di Dario Ronzoni (linkiesta.it, 15 gennaio 2020)
Da un lato ci sono le stagioni di The Crown, che a rilento ricoprono gli anni del regno di Elisabetta II. Dall’altro è già cominciato, nella realtà, lo spin-off della monarchia inglese. Passato lo shock iniziale delle dimissioni reali, concetto così nuovo che non esiste ancora una formula per definirlo (ci si può licenziare dalla posizione di membri della famiglia reale?), si comincia a prendere le misure della novità.
In primo luogo lo fanno, con la consueta pragmaticità british, i diretti interessati: cioè i due fratelli, il principe Carlo e la Regina in prima persona, che a 93 anni continua a reggere il timone di queste nuove appassionanti puntate. Incontri riservati, da cui viene esclusa la moglie Meghan per ragioni «di sicurezza» (per il timore che, con una chiamata internazionale, ci siano intercettazioni), in cui di fatto si discute di affari e diritti commerciali. Fin dove potrà Harry sfruttare il titolo di duca del Sussex? In quali iniziative potrà investire il brand reale e in quali no? E potrà usare il suo stemma?
Insomma uscire dalla famiglia reale, rinunciando al Sovereign Grant, non è per niente facile. Non per niente si parla di Megxit: come la Brexit, anche questo evento è inaspettato, senza regolamenti né protocolli, non si sa quanto durerà e richiede trattative serrate sull’unica questione che conta: i soldi. Come i britannici nei confronti dell’Europa, anche il duca e la duchessa del Sussex sono convinti che ne faranno di più stando fuori. Si parla di Megxit anche perché, in nome del più classico cherchez la femme, la colpa (o il merito?) del fattaccio è stata fatta ricadere, dai tabloid più o meno critici, sulla donna e non sull’uomo, sulla moglie e non sul figlio. Meghan Markle è sempre stata un’aliena, in questo contesto. Americana – quindi straniera – dal passato non indiscutibile e, soprattutto, insofferente alle esigenze dell’etichetta reale. Addirittura si vociferava di un suo prossimo divorzio tra lei e Harry, visti i cattivi rapporti con la Regina. Invece è un divorzio istituzionale, più creativo.
Ma queste sono chiacchiere, cui non manca anche una sottile venatura razzista (lei è nera), denunciata da più parti, anche sul New York Times: «I britannici di colore sanno perché Meghan vuole andarsene», titolava. Motivo in più per lei per salutare il suolo britannico, visto il trattamento riservatole dalla stampa, molto diverso rispetto a quello per la cognata e collega Kate Middleton – sempre stata, nel suo ruolo di moglie di principe, professionalissima. Il sodo, però, è altro. E non è il soldo, cioè i guadagni che Meghan e Harry immaginano di ricavare sganciandosi dalla Corona con iniziative, conferenze, libri e public relations di alto livello (il caso della raccomandazione reale per una particina da doppiatrice è già saltato fuori, con le conseguenze del caso). Ma è un affare più grosso e spinoso, che riguarda piuttosto il futuro e il senso stesso della monarchia inglese.
I tempi sono cambiati, anche per i re. E allora, fatte salve le prerogative istituzionali, la Corona inglese, per mantenere vitalità, deve cominciare a reinventarsi. Lo dice, in un’intervista alla Cbs, anche Robert Lacey, scrittore e storico inglese, tra i massimi esperti di cose reali e consulente proprio della serie The Crown: «La forza di questa famiglia è la sua abilità di adattarsi al cambiamento, con la consapevolezza che deve incarnare i valori del popolo che è chiamata a rappresentare». Al momento, visto che di vile denaro si tratta, e per giunta di denaro pubblico, «la questione, per quanto ho avuto modo di sentire», sarà risolta «con una fondazione in America, che darà finanziamenti a tutte le attività che la coppia avrà intenzione di promuovere». Per ora «si discute sui dettagli», che non sono da poco: quali attività finanziare, quali iniziative sostenere, quali idee e ideologie rafforzare. Occorre che il brand, come direbbe qualsiasi esperto di marketing, mantenga la sua coerenza.
Insomma, adesso serve essere operativi. Pensare nuove strategie di comunicazione parallela e immaginare tutto con la mentalità di un’impresa che si fa multinazionale. Lo spin-off Harry-Meghan, che è rivolto più al mondo canadese, apre nuove possibilità anche al progetto originale, non escludendo nuove fioriture in altri Paesi. «Questo che vediamo è un modello positivo per la monarchia del futuro», conclude Lacey. La nuova monarchia liquida: disciolta nel presente, guarda al di là dell’Atlantico (in coincidenza con la Brexit), inventa un nuovo modo per stare a galla. Un progetto pilota che può valere anche per le altre famiglie reali europee. Che saranno un po’ meno glamour, allo stesso modo vetuste e, forse, meno costellate da scandali, ma anche loro alla ricerca di un’idea che continui a dare un senso alla loro esistenza. Del resto, lo abbiamo visto con la vicenda di Benedetto XVI, oggi anche i papi si dimettono, con molti meno patemi di una volta.