di Clarissa Valia (tpi.it, 8 aprile 2021)
I Ferragnez sono sempre più politicizzati. Dall’ultima diretta Instagram di Fedez da 2 milioni di visualizzazioni con il parlamentare dem Alessandro Zan per accendere l’attenzione sul ddl contro l’omotransfobia e spiegare perché è bloccato al Senato, passando alla battaglia della “femminista” Chiara Ferragni contro la Regione Lombardia sulla gestione del piano vaccini (con tanto di appello rivolto al premier Mario Draghi), fino alla raccolta fondi in favore dell’ospedale San Raffaele per rafforzare il reparto di terapia intensiva a Milano nel momento forse più critico della pandemia in Italia. Senza dimenticare la telefonata dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla coppia di influencer per lanciare una campagna di sensibilizzazione sull’utilizzo delle mascherine anti-Covid.
Insomma, l’ascesa dei Ferragnez sul piano politico e sociale sembra inarrestabile. La loro influenza travalica i confini social. Grazie al loro carattere spontaneo e al crescente impegno nel dibattito pubblico, la giovane coppia si è conquistata la fiducia e la credibilità del pubblico. Un pubblico immenso e molto rappresentativo del tempo in cui viviamo. Un pubblico che vive sui social e che spesso è distante dalla discussione politica, talvolta elitaria, che si accende nei salotti dei talk show. Fedez e Chiara Ferragni, giovani genitori di successo che arrivano dalla provincia, sono amatissimi. E anziché snobbarli, forse sarebbe il caso di iniziare a imparare qualcosa anche da loro. Tanto che c’è chi si chiede se sia arrivato il momento della loro discesa nel campo della politica. È la riflessione lanciata da Michele Masneri sul Foglio. Uno scenario neanche troppo surreale quello dei Ferragnez politici. Lo conferma lo stesso Masneri ricordando il dirompente ingresso in politica di un altro imprenditore dei nuovi media di allora: Silvio Berlusconi, il “re delle tv” che 27 anni fa, nel 1994, “scese in campo”. Oggi ci si potrebbe aspettare una mossa simile dai due potentissimi influencer che “controllano” insieme un pubblico di 35 milioni di follower. Esistono Stati con meno abitanti.
E se è vero che un follow tira più di un voto – vedi la polemica scoppiata durante il Festival di Sanremo per l’incitamento al televoto lanciato da Chiara in favore del marito in gara –, i Ferragnez sono sulla buona strada. Prima del Foglio ci ha pensato il Financial Times a immaginare un futuro politico per la coppia di influencer, ai tempi in cui i due criticavano alcune scelte politiche del leader della Lega Matteo Salvini: «Ferragni e Fedez sono già posizionati su un lato del divario che sta lacerando il Paese. Fedez è emerso come un critico di Salvini, attaccandolo su Twitter per dichiarazioni razziste e xenofobe», scriveva la giornalista del FT. «Certamente, Ferragni è parte di una storia mediatica globale che riguarda le influencer, giovani donne che assaltano le barricate. Ma, che piaccia o che si disprezzi, Ferragni è anche innegabilmente parte dei piccoli germogli verdi del rinnovamento italiano», dice ancora l’articolo del FT.
Ma una novità importante la rivela sempre Il Foglio, al quale risulta che da mesi i Ferragnez «stanno selezionando, nel massimo della riservatezza, dei giovani consulenti politici a sostegno di questa attività. Collaboratori parlamentari ed esperti di comunicazione politica digitale». Dall’entourage di Fedez è arrivata la smentita: «Nessun interesse». Ma si aggiunge: «se diciamo che hanno parlato di politica con vari personaggi, questo sicuramente sì». Resta il fatto che la tematizzazione da parte di figure non partitiche e non elettorali è in forte aumento. Lo spiega bene Lorenzo Pregliasco, giovane co-fondatore di YouTrend e Quorum, sul Foglio, dove inserisce l’espressione “Netflix politics”. «C’è un elemento culturale», dice. «Ormai in ogni ambito siamo sempre più abituati a ragionare à la carte. Così anche la politica non fa eccezioni». Pregliasco spiega anche il traino politico dei brand, «per esempio proprio la Coca-Cola, che in Georgia si sta opponendo alla nuova legge elettorale voluta dai Repubblicani, che respingerebbe i diritti degli afroamericani».
«Secondo una ricerca che abbiamo fatto qualche mese fa su 800 intervistati, in Italia c’è un 16 per cento dei consumatori che si definiscono “idealisti”, le cui scelte di consumo sono guidate da come i brand si schierano. Una domanda, come si dice, belief driven. Secondo un’altra ricerca Edelman su Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Regno Unito e Stati Uniti, il 53 per cento crede che le aziende possano affrontare i problemi sociali meglio della politica», spiega ancora Pregliasco. Ma l’aspetto più paradossale e interessante «è che il grande riscontro degli influencer arriva proprio nel momento della auto-proclamata fine dell’uno-vale-uno, e con il ritorno alla competenza». Quindi: «Chi sosteneva la competenza è invece pronto ad abbracciare cantanti e artisti che parlano di vaccini, clima, omofobia, basta che la pensino come loro». Pregliasco chiude con un avvertimento e con un consiglio: «La politica-Netflix parla al suo pubblico, insomma, e per il suo pubblico a volte è l’unico contatto con la politica, sono persone che magari altrimenti ne sarebbero fuori, che non guardano i talk-show». Per questo, dice ancora Pregliasco, le influenze «devono esporsi in modo qualificato. C’è sicuramente un elemento di spontaneità che è positivo, ma allo stesso tempo possono non essere del tutto attrezzati. Dall’altra parte ci aspettiamo che la politica prenderà in prestito sempre più il linguaggio degli influencer».