di Benedetta Grasso (lastampa.it, 17 aprile 2018)
In Warm Springs Eleanor Roosevelt, interpretata da Cynthia Nixon, dice al marito: «Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso». I tabloid e i giornali del mondo, dopo l’annuncio della candidatura della Nixon per lo Stato di New York, l’hanno subito associata a Miranda, la stakanovista dai capelli rossi di Sex and the City, che adesso ha mire politiche.In realtà, tra un brunch con le amiche e l’altro, Cynthia, è stata già al governo – perlomeno in tv – non solo nei panni di Eleanor Roosevelt ma anche di Nancy Reagan. Ci vorrebbe un manuale per comprendere lo spettro complesso di implicazioni connesse quando si mischiano show business e politica: può significare un impegno ostentato come quello di alcuni vip che si illudono di salvare il mondo, oppure l’accesso a risorse concrete usate per scopi nobili e anche, perché no, portare una cultura e valori più alti. A volte assistiamo a trasformazioni insospettabili alla Schwarzenegger, che ormai è considerato uno dei migliori governatori della California, capace di ottime riforme progressiste, serio e preparato, e si è costruito un’immagine lontanissima da quella che dava con i suoi film, come d’altra parte accadde allo stesso Reagan. Ultimamente i protagonisti politici venuti dalla tv (che siano di sinistra o di destra), come Oprah Winfrey – che molti sognerebbero presidente – o Donald Trump, incarnano una fama che fa leva più sulla familiarità del volto noto e la pancia del Paese che sulla solida preparazione politica di altri tempi. Cynthia Nixon non è facile da inquadrare però, sia perché non ha la fama di altri, nonostante Sex and the City, sia perché il suo curriculum da newyorkese è effettivamente autentico. E anche perché il suo rivale Andrew Cuomo, pur rimanendo avvantaggiato, è ormai sinonimo di un incubo quotidiano per i newyorkesi. «Credo in New York – ha detto Cynthia –. Mi presento come una newyorkese e come una mamma di bambini che vanno alla scuola pubblica, come una persona che usa la metropolitana di New York». Tutto questo perché le prossime elezioni del governatore di New York, a novembre, saranno combattute soprattutto in metropolitana: tra binari sporchi, colonie di topi e giganteschi allagamenti. Nel 2017 e nel 2018 milioni di newyorkesi che usano questo mezzo di trasporto hanno subito ritardi di ore per arrivare al lavoro, alcuni hanno avuto attacchi di panico o svenimenti, ci sono stati incidenti. A uno dei suoi primi comizi a New York, il 19 marzo, Cynthia Nixon ha detto che è dovuta partire un’ora e mezza prima per quello che doveva essere un viaggio di mezz’ora dopo che tre treni erano stati bloccati quella mattina, per colpa dell’Mta, l’azienda della metropolitana di New York, che nella Grande Mela non dipende dal sindaco De Blasio ma dal governatore dello Stato, Andrew Cuomo: quello che lei deve battere. Scaricare i problemi dei mezzi pubblici sui politici non è puro populismo da bar in questo caso, in quanto le tensioni tra Cuomo e De Blasio negli ultimi anni sono state enormi e tra le cause principali dello stallo degli investimenti. È una situazione oggettivamente disperata e fuori controllo dal 2016, con treni bloccati nei tunnel, intere linee sospese, quartieri ormai isolati, orari inaffidabili, ed è una delle metropolitane più sporche e mal tenute del mondo, disorganizzata, poco chiara. Il sistema che segnala dove sono i treni – per evitare incidenti – non permette di sapere dove sono esattamente, ma solo in quale sezione della rete, perché è ancora fermo al 1930 e non si può rimpiazzare senza ricostruire l’intera struttura, e come spiega [un] video – politicamente neutrale – del New York Times ciò avviene come conseguenza di tantissime questioni tecnologiche, logistiche, ambientali (Uragano Sandy) ma anche politiche (tra le varie il governatore Cuomo è stato costretto a dichiarare la metropolitana in uno “stato di emergenza” dopo aver distolto soldi dell’MTA per finanziare resort sciistici e per altri scopi). New York rende la vita dura anche alle celebrità: gran parte della città è spesso ben lontana dal glamour alla Gossip Girl, dai magnati di Wall Street o del real estate anni Ottanta, e perché no anche da certe scene e lussi di Sex and the City. La maggior parte delle persone va a piedi e prende i mezzi. Le case, anche in palazzi di lusso, hanno finestre vecchie, sistemi di riscaldamento e tubature superati. Ovviamente c’è una serie A e una serie B e anche penthouse da sogno, ma Cynthia Nixon vive nell’East Village del nuovo millennio. Una zona ormai, certo, ripulita e diversa dalla culla alternativa, ribelle, originaria e da quello che era negli anni Ottanta, le strade di Rent, di Alphabet City, dell’Aids, delle siringhe di Thompkins Square Park, che ha sistemato i “projects”, le case popolari sul fiume, ma è ancora studentesca, giovane, con ristoranti sempre più autentici e “trendy” ma in spazi da monolocale. Mentre alcune elezioni locali americane sono state negli ultimi mesi molto aspre e divisive tra democratici e repubblicani, una rivalsa simbolica rispetto alle elezioni nazionali, con aspetti inquietanti, complotti, e ideologie, Cuomo e Nixon non sono su due fronti politici diversi. Cuomo al massimo è il mondo democratico più istituzionale moderato, ma è appunto anche “quello della metropolitana”. La Nixon affronta temi più radicali, come la legalizzazione della marijuana, nei suoi video su Twitter, ma è comunque una signora colta, perbene, che usa un linguaggio forbito e non populista, che si prepara prima dei suoi eventi, pur essendo meno qualificata per certi aspetti. Entrambi hanno passione civica, anche se sono ovviamente Davide contro Golia, visto che Cuomo è al potere da anni, una colonna portante dello Stato, ed è molto difficile che perda a novembre. Lei si presenta come donna in carriera, attivista, con una moglie, tre figli, non solo un’attrice. Ironicamente, è molto meno noto che lei sia la nipote di Richard Nixon. Mentre di Cuomo tutti sanno che è l’erede di una dinastia politica, essendo figlio di un altro governatore leggendario, Mario Cuomo. L’unica cosa certa è che Richard Nixon non si sarebbe mai immaginato che sua nipote potesse essere una donna gay, molto democratica, pro marijuana, che combatte per la salute delle donne e per la scuola pubblica, credendo nell’aiuto da parte dello Stato e delle comunità, e che frequenta persino una sinagoga Lgbt (Congregation Beit Simchat Torah). La marijuana è una battaglia legata anche a problematiche razziali: il numero di persone di colore arrestate ogni anno è molto più alto dei bianchi, nonostante i bianchi consumino le stesse droghe. Una maggiore attenzione alla salute femminile attraverso enti e ospedali locali, avendoli provati sulla sua pelle dopo un cancro al seno, rendono quasi perfetto il binomio “sex” e “city” come implicito programma elettorale. L’immagine dell’avvocato serio e dedito al lavoro fa pensare a quanto pesi un mix di realtà e finzione e quanto questo gioca con l’immaginario delle persone, così come la serie che fece di New York un personaggio multiforme e un manifesto di vita. La Nixon ha raccontato a un talk show che dopo una proiezione del secondo film di Sex and the City a Londra si è, però, quasi dispiaciuta nel vedere il pubblico impazzire di gioia e applaudire quando Big regala l’armadio gigante a Carrie. Non perché non sia un bel momento e un gesto romantico, ma perché per lei il messaggio della serie era il contrario, mirato all’emancipazione con mille sfaccettature. Insomma, tradotto in slogan politici: non aspettare che arrivi un uomo (o un Cuomo…) a regalarti un armadio, ma devi lavorare dal basso per essere tu quella che ce la fa a ottenerlo. E, se possibile, non metterci due ore, bloccata in metropolitana, per poter tornare a casa a provarti le scarpe fantastiche appena comprate.