di Niccolò Carradori (vice.com, 26 settembre 2018)
Dal punto di vista del gradimento e della fiducia, è un momento molto positivo per il nostro Presidente del Consiglio. Lo dicono i sondaggi, ma soprattutto le reazioni alle sue apparizioni pubbliche e i commenti sulle sue pagine social. I presenti vogliono avere un contatto fisico con lui, gli tendono la mano, lo chiamano “Giuseppe”.
E nei commenti sotto le sue foto o video ci sono un’infinità di attestati di stima e affetto. C’è chi lo paragona a Pertini, chi lo sprona ad andare avanti, chi non riesce a nascondere l’emozione guardando la live di Conte a San Giovanni Rotondo. «Non mi vergogno a dire che sto piangendo vedendo queste immagini. Mai vista un’accoglienza del genere per un Presidente del consiglio», recita uno dei commenti. Ora, non so voi, ma tutta questa fiducia e questa stima personalmente mi lasciano un po’ perplesso. Non dico che Conte abbia dimostrato di non meritarla, ma di contraltare non capisco cosa abbia fatto per ottenerla. Nei fatti mi sembra la figura più neutra e inconsistente di questo esecutivo: una specie di “presidente figurante” che viene trasportato a braccio dai membri dello staff. Quasi più un presidente della repubblica surrogato, che non il capo di un esecutivo. In questi mesi è probabilmente il membro del governo che ha avuto il minor peso sulle scelte e le questioni da dirimere: ogni tanto fa delle dichiarazioni di appoggio verso qualche ministro, ma niente di più. Eppure in molti lo percepiscono come una figura cardine di questo governo del cambiamento. Perché? Innanzitutto, visto che in questo Paese la memoria politica ha la stessa longevità di un moscerino della frutta, è utile ricordare come e perché Conte è diventato presidente del Consiglio. Visto che prima della candidatura a Mattarella quasi nessuno sapeva chi fosse. È forse la prima volta infatti, nella storia della Repubblica, che la credibilità e l’identità di un premier sono state costruite dopo le elezioni. Tant’è che la sua pagina Facebook ufficiale, e gli articoli per ricostruire la sua storia professionale, sono usciti fuori proprio mentre era a colloquio con il presidente della Repubblica per ottenere l’incarico. In un momento politico di stallo, in cui l’unica reale opzione per formare un governo presumeva che entrambi i principali rappresentanti di partito — Di Maio e Salvini — facessero un passo indietro nelle loro ambizioni di leadership, c’era bisogno di una figura non belligerante. Che potesse andare bene a entrambi gli schieramenti, ma soprattutto ai loro elettori. E Conte con il senno di poi — almeno il mio — era perfetto: nessuno sapeva, e nessuno sa, quale sia la sua reale tendenza politica. Nell’intervista rilasciata a Marco Travaglio è talmente vago nel descrivere le sue posizioni attuali da pensare che in realtà non ne abbia una. E quando gli viene chiesto il motivo della sua morigeratezza comunicativa, risponde che la sua priorità è lavorare e non comunicare. Un presidente operoso, che ci tiene a chiarire che fa tardi la sera in ufficio, efficace nell’immagine che gli hanno costruito in fretta e furia i membri dello staff di Casalino: un politico con pH neutro ma dalla grande responsabilità. Proprio a parte la determinazione e la serietà nel lavoro, le altre sue qualità declamate sono tutte per sottrazione. Non è invadente, non è appariscente, non può rappresentare realmente nessuno schieramento perché non c’è modo di farlo prestare a giochi di ambiguità e preferenza. Sembra un pochino più giallo che verde, ma solo perché solitamente i grillini gli stanno più appresso, e sostanzialmente permette ai due schieramenti di continuare ognuno le proprie politiche con toni meno istituzionali. Gli elettori grillini si specchieranno nella figura mediana di Conte, che ha un retrogusto privo di casta e glamour politico — è un professore universitario di seconda fascia, non un barone delle università. I leghisti saranno confortati dal fatto che qualsiasi cosa Salvini sembra dire o fare (spesso prendendo le veci del presidente del Consiglio), Conte rimane impalpabile come un petalo di loto trasportato dalla corrente. Un contenitore affettivo perfetto per questo governo del cambiamento che ancora non ha concretizzato quasi niente di quello che voleva cambiare. Mentre si aspetta di capire come ci si muoverà riguardo al reddito di cittadinanza, e alle politiche fiscali, Conte è lì a sorridere, stringere mani e dare pacche.