Come intellettuali e vip si schierano sul governo

di Guido Mariani (lettera43.it, 1° settembre 2018)

Chissà cosa avrebbe detto il premio Nobel Dario Fo dell’alleanza di governo Cinque Stelle-Lega. Sostenitore della prima ora del movimento grillino, il teatrante-letterato non ha mai fatto parte degli intellettuali timidi riguardo alle proprie idee politiche.Cala-Pavone-ScamarcioFo era la coscienza di sinistra dei pentastellati e disprezzava i leghisti, che descriveva in questi termini: «Odiano il migrante ma vanno a fare investimenti finanziari in Tanzania. Il loro obiettivo ci deve essere chiaro: alimentare la guerra tra poveri per spartirsi il bottino tra appalti e finanziamenti pubblici». C’è stata in Italia una generazione di protagonisti del mondo della cultura e dell’arte che non ha mai avuto paura di schierarsi e di far sapere ogni volta da che parte stava. In mesi in cui la sinistra si è appassita, il populismo ha adottato gli slogan delle destre e i sovranisti e gli anti-globalisti si atteggiano a paladini del nuovo, artisti e intellettuali sembrano disorientati o impauriti e decidono di schierarsi solo con grande cautela.

Il flop dell’appello di Rolling Stone

A inizio luglio la rivista Rolling Stone Italia ha tentato di stanarli con un appello pubblico contro le destre e una copertina che recitava «Noi non stiamo con Salvini. Da adesso chi tace è complice». È stato un mezzo flop. Alcuni dei firmatari dell’appello o hanno smentito di aver aderito alla campagna o si sono, per ragioni diverse, dissociati dall’iniziativa (il direttore del tg de La7 Enrico Mentana, lo scrittore Alessandro Robecchi, il fumettista Gianni Gipi Pacinotti e la giornalista Valentina Petrini). Selvaggia Lucarelli, ex direttore di RollingStone.it, ha rincarato la dose spiegando come durante il suo breve e conflittuale periodo di direzione gli editori del magazine, versione italiana della bibbia del rock americano, non abbiano mai dimostrato nei fatti alcun comportamento tale da poter far la morale alla destra: «Da voi», ha scritto sul suo profilo Facebook l’opinionista, «la copertina di sinistra proprio no». Artisti, intellettuali, scrittori, personalità della cultura sembrano intrappolati in un finale di un brutto film di gangster, quello in cui i membri del clan non sanno chi sono gli amici e chi i nemici e per sopravvivere si nascondono, temono trappole o rappresaglie e aspettano che passi una nottata che forse non passerà. Tuttavia, una panoramica di come si sono schierate alcune personalità del mondo artistico e culturale può essere azzardata.

Da Camilleri a Saviano: i critici senza se e senza ma

Andrea Camilleri, classe 1925, fa parte ancora della generazione che sceglie sempre la propria battaglia. «Intorno alle posizioni estremiste di Salvini», ha detto lo scrittore siciliano, «avverto lo stesso consenso che a 12 anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini. È un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto. Prima di tutto il razzismo». Il fotografo Oliviero Toscani, subito dopo il voto, ha dato a Salvini dell’«uomo di Neanderthal». Il cantautore Roberto Vecchioni, che aveva già bollato in tempi non sospetti l’attuale ministro degli Interni come «imbecille», è sceso in piazza contro la chiusura dei porti ai migranti. In prima linea contro il governo (con tanto di scambio di querele) soprattutto Roberto Saviano: «Perché vi nascondete? Scrittori e medici, attori e youtuber: tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo in questo Paese mi sta bene». L’appello dell’autore di Gomorra non ha fatto breccia più di tanto. Il regista Paolo Virzì ha aderito, lo scrittore Eraldo Affinati ha rilanciato («Non basta. Bisogna agire»), così come il collega Sandro Veronesi («Mettiamo i nostri corpi sulle navi che salvano i migranti»).

Contrari al governo ma con prudenza

Ma pochi altri sono venuti allo scoperto. C’è chi l’ha fatto con molta prudenza. Dacia Maraini ha detto di essere d’accordo solo in «linea di massima», non condividendo il tono della polemica. «Le persone vanno convinte con le idee, con i ragionamenti e con gli argomenti», ha spiegato la scrittrice, «perché altrimenti nella mente delle persone rimane soltanto l’insulto. E l’insulto non serve a niente». Sulla questione dei migranti anche Fabio Fazio ha espresso cautamente la sua posizione: «Nessuno sceglie da chi nascere e dove nascere. Tantomeno se essere quello che attraversa il mare su un barcone o quello che invece decide se farlo attraccare in un porto sicuro. Non ci possiamo abituare a quello che sta accadendo in questi giorni».

Cacciari, Pollini & Co: l’allarme per le europee

Più decisi Massimo Cacciari, Enrico Berti, Michele Ciliberto, Biagio de Giovanni, Vittorio Gregotti, Paolo Macrì, Giacomo Manzoni, Giacomo Marramao, Mimmo Paladino, Maurizio Pollini e Salvatore Sciarrino, che su Repubblica, il 3 agosto, hanno lanciato un appello in vista delle Europee. «La situazione dell’Italia si sta avvitando in una spirale distruttiva», comincia il testo. «L’alleanza di governo diffonde linguaggi e valori lontani dalla cultura – europea e occidentale – dell’Italia. Le politiche progettate sono lontane da qualsivoglia realismo e gravemente demagogiche. Nella mancanza di una seria opposizione, i linguaggi e le pratiche dei partiti di governo stanno configurando una sorta di pensiero unico, intriso di rancore e risentimento. Il popolo è contrapposto alla casta, con una apologia della Rete e della democrazia diretta che si risolve, come è sempre accaduto, nel potere incontrollato dei pochi, dei capi. L’ossessione per il problema dei migranti, ingigantito oltre ogni limite, gestito con inaccettabile disumanità, acuisce in modi drammatici una crisi dell’Unione Europea che potrebbe essere senza ritorno».

Mogol, Scamarcio e Calà: i fan di Salvini

Il governo giallo-verde non è a corto di amici. Piace al paroliere Mogol, che ha difeso l’esecutivo dalle critiche: «Quando c’è un cambiamento il fuoco di sbarramento c’è sempre». In anni in cui il mondo della canzone era schierato, il suo grande sodale artistico Lucio Battisti reclamava il diritto a non avere una posizione: «Se trasmetto dei messaggi non lo faccio apposta», disse in un’intervista del 1979. «Non credo di essere né un santone né un vate, che somiglia molto a un water». Rita Pavone ha prima attaccato i Pearl Jam, che durante un loro concerto italiano avevano difeso l’accoglienza ai migranti, e poi ha sentenziato: «Ringrazio Salvini. A me lui non dispiace per niente. Lasciamoli lavorare, così avremo modo di capire se stanno operando bene o male». Iva Zanicchi, cantante ed ex-eurodeputata berlusconiana, è d’accordo: «Ho conosciuto Salvini al Parlamento europeo. Ha una determinazione di ferro, sa come rivolgersi alle persone, ha capacità evidenti. Non l’ho votato, ma immagino che chi l’ha fatto sarà contento di vederlo così presente e sicuro». Tra i fan del triumvirato Conte-Di Maio-Salvini anche la cantante di simpatie grilline Orietta Berti, gli attori Lando Buzzanca e Jerry Calà. Quest’ultimo si è schierato su Twitter a favore del governo. Luigi Di Maio gli ha risposto, sempre su Twitter, da grande statista: «Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi!». Tifa per il sovranismo giallo-verde anche Riccardo Scamarcio. «Non sono assolutamente d’accordo con chi dice che Salvini sia razzista. È un nazionalista. Nel senso più nobile del termine» ha detto l’attore, dimenticando che un nazionalismo nobile non si vede dai tempi di Rousseau.

Mannoia e gli altri delusi dai Cinque Stelle

C’è poi chi aveva in un primo momento apprezzato la spinta dei pentastellati, vedendoli addirittura come probabili alleati dei dem. Un esempio? Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, aveva lanciato un appello al Pd per un dialogo con i Cinque Stelle; ora critica entrambi: «Se sei ricco è facile essere di sinistra, perché non hai il Rom e il migrante come vicino e perché non hai i problemi dei poveri. Dove sono i Cinque Stelle? Capisco che c’è un governo, ma tirate fuori la dignità! Voglio morire d’ingenuità e pensare che loro stiano soffrendo. Non posso pensare che una frase come “purtroppo i Rom italiani ce li dobbiamo tenere” sia piacevole. Capisco l’equilibrio di governo, ma dovrebbero tirare fuori un sussulto, quella sana incazzatura di Piazza Maggiore». È rimasta scottata Fiorella Mannoia, passata dalla sinistra militante a Beppe Grillo. Ora sui social si scaglia contro l’epidemia razzista scrivendo: «Il lavoro del “ministro della paura” sta dando i suoi frutti». Si è defilato anche Fedez, in passato sostenitore del M5S e autore anche di un loro inno musicale, ora impegnato solo nelle gioie della paternità, a organizzare il matrimonio con Chiara Ferragni e a postare pose vacanziere su Instagram. L’attrice Sabina Guzzanti nel 2015, a un raduno romano del Movimento, urlava: «Gli italiani siamo noi!», ora si abbandona al fatalismo e dice: «Non mi piace questo nuovo governo. Lo trovo spaventoso, obiettivamente. Ma del resto è quello che ci tocca, in assenza di alternative».

Da Fiorello a De Gregori e Jovanotti: niente politica

In mezzo agli opposti schieramenti, tanti equidistanti o chi ha deciso di allontanarsi prudentemente dalla politica. Fiorello, già prima del voto, diceva che a casa sua «il gatto è del Pd, il cane di centrodestra, la tartaruga dei Cinque Stelle». Maria De Filippi ha abbozzato ai complimenti rivolti da Salvini alla sua trasmissione Amici: «Quando è venuto ospite ha detto che è cresciuto “a pane e Amici”: evidentemente aveva detto la verità. È geniale nella sua comunicazione». Jovanotti oggi è tra quelli che non si sbilancia, abbandonato il renzismo che aveva sposato con ottimismo, aveva elogiato Salvini: «È bello avere idee e orizzonti diversi, ti rispetto e ti trovo forte nell’esposizione delle tue. Che le idee danzino è bene». Peccato che danzare non aiuti a stare a galla. Nanni Moretti ha archiviato la stagione dell’impegno e dei girotondi: «Era un periodo», ha detto al Corriere della Sera, «in cui ho pensato temporaneamente, volontariamente, spassionatamente, appassionatamente, di dedicarmi a fare politica fuori dai partiti. Mi interessava criticare la destra al governo ma anche l’opposizione che sembrava fiacca. Fin dall’inizio ho detto che era una parentesi». Una vecchia icona della sinistra come il cantautore Francesco De Gregori, anticipando altri intellettuali, si è ritirato dalla militanza da tempo. Nel 2013 aveva criticato una sinistra «persa tra Slow Food e No Tav» e aveva detto: «Ringrazio Dio che non si sia fatto un governo con Grillo e magari un referendum per uscire dall’euro». I grillini forse non sono la sua passione: nel suo nuovo tour ha incluso una canzone del 1973, scritta da Gianni Nebbiosi, intitolata Ma che razza de città che parla di una Roma disperata. In molti hanno visto una neppure tanto velata polemica contro Virginia Raggi. De Gregori è uno degli artisti preferiti da Matteo Salvini. Qualcuno però gli spieghi che Viva l’Italia non è una canzone sovranista.

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