di Oiza Q. Obasuyi (internazionale.it, 7 agosto 2020)
In Italia il dibattito sul fascismo ritorna ciclicamente e spesso è un segnale evidente del fatto che il Paese non è mai riuscito a fare davvero i conti con il suo passato. L’ultimo esempio lo offre la proposta al Consiglio comunale di Roma per realizzare un museo del fascismo. La mozione è stata firmata da Gemma Guerrini, Massimo Simonelli e Andrea Coia, tre esponenti del Movimento 5 Stelle. L’intenzione era quella di dare vita a un istituto di tipo didattico per raccontare il Ventennio e attirare scuole e turisti, conferendogli anche una funzione catartica.
Tuttavia, come ha sottolineato l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi), nella mozione non c’era alcuna condanna dei crimini perpetrati dal regime, né si prendeva in considerazione il rischio che l’iniziativa potesse finire per glorificare il regime anziché condannarne le politiche. Secondo Bruno Astorre, senatore e segretario regionale del Partito Democratico (Pd) nel Lazio, la creazione di un museo simile rappresenterebbe uno schiaffo e un insulto a Roma – città a cui è stata conferita la Medaglia d’Oro per la Resistenza – e alle vittime del nazifascismo. Dopo molte polemiche, il museo non si farà, ma il caso offre uno spunto per affrontare il processo di normalizzazione che ha riguardato e riguarda ancora oggi il fascismo. Questa normalizzazione, per esempio, passa da espressioni razziste che richiamano la violenza e le discriminazioni di quel periodo.
Basti pensare alle parole di Giuliano Felluga, responsabile della Protezione civile di Grado, in Friuli-Venezia Giulia, che il 4 agosto ha parlato di “taniche di benzina”, di “forni crematori” e di “squadroni della morte” per sedare le proteste dei migranti messi in quarantena nell’ex caserma Cavarzerani di Udine. O ancora, a quello che ha detto l’esponente della Lega Antonio Calligaris dopo che un gruppo di militanti di CasaPound ha fatto irruzione al Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia per leggere un comunicato contro gli immigrati. “Sarei uno di quelli che ai migranti sparerebbe”, ha detto Calligaris. Il problema non è solo l’evidente razzismo di queste due persone, ma il fatto che questi episodi passino in sordina dopo poco tempo. Felluga si è scusato dicendo che “chi lo conosce sa che non è veramente così” e che si è trattato solo di uno “sfogo”; Calligaris ha affermato di aver esagerato.
Nel 2018 il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha dato un altro esempio di normalizzazione: “Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata. Qui non è questione di essere xenofobi o razzisti”. È vero il contrario. In questo caso è evidente l’ideologia nazifascista che considera i bianchi una razza superiore, eppure in queste frasi il razzismo diventa buon senso, e spesso in proposito non c’è alcun contraddittorio su giornali e tv.
Senza un’educazione antifascista – senza quell’approfondimento sull’antifascismo che manca perfino nei programmi scolastici, come ha notato la scrittrice Igiaba Scego – un museo come quello proposto a Roma finirebbe per diventare un’attrazione per nostalgici. Prima di realizzarne uno, sarebbe importante anche un’analisi del colonialismo italiano e una presa di coscienza su quegli anni. Si è visto quello che è successo con il dibattito sulle statue dedicate a personaggi sanguinari come il generale fascista Rodolfo Graziani, fautore del massacro contro gli etiopi ad Addis Abeba nel 1937. Invece di affrontare quel periodo con una coscienza critica, il risultato è stato la sua banalizzazione. Il colonialismo è stato ridotto a un “errore”, per citare le parole che il sindaco di Milano Beppe Sala ha usato per difendere la statua di Indro Montanelli. Ma le violenze, gli stupri, le invasioni e gli stermini non sono errori, sono stati l’espressione perfetta dell’imperialismo e del razzismo fascista.
In un Paese in cui fino a oggi si è ignorata la storia del partigiano italo-somalo Giorgio Marincola, a cui solo di recente è stata intitolata una stazione della Metro C di Roma al posto di quella dedicata al massacro fascista dell’Amba Aradam; in cui professori universitari come Emanuele Castrucci si dilettano a fare dichiarazioni antisemite e filonaziste su Twitter; in cui si assiste a manifestazioni di fascisti che negano la verità sulla strage alla Stazione di Bologna; insomma, in un Paese che minimizza e banalizza la propria storia, il museo del fascismo non ha senso di esistere. Quello che serve è affrontare la propria storia con rigore e combattere la violenza razzista ogni giorno, non indignarsi per poi passare alla prossima notizia.