeva irlandesi ubriachi e vescovi cattolici come coccodrilli che dal fiume attaccano giovani studenti. Nast non aveva lo spirito del Natale classico: considerava le scuole cattoliche una minaccia per i valori americani. Quando si dice l’eterogenesi dei fini.
Per problemi economici, nel 1890 Nast fu costretto a pubblicare una raccolta delle sue vignette di Babbo Natale: Christmas drawnings for the Human Race. Il libro contribuì a togliere l’associazione di Santa Claus con San Nicola, o con gli obiettivi propagandistici di trent’anni prima. Rimase solo l’idea di giovialità del Natale. Terreno perfetto per rendere, poi, l’uomo barbuto simbolo del Natale commerciale. Nell’Introduzione alla raccolta, l’editore precisa: «Queste immagini si appellano non a supportare una particolare denominazione religiosa o un partito politico, ma alla delizia universale nel più felice dei giorni festivi, amato dalle più tenere tradizioni domestiche. Il Natale è la festa di tutti; ma è soprattutto la giornata dei bambini. Le fantasie grottesche e ariose dell’infanzia che si aggrappano a Babbo Natale, come il buon genio del Natale, sono riprodotte su queste pagine».
E dire che Santa Claus non è l’unico personaggio famoso creato da Nast. Il padre del fumetto politico americano ha creato il simbolo politico del Partito Repubblicano, l’elefante, e ha reso popolare l’uso dell’asino come simbolo degli avversari del Partito Democratico. Le sue caricature spietate e provocatorie dei politici che decideva di appoggiare, sempre repubblicani, o distruggere, riuscivano a spostare l’opinione di molti elettori. Fu definito «the president maker», per aver influenzato almeno sei elezioni presidenziali tra il 1864 e il 1884. Non a caso, da Ulysses Grant a Chester Arthur, tutti i presidenti degli Stati Uniti eletti erano membri del Great Old Party. C’è il suo zampino anche nella popolarizzazione dell’icona dello Zio Sam, la personificazione degli Stati Uniti, a cui aggiunse il pizzetto bianco.
C’è anche un po’ d’Italia nella vita di Nast. Nel 1860 disegnò una serie di vignette sulla spedizione dei Mille nel Sud Italia che seguì fisicamente come corrispondente del The Illustrated London News. Contribuì, così, alla popolarità di Giuseppe Garibaldi negli Stati Uniti. In fondo, con una camicia rossa e una barba l’eroe dei due mondi era il modello perfetto per il papà di Babbo Natale.