di Teresa Marchesi (huffingtonpost.it, 22 gennaio 2017)
Grazie, Donald Trump. Grazie perché hai fatto accadere il miracolo, in un Paese che in piazza non scende mai, e quando succede, come contro la guerra del Vietnam nel 1967 o a Selma nel 1965, fioccano libri e film.Non so se la Marcia Rosa delle “Pussyhats” (così autodefinitesi da una delle innumerevoli gaffe di Trump in campagna elettorale) ispirerà libri e film, di sicuro farà storia e resterà negli annali, a lettere d’oro. Madonna, proprio lei, la Material Girl, a Washington più di chiunque altro ha incendiato gli animi. Da sboccata, e con le palle, che ha sempre avuto, l’arringa questa volta non tirava l’applauso ma la rabbia. “We needed to reach this horrible moment of darkness to wake us the fuck up”, avevamo bisogno di raggiungere questo orribile momento di buio per svegliarci. “Siete pronte a scuotere il mondo ? – scandisce – Benvenute alla Rivoluzione dell’Amore. Alla ribellione, al nostro rifiuto come donne di accettare questa nuova era di tirannia. Non solo noi donne siamo in pericolo, ma tutti gli emarginati… La rivoluzione comincia qui. E a chi dice che questa marcia non porterà a niente rispondo : fuck you, fuck you !”. In Tv, il commentatore della CNN tossicchia e stacca la diretta, è troppo perfino per loro. Ma la piazza vibra. La parola “rivoluzione”? Negli Usa? Non avevano debellato i comunisti un po’ più di mezzo secolo fa? Dello show business sono in tante, Scarlett Johansson, Ashley Judd, Cher, Julianne Moore e Angelique Kidjo, ci sono le figlie di Malcom X e di Muhammad Ali, tra i tanti maschi aderenti Michael Moore e (ovvio) Robert De Niro, che sulla campagna elettorale contro Trump ha lasciato un’indelebile impronta video. C’è Alicia Keys, quella che, da femminista, ha scelto di non truccarsi più per andare in scena, e d’ora in poi, donne, ascoltiamola con più attenzione, Alicia Keys, perché il suo punteggio è salito, per noi, alle stelle. Pink, rosa è il colore della rivolta, sulle sciarpe, sui cappelli. A Washington, a perdita d’occhio, ma anche a Denver, Los Angeles, Chicago, Austin, San Francisco, Oakland, a Boston la polizia (!) dichiara 125mila partecipanti al corteo, a New York avevano previsto di riempire 3 blocks, 3 isolati, ne hanno occupato 15. Due milioni e mezzo di donne in piazza nel mondo, secondo le prime stime. Al grido di “Not My President”, sempre quello. “Sexist, macis and anti-gay, Donald Trump go away”. Alicia Keys alza la sinistra col pugno chiuso, l’ultima volta dagli Usa lo avevamo visto da atleti neri alle Olimpiadi del 1968, e ha fatto storia. Questa volta sono loro, le donne, a guidare. Scarlett Johansson parla a Trump: “Non ho votato per te, oggi ti accetto come presidente, ma ho paura per donne come mia madre, mia sorella, che ho visto rischiare la pelle per un’assistenza medica che non assiste le donne, perché non hanno potere. Dobbiamo essere vigili e attive nelle comunità”. Michael Moore, che la sconfitta di Hillary l’aveva dolorosamente prevista, al microfono: “Donne, questo è il vostro giorno!”. Perché la guerra della neopresidenza contro l’aborto è già aperta, parola del Vicepresidente incaricato. Non era mai finita, ma adesso sarà senza quartiere. E gli Usa sono un Paese profondamente maschilista, ancora. Ma è anche la rivolta contro lo sbarramento agli stranieri, Meryl Streep ai Golden Globes già aveva aperto il fuoco, gli Usa non sopravvivono senza la diversità. L’America non scende mai in piazza. Non l’America bianca. Ci voleva Trump. Ci voleva Trump che contro Hillary usa in campagna elettorale la peggiore offesa possibile, “nasty woman”. Tutte oggi si sentono “nasty”, come dice Ashley Judd. Ci voleva Trump che al passaggio delle consegne con gli Obama gli piazza in mano un pacchetto regalo con tanto di marca Tiffany , genere “noi possiamo permettercelo”. Una volgarità inedita, Obama è stato costretto a farlo scomparire per la diretta mondiale tv, non si era mai visto, grida vendetta. Ci voleva Trump che si insedia attaccando un establishment che ha creato 15 milioni di posti di lavoro. Ci voleva Trump, che sta costruendo la tomba del Partito Repubblicano. Forse. Probabilmente? La zecca Usa ha appena coniato una moneta d’oro da 100 dollari con una Liberty di colore. È un dettaglio? Nei prossimi coni la Liberty avrà i tratti di un’asiatica e di un’indiana americana. Donne. Donne di etnie diverse, l’America che c’è e che si vorrebbe negare. Nell’anno di una marcia che segnerà la Storia. Credete nel Destino, e nei suoi imperscrutabili segni?