(ilpost.it, 28 agosto 2023)
Nello sport esistono usanze talmente vecchie da passare ormai per scontate. Ci sono nazionali che, per esempio, sono conosciute da sempre con dei colori che non sono quelli delle loro bandiere, come l’Italia, i Paesi Bassi e la Nuova Zelanda. Sempre in ambito internazionale, in alcuni sport le nazionali britanniche giocano divise, mentre in certi eventi, come le Olimpiadi, si presentano tutte insieme come Gran Bretagna.
Nel rugby invece l’Irlanda gioca unita, cioè insieme all’Irlanda del Nord, mentre nel calcio e in altri sport rimane divisa. Al rugby viene anche attribuita l’origine di una delle usanze più antiche e distinguibili dello sport internazionale: l’esecuzione degli inni nazionali prima delle partite. È un momento che fa parte della prassi degli eventi ufficiali e viene difficile immaginare che si possa giocare una partita senza. Inizialmente questa pratica nacque come risposta di una squadra nazionale e del suo pubblico, il Galles, alla haka eseguita dai rugbisti neozelandesi.
Nel 1905 la Nuova Zelanda aveva già imparato a giocare a rugby meglio delle nazionali britanniche, nonostante queste avessero avuto il vantaggio di aver inventato lo sport quasi un secolo prima. Quell’anno la Nuova Zelanda si presentò per la prima volta in Galles al termine della sua prima tournée in Gran Bretagna, nella quale si ritiene le fu dato il suo attuale soprannome, “All Blacks”, per un errore di stampa. Delle 34 partite giocate fin lì, gli All Blacks non ne avevano persa una, segnando peraltro 801 punti e concedendone soltanto 32. Fu anche per questo motivo che la partita in programma il 16 dicembre 1905 a Cardiff contro il Galles, campione in carica dell’Home Nations (l’attuale Sei Nazioni giocato soltanto delle nazionali britanniche e irlandesi), fu una delle prime nella storia dello sport a essere presentata come “la partita del secolo”.
Prima di giocare la Nuova Zelanda era già solita eseguire la haka, la danza tipica dei maori che proprio gli All Blacks hanno contribuito a rendere famosa in tutto il mondo. All’epoca veniva eseguita in maniera meno organizzata rispetto a oggi, era meno minacciosa e talvolta passava inosservata. In certe occasioni bastava però a impressionare pubblico e avversari, perché era qualcosa di mai visto prima. I dirigenti gallesi si resero conto dell’effetto generato dalla danza maori in una partita giocata dagli All Blacks a Gloucester, in Inghilterra, nella loro tournée britannica. In vista della partita in programma a Cardiff pensarono, quindi, a un modo per reagire a quel momento. Insieme alla squadra decisero così di aspettare il termine della danza e poi cantare il loro inno nazionale, Hen Wlad Fy Nhadau (“Terra dei miei padri”).
Quel giorno a intonare per primo l’inno fu un giocatore, Teddy Morgan, il quale venne seguito dalla squadra e poi spontaneamente da tutto il pubblico presente. Morgan, peraltro, segnò una meta decisiva e da quel giorno entrò nella storia del rugby gallese. «Immaginate 40mila persone che cantano il loro inno nazionale con tutto il fervore di cui è capace il cuore celtico. È stato il momento più impressionante cui abbia mai assistito su un campo da rugby» raccontò il capitano gallese Dave Gallaher (la cui maglia di quella partita fu venduta nel 2015 per 180mila sterline). Anche il capitano degli All Blacks disse successivamente di non aver mai vissuto nulla di simile.
Per l’epoca fu qualcosa di eccezionale, perché fino ad allora gli inni, specialmente quelli britannici, venivano eseguiti soltanto in circostanze solenni, perlopiù militari. Ad aggiungere significati a quell’evento ci fu poi l’esito della partita. Al Galles non veniva data alcuna speranza. Il giorno della partita, il Times di Londra aveva scritto: «Tra i giocatori gallesi il tempo si fa sentire, e le recenti assenze si noteranno quando la partita si concluderà con la loro inevitabile sconfitta». Non andò così: il Galles segnò una meta con Morgan a circa 20 minuti dall’inizio (all’epoca una meta valeva 3 punti) e poi difese il risultato per tutta la partita, nonostante i dubbi su una meta non assegnata nel secondo tempo alla Nuova Zelanda.
Per gli All Blacks quella fu l’unica sconfitta in 35 partite disputate nella loro prima tournée al di fuori dell’Oceania. Il risultato negò loro una serie perfetta, ma dal successo di quel viaggio la Nuova Zelanda iniziò a farsi conoscere dal resto del mondo come squadra pressoché imbattibile, reputazione che conserva ancora oggi. Anche per il Galles “la partita del secolo” del 16 dicembre 1905 fu un evento cruciale nella storia della sua nazionale di rugby, conosciuta tuttora per combattività e tenacia. La rivalità tra All Blacks e Galles è rimasta, inoltre, una delle più caratteristiche nel mondo del rugby professionistico. Il più delle volte vincono gli All Blacks, ma il Galles trova sempre il modo di rendersi “fastidioso”. Una delle risposte più efficaci alla haka viste negli ultimi anni, per esempio, fu proposta proprio dai gallesi, sempre a Cardiff, nel 2008. Oltre al gran baccano che fece il pubblico presente, i giocatori rimasero immobili in mezzo al campo, come se nulla fosse, anche dopo la fine della danza. Per alcuni secondi anche gli arbitri non seppero cosa fare.
La tournée della Nuova Zelanda in Regno Unito del 1905 fu uno dei primi eventi del suo genere nella storia dello sport. In Gran Bretagna gli incontri internazionali si giocavano già da metà Ottocento, ma quel Galles-Nuova Zelanda del 1905 è ritenuta ancora oggi la prima vera testimonianza di un inno nazionale eseguito come presentazione di una squadra e del suo pubblico. L’effetto che ebbe, raccontato ampiamente dai giornali dell’epoca, contribuì a diffondere l’usanza e a farla diventare una prassi, dapprima nel Regno Unito, poi nel resto d’Europa e via via altrove. In Nord America invece si hanno testimonianze di inni eseguiti prima delle partite del campionato di baseball già nell’Ottocento, ma soltanto in via del tutto eccezionale e in rappresentanza della lega professionistica.