di Antonio Gurrado (ilfoglio.it, 8 marzo 2018)
Cazzeggiando su Internet ho scoperto che il nuovo album di David Byrne uscirà domani, non grazie a un lancio d’agenzia né a una recensione bensì grazie all’eco causata da un post su Facebook, in cui lo stesso Byrne si scusava per l’uscita del nuovo album. Capita infatti che American Utopia si avvalga della collaborazione di venticinque musicisti, tutti maschi.David Byrne si è dunque affrettato a far notare che è ridicolo che David Byrne non abbia scritturato almeno una donna nel corso della lavorazione dell’album e a puntare il dito sulla propria negligenza nel contribuire alla carente rappresentanza femminile nel mondo dell’arte, autodenunciandosi come “parte del problema”. L’evento è indicativo per due motivi (ce ne sarebbe anche un terzo, in verità, ma riguarderà solo l’eventuale psicologo di David Byrne). Primo: è la raffigurazione plastica di come un’adesione superficiale ai valori della modernità comporti la loro sterilizzazione per mezzo della scissione fra parole e fatti. Le scuse non tolgono che l’album di Byrne uscirà lo stesso e che sia stato realizzato con venticinque maschi; la professione di fede femminista con cui Byrne si mette al riparo dall’accusa di sessismo è l’equivalente della frettolosa Avemaria riparatrice smozzicata da peccatori incalliti e penitenti poco convinti. Secondo: questo cambierà una volta per tutte l’industria della produzione artistica. D’ora in avanti, per lanciare un nuovo prodotto, basterà realizzarlo compiendo un’evidente discriminazione sessuale o razziale o di altro tipo; poi ci si autodenuncerà scusandosi e tutti saranno immediatamente al corrente della novità, perfino io.