(ilpost.it, 8 agosto 2023)
Il successo dei programmi televisivi di cucina è stato una costante degli ultimi due decenni e non accenna a diminuire: cuochi di alto livello sono al centro di format diversi, dai reality ai documentari, ed è stato calcolato che solo nel Regno Unito vadano in onda 434 ore di trasmissioni di cucina ogni settimana. Il fenomeno non è unicamente televisivo: i cuochi sono personaggi con grande seguito personale su tutti i principali social network, i libri di ricette firmati da ristoratori di alta cucina sono prodotti che continuano ad avere diffusione e successo, e i ristoranti stellati sono spesso conosciuti anche da chi non potrebbe mai permettersi di cenarvi.
Nel nuovo millennio gli chef più noti sono diventati personaggi e riferimenti culturali, aggiungendosi a una cerchia ristretta di sportivi, attori, cantanti quali celebrità note e seguite. Lo status “da rockstar” degli chef più famosi è ormai piuttosto consolidato, in Italia come all’estero, ma non era scontato o persino immaginabile fino alla metà del secolo scorso.
Come sottolinea un articolo sul sito The Conversation, le cucine non sono storicamente mai state un luogo di lavoro molto considerato: erano spesso ambienti sporchi, maleodoranti e in cui si respirava male per il fumo. Erano ospitate in seminterrati e popolate da lavoratori per nulla garantiti (su igiene e condizioni delle cucine sono stati fatti enormi progressi, ma le condizioni di lavoro della manovalanza meno qualificata è ancora oggetto di ricorrenti polemiche). Il ruolo dello chef non era particolarmente riconosciuto: i ristoranti, nati nella concezione moderna nella seconda metà dell’Ottocento, potevano diventare noti, ma era più difficile che lo chef fosse riconoscibile al di fuori degli addetti ai lavori.
Sono esistite nella storia alcune eccezioni, ma erano casi isolati. Le prime di cui si hanno testimonianza risalgono all’Impero romano: lo storico Tito Livio indicò proprio il crescente status dei cuochi come segno della decadenza dell’Impero romano e dei suoi costumi. Nel Cinquecento Bartolomeo Scappi, cuoco presso i papi Pio IV e Pio V, fu una delle prime celebrità nel campo, tanto da pubblicare un grande trattato di cucina. Marie-Antoine Carême e Alexis Soyer furono cuochi francesi che diventarono famosi rispettivamente in Francia e Regno Unito a inizio Ottocento, il secondo dando anche il proprio nome ad alcuni prodotti gastronomici in vendita, come una linea di salse.
Ma la vera rivoluzione arrivò con la televisione, nel secondo dopoguerra, e con la crescente popolarità e affermazione delle guide Michelin e delle sue “stelle” come indicatori affidabili e quasi universalmente riconosciuti di alta cucina. Soprattutto nel mondo anglosassone, a partire dagli anni Cinquanta, i programmi televisivi resero celebri alcuni cuochi, come Philip Harben, Fanny Cradock e Julia Child. Per alcuni decenni però i numerosi programmi di cucina per lo più riproponevano negli studi televisivi ambienti familiari, ricette della tradizione e piatti abbastanza facilmente riproducibili. L’alta cucina acquistò una sua notorietà e riconoscibilità per altre vie: i cuochi che ottenevano il riconoscimento di due o tre stelle Michelin pubblicavano libri, erano oggetto di servizi giornalistici, iniziavano a diventare riferimenti per un mondo gastronomico che scopriva di poter influenzare anche i circuiti turistici: fu il caso di Paul Bocuse, Joël Robuchon e Alain Ducasse in Francia, di Gualtiero Marchesi in Italia, poi di Marco Pierre White nel Regno Unito (fra gli altri).
La comparsa del canale tematico Food Network nel 1995, con la sua programmazione 24 ore su 24 incentrata sulla cucina, contribuì a trasformare la percezione degli spettatori dei programmi di cucina: chef di talento più o meno conosciuti trovarono un pubblico più ampio, che sarebbe ulteriormente cresciuto con format di successo come il reality show Top Chef, trasmissione statunitense arrivata oggi alla ventesima edizione e considerata il modello per tutte le seguenti, da MasterChef in poi.
Gordon Ramsay, oggi uno dei cuochi più famosi al mondo, a partire dal 1997 fu fra i primi grandi chef a rendere l’attività televisiva una componente decisiva della propria carriera, partecipando, inventando e conducendo tutta una serie di programmi. Fu anche il primo a diventare personaggio non tanto per il suo talento culinario quanto per il carattere ingestibile, gli scatti di rabbia, le sfuriate contro collaboratori e contendenti davanti alla minima imprecisione. In questo inaugurò una tendenza che sarebbe durata per anni, e che nella narrazione televisiva degli ambienti dell’alta cucina è stata superata in parte solo recentemente. Ramsay è stato capace anche di passare dalla televisione ai social media, altro strumento che contribuisce alla celebrità degli chef: oggi ha quasi 15 milioni di follower su Instagram.
Un altro cuoco protagonista di programmi di successo sui canali televisivi come Jamie Oliver ne ha 9,5 milioni, mentre alcuni personaggi hanno costruito in toto la propria popolarità attraverso una grande attività on line: è il caso di Jean Imbert, francese noto per la sua collezione di fotografie con le celebrità, o Salt Bae, il cuoco turco diventato popolare on line per un modo bislacco di salare le bistecche e che da quel gesto ha saputo costruire un proficuo business commerciale.
In Italia l’alta cucina è arrivata in televisione e nella cultura popolare con qualche decennio di ritardo rispetto al mondo anglosassone. Il già citato Gualtiero Marchesi è stato capostipite di una scuola che fino agli anni Novanta è rimasta in circuiti piuttosto elitari e poco di massa, mentre i programmi di cucina in televisione, comunque numerosi, si occupavano principalmente di cuochi amatoriali e cucina casalinga. Gianfranco Vissani è stato il primo chef a partecipare con una certa regolarità a programmi televisivi, prima dell’era delle televisioni a pagamento e poi delle piattaforme: è diventato popolare in Rai con Unomattina, Domenica in e Linea verde.
Il lancio della televisione tematica Gambero Rosso, nel 1999, ha avuto effetti simili, su scala ridotta, di quella di Food Network nel mondo anglosassone, ma è solo qualche anno dopo che gli chef sono diventate vere star “pop” in Italia. MasterChef, talent culinario in onda dal 2011 prima su Cielo e poi su Sky, ha trasformato Carlo Cracco, Bruno Barbieri e poi Antonino Cannavacciuolo da ristoratori di successo a personaggi estremamente popolari. Negli ultimi dieci anni, le trasmissioni di cucina si sono moltiplicate e talvolta il percorso degli chef si è ribaltato: prima personaggi televisivi, poi imprenditori nel campo della ristorazione, anche con successo; con varie e anche sensibili differenze è il caso di Alessandro Borghese, Chef Rubio o Simone Rugiati. Negli stessi anni il sempre maggiore interesse verso l’alta cucina e le figure degli chef ha reso popolari anche ristoratori che sono stati meno, o per nulla, in televisione, come Enrico Bartolini, Massimo Bottura e Davide Oldani. Intervistati su quotidiani e riviste, protagonisti di servizi televisivi e documentari, al centro di iniziative sulla gastronomia e sull’alimentazione, questi e altri chef sono diventati anche rappresentanti della nuova cucina italiana.
Gli chef sono ormai così numerosi e consolidati nel mondo delle celebrità che lo studio Il ruolo degli chef celebrità, pubblicato sulla rivista International Journal of Hospitality Management, ha evidenziato la presenza di vari tipi di cuochi celebrità. Esistono secondo questa analisi gli chef performer, che cercano e «attirano l’attenzione dei media», gli chef scrittori, che offrono «non solo ricette, ma anche uno sguardo dall’interno delle cucine professionali», gli chef imprenditori, che utilizzano la celebrità per creare un marchio, gli chef insegnanti, «modello per futuri chef, un’ispirazione per alimentare l’industria con nuovi protagonisti», e anche gli chef ribelli, che «resistono alla celebrità per mantenere autenticità e integrità».