di Spencer Kornhaber («The Atlantic» / internazionale.it, 10 maggio 2018)
Se cercate This is America su Twitter non troverete solo una lunga lista di lodi meritate per il video della nuova canzone di Donald Glover, diventato velocemente il più chiacchierato degli ultimi tempi. Troverete anche dei sostenitori di Trump che stanno approfittando dell’occasione per diffondere i loro messaggi.L’hashtag #ThisIsAmerica spesso è associato a invettive contro i poteri forti. Oppure a meme di scherno contro Hillary Clinton. È stato usato anche accanto a una foto di pionieri bianchi, condivisa da un “attivista di destra europeo” convinto che “buona parte delle persone che hanno costruito gli Stati Uniti erano fatte così”. È normale che gli hashtag più popolari siano sfruttati per obiettivi odiosi, ma Glover sapeva in cosa si stava avventurando quando ha scelto il titolo This is America. Definire una nazione è il compito primario della politica, e oggi il punto di vista di Glover è chiaro. Gli Stati Uniti sono un posto dove i neri sono inseguiti e uccisi a colpi di pistola, e dove i neri ballano e cantano per non pensare – loro per primi, ma forse anche tutto il resto del Paese – a questa carneficina. Gli Stati Uniti sono un posto dove ci sono allo stesso tempo violenza e celebrazione, e se l’attenzione va all’una o all’altra dipende da cosa si mette in primo piano, e da cosa vuole vedere chi osserva. Durante il suo monologo al Saturday night live dello scorso fine settimana, Glover ha ammesso di essere considerato spesso una “triplice minaccia”: come attore (nella serie Community e nel prossimo episodio di Star wars), come musicista (con il nome d’arte di Childish Gambino, candidato a un Grammy nel 2017 nella categoria disco dell’anno) e come cineasta (è il creatore dell’acclamata serie Atlanta). This is America riunisce questi aspetti della sua carriera ma, in modo più intrigante, sottolinea le qualità specifiche di Glover: le doti fisiche d’intrattenitore, la visione concettuale e la consapevolezza della sua stessa fama. Il messaggio non è nuovo e si ricollega a una tradizione – che va dalla canzone The revolution will not be televised al film Get out – fatta di analisi del rapporto tra intrattenimento, razza e razzismo. Ma il modo virulento e caratteristico con cui viene diffuso questo messaggio è tipico dello stile di Glover. Nella serie Atlanta la sua espressività e la sua agilità fisica sono in secondo piano: il suo personaggio, Earn, ha lo sguardo spento e rimane sottotono. Ma in This is America le sue doti danno vita a scatenati passi di danza a torso nudo. La versione di Glover nel video ricorda più il personaggio di Troy in Community, un quarterback ormai finito la cui personalità oscilla tra depressione profonda ed esagerata esaltazione. In This is America, Glover ogni tanto strabuzza gli occhi e s’immobilizza. Oppure si scioglie, muovendo le spalle come se fossero le branchie di un pesce spiaggiato. All’inizio del video contorce il corpo con strani movimenti, sparando poi un colpo di pistola alla testa di un uomo seduto di spalle. La sua posa ricorda la caricatura classica di Jim Crow. La musica in sé è più un collage artistico che una canzone, e la sua orecchiabilità è più un mezzo che un fine. Usando una serie di motivi allegri, linee di basso che preannunciano inquietudine e grida alla James Brown, Glover ricalca gli stilemi dell’hip-pop. Alcuni rapper alla moda fanno capolino con le loro caratteristiche improvvisazioni. “Skrrt, skrrt”, canta Slim Jxmmi, mentre Glover mette insieme parole chiave come party, money e cops. Il video, a questo punto, permette di chiarire il significato semisatirico. Glover e un gruppo di ragazzi in divisa da scolari danno vita a coreografie ispirate a filmati virali e a immagini storiche di performance di artisti neri, mentre la telecamera di Hiro Murai li segue spesso a media distanza, con un effetto di snervante indifferenza (Murai è uno dei principali collaboratori di Glover in Atlanta). Un vortice d’inseguimenti, disordini e sparatorie si svolge ai margini. Il canto e i passi di danza a tratti sospendono il caos, mentre a tratti lo accompagnano. Glover non è certo il primo artista a suggerire che l’intrattenimento popolare nero possa funzionare, contemporaneamente, da buffoneria che soddisfa un sistema razzista e da valvola di sfogo gioiosa per le persone sottomesse a questo sistema. Né è il primo a descrivere il costo psicologico di questo sistema, come si vede nel momento in cui Glover si accende stancamente una canna e quando, in un altro spazio che potrebbe forse indicare il suo inconscio, fugge terrorizzato da un branco di inseguitori bianchi. Ma lo sguardo e la messa in scena di Murai e la performance di Glover sono allo stesso tempo così eleganti e surreali che il messaggio emerge con forza e originalità. L’uso stridente degli spazi vuoti, i contrasti e il tempismo rendono ogni fotogramma crudo e vitale. La risposta del pubblico è stata notevole. C’è stata un’acclamazione immediata non solo dal mondo dell’hip-hop, ma anche da stelle del pop o del rock come Lady Gaga e Trent Reznor. Quest’ultimo ha rotto il suo silenzio su Twitter dichiarando di aver visto il video cinque volte di fila. Questi apprezzamenti aggiungono quasi inevitabilmente un’altra dimensione al video, e all’evoluzione dell’immagine pubblica di Glover. Nelle sue prime e scomode canzoni da Childish Gambino sfruttava la confusione di essere “l’unico ragazzo nero a un concerto di Sufjan Stevens”, ovvero un ragazzo nero che gravitava in ambienti bianchi e hipster. Atlanta e il suo album funk del 2016 hanno clamorosamente modificato quest’immagine, ma spesso si parla di lui in modo strano. “È un esempio per persone che, come me, trovano i Drake e i Michael B. Jordan di questo mondo un po’ troppo perbenino e non sono impressionati dalle pose ribelli di rapper come Future e Travis Scott”, ha scritto Sesali Bowen in un articolo discusso dal titolo The new black hotties (Le nuove stelle nere) uscito sul New York Times. Il fatto che Glover sia stato percepito come una figura di contrasto, a metà tra due mondi, potrebbe avergli dato quella prospettiva, o meglio quella sensazione di essere osservato, che rende This is America così potente. Ma suscita anche delle domande: sta criticando gli stilemi del rap evocati dalla sua canzone? Sta attribuendo ai neri troppe responsabilità per le loro stesse sofferenze? Dopo tutto è lui, e non un bianco, a premere il grilletto contro l’uomo seduto all’inizio del video e, più avanti, contro il coro gospel. Ma si può tranquillamente sostenere che il principale obiettivo di Glover non sia fare la predica. “Vi state tutti dimenticando che cos’è il rap”, ha detto ultimamente al New Yorker. “Il rap significa: non me ne frega niente di cosa pensate in società, quando mi puntate il dito contro per il fatto che chiamo ‘puttane’ le donne, quando poi, se voi potete permettervi due macchine, è perché io vivo nelle case popolari”. Allo stesso modo alcuni spettatori hanno denunciato la violenza del video come un uso sensazionalistico di traumi reali. Si potrebbe obiettare che il punto è proprio la leggerezza con cui Glover abbatte a colpi di mitra il coro di una chiesa, un riferimento al massacro di Charleston. Lo spettatore può rimanere sconvolto dalla scena oppure, come succede nella canzone, andare avanti senza perdere il ritmo. L’opera di Glover, in questo caso, come avviene spesso nella sua carriera, si riferisce in parte anche al modo in cui viene recepita. Che sia nel modo in cui spalanca gli occhi o sfodera il suo sorriso, Glover sa perfettamente che la sua immagine non gli appartiene del tutto, e che l’America, inevitabilmente, la userà e ne abuserà.