di Marta Allevato (agi.it, 17 dicembre 2022)
Un mese fa, si era detta disposta a pagare «qualsiasi prezzo» pur di rimanere in Iran a sostenere le manifestazioni in corso da tre mesi e che chiedono la fine della Repubblica islamica. Ora, Taraneh Alidoosti, una delle più celebri attrici iraniane, è stata arrestata nella sua abitazione a Teheran dopo una perquisizione effettuata dalle forze di sicurezza.
Secondo Bbc in farsi e Radio Farda, non è noto dove sia stata portata. L’agenzia Tasnim ha riferito che è stata arrestata per aver «pubblicato contenuti falsi e distorti e incitato al caos». Classe 1984, originaria della capitale, Alidoosti ha lavorato con alcuni dei maggiori registi iraniani: nel 2016 è stata co-protagonista del film premio Oscar Il cliente (2016) di Asghar Farhadi, che l’ha diretta in altri film drammatici. Ha recitato, nel 2008, in Shirin di Abbas Kiarostami, e quest’anno la pellicola I fratelli di Leiyla, in cui è diretta da Saeed Roustaee, è stata presentata in concorso al Festival di Cannes. Tra il 2015 e il 2016, infine, è stata tra i protagonisti di una fortunata serie tv in Iran, Shahrzad.
Il 9 novembre una sua foto senza hijab e con in mano il cartello con scritto in Curdo lo slogan delle proteste “Donna, vita, libertà” aveva fatto il giro del mondo e raccolto quasi 1,7 milioni di like. Pochi giorni prima, il 5 novembre, Alidoosti aveva pubblicato un post che ora risuona come una coraggiosa e consapevole sfida al regime: «Rimango e non ho intenzione di andarmene come si vocifera in giro», c’era scritto, «non ho passaporto o residenza in nessun altro Paese se non l’Iran». «Resterò, smetterò di lavorare» proseguiva, «sarò al fianco delle famiglie dei prigionieri e delle persone uccise ed esigerò il rispetto dei loro diritti. Combatterò per la mia casa. Pagherò qualsiasi prezzo per difendere i miei diritti e, soprattutto, credo in ciò che stiamo costruendo insieme oggi».
Il post più recente su Instagram, dove contava più di 8 milioni di follower e che oggi non appare più accessibile, risaliva all’8 dicembre scorso, nel giorno della prima impiccagione di uno dei manifestanti arrestati nel corso della repressione messa in atto dalle autorità. «L’Iran ha giustiziato un manifestante», scriveva Alidoosti, «un ragazzo di 23 anni arrestato, processato e ucciso in meno di due mesi. Il suo nome è Mohsen Shekari. Ogni organizzazione internazionale che rimane a guardare questo bagno di sangue e non prende misure è una disgrazia per l’umanità». Sul suo profilo l’attrice aveva denunciato fin da subito il caso di Mahsa Amini, che ha fatto scattare il vasto movimento di protesta tre mesi fa: è del 16 settembre, primo giorno delle manifestazioni, il post con cui riportava la morte della ragazza di origine curda, finita in coma mentre era in custodia della polizia morale e morta tre giorni dopo il suo arresto per non aver indossato correttamente il velo.
Poco prima è stata diffusa anche la notizia dell’arresto dell’avvocato di due giornaliste, incarcerate dopo aver scritto della morte in custodia della polizia morale della 22enne Mahsa Amini, episodio che ha scatenato l’ondata di proteste anti-governative che vanno avanti da tre mesi. «Mohammad Ali Kamfirouzi, l’avvocato di diversi attivisti e giornalisti, è stato arrestato», ha scritto il quotidiano di ala riformista Ham Mihan. L’arresto porta a venticinque il numero degli avvocati detenuti in relazione alle proteste, secondo la testata. L’avvocato di Kamfirouzi, Mohammad Ali Bagherpour, ha riferito di non essere a conoscenza delle accuse mosse nei confronti del suo assistito. Secondo il fratello di Kamfirouzi, l’arresto è avvenuto mercoledì. La magistratura è «responsabile di proteggere la vita e la salute di mio fratello», ha ammonito l’uomo.
Tra i clienti di Kamfirouzi ci sono Niloufar Hamedi ed Elaheh Mohammadi, le due giornaliste arrestate dopo aver coperto la morte di Amini e le sue conseguenze. Hamedi, che lavora al quotidiano riformista Shargh, è stata arrestata il 20 settembre dopo aver visitato l’ospedale dove la 22enne aveva trascorso tre giorni in coma prima di morire. Mohammadi, giornalista di Ham Mihan, è stata arrestata il 29 settembre dopo essersi recata nella città natale di Amini, Saqez, nella provincia del Kurdistan, per raccontare il suo funerale. Le due reporter sono state formalmente accusate l’8 novembre di «propaganda contro lo Stato» e «cospirazione contro la sicurezza nazionale», reati punibili con la pena capitale nella Repubblica islamica. Reporters Senza Frontiere (Rsf), l’osservatore dei media con sede a Parigi, ha espresso preoccupazione per la loro sorte e ha chiesto il loro rilascio immediato.
L’Iran ha dichiarato il 3 dicembre che più di 200 persone sono state uccise nelle proteste – che i funzionari descrivono come «rivolte» fomentate dai nemici della Repubblica islamica –, tra cui decine di agenti. Il gruppo, con sede in Norvegia, Iran Human Rights ha denunciato che le forze di sicurezza iraniane hanno ucciso almeno 469 persone nella repressione delle proteste, in un bilancio aggiornato pubblicato oggi. Migliaia di persone sono state arrestate per le proteste: 11 sono state condannate a morte e due, entrambe 23enni, sono già state giustiziate. Nel frattempo, questa settimana l’Iran ha rilasciato due adolescenti che erano stati arrestati con l’accusa di aver preso parte alle manifestazioni: Amir Hossein Rahimi, 15 anni, e Sonia Sharifi, 17 anni, sono stati entrambi rilasciati giovedì, dopo quasi due mesi di detenzione, hanno riferito i quotidiani riformisti Etemad e Ham Mihan.