(ilpost.it, 9 novembre 2024)
Martedì sera, quando negli Stati Uniti ha cominciato a essere chiaro che Donald Trump sarebbe stato rieletto alla presidenza del Paese, il presidente dell’organizzazione di arti marziali miste Ultimate Fighting Championship, Dana White, ha tenuto un piccolo discorso sul palco del centro convegni di West Palm Beach, in Florida, dove il comitato elettorale dei Repubblicani stava festeggiando i risultati. «C’è qualche persona che vorrei ringraziare velocemente», ha detto White.
«I Nelk Boys, Adin Ross, Theo Von, Bussin’ with the Boys e, ultimo ma non meno importante, il forte e potente Joe Rogan». Sono tutte personalità di Internet accomunate dal fatto di aver ospitato Trump per delle interviste sui loro canali – su YouTube, Twitch o in formato podcast – durante la campagna elettorale, ma soprattutto dall’essere seguiti da milioni di adolescenti e uomini sotto i trent’anni.
Nel 2016 e nel 2020 Trump aveva già ottenuto il sostegno di alcuni influencer, blogger e personalità famose nelle nicchie di estrema destra on line. Questa volta, però, ha investito molte più energie per raggiungere e conquistare il cosiddetto “bro vote”: ovvero il voto dei giovani elettori maschi (tra i 18 e i 30 anni circa), che tendono storicamente a votare poco. Per capire a quali influencer concedere interviste e dare più confidenza si è fatto dare consigli da un gruppo ristretto di giovani consulenti ma soprattutto dal suo figlio più giovane, Barron, che ha 18 anni.
Ha funzionato: secondo gli exit poll di Nbc News, Trump ha ottenuto la maggior percentuale di voti da parte di elettori sotto i 30 anni rispetto a qualsiasi altro candidato presidenziale dei Repubblicani dal 2008, guadagnando voti tra le giovani donne ma soprattutto tra i giovani uomini. Se nel 2020 Joe Biden aveva ottenuto 11 punti percentuali in più di Trump tra i giovani, questa volta Trump nella stessa fascia demografica ha ottenuto 2 punti più di Kamala Harris. Tra i giovani bianchi senza laurea, Trump ha ottenuto il 56 per cento delle preferenze contro il 40 per cento di Harris. Ovviamente il successo di Trump tra questi giovani non si può attribuire del tutto alle sue apparizioni sul podcast di Joe Rogan o sul profilo YouTube di Logan Paul.
Da tempo i sondaggisti di vari Paesi occidentali, e quindi non solo negli Stati Uniti, rilevano un certo spostamento verso destra dei giovani elettori maschi. «Questi giovani, soprattutto quelli senza una laurea, esprimono da tempo un sentimento di insoddisfazione, di frustrazione verso i loro lavori e le loro vite», sintetizza il Guardian. In risposta a queste difficoltà crescenti e all’assenza di strumenti collettivi, politici ma anche interpersonali, utili a fornire risposte costruttive, nell’ultimo decennio è emerso un grande numero di personalità on line che hanno raggiunto un grande successo – anche economico – cercando di dare risposte semplicistiche alle difficoltà dei ragazzi, spesso adolescenti o preadolescenti, che si rivolgevano loro.
La campagna di Trump, peraltro, ha investito molto anche off line per convincere i giovani uomini di essere il partito che aveva maggiormente a cuore i loro interessi, nello stesso modo in cui i Democratici hanno incentrato parte della propria campagna sul rispondere alle preoccupazioni delle elettrici soprattutto sul tema del diritto all’aborto. Per esempio in Pennsylvania, uno degli Stati in bilico, a lungo in radio e in tv è andato in onda un annuncio specificatamente indirizzato ai ragazzi in cui una voce maschile diceva: «Mi sono diplomato, ho trovato lavoro, mi sono impegnato per avanzare nella vita. E a ogni occasione i Democratici mi hanno detto che il problema eravamo noi [uomini bianchi, N.d.R.]. Hanno fissato delle quote nelle scuole per escluderci, hanno distorto i meccanismi dell’economia americana a nostro svantaggio e si sono voltati dall’altra parte quando siamo stati lasciati indietro. Anche se facciamo tutto come dovremmo, Harris e i Democratici troveranno un modo per farcela pagare».
Nelle sue interviste ai vari personaggi raccomandati anche dal figlio, Trump è partito invece tenendosi relativamente lontano dalla politica. «Parla molto di Barron, dice sempre che Barron è un grande fan. Poi a un certo punto comincia a parlare del confine o di quanto sia malvagia Kamala. E questi podcaster ripetono alcune delle sue posizioni. Per esempio, i Nelk Boys hanno pubblicato un episodio in cui vedono Kamala alla televisione che tiene un discorso e decidono di distruggere la tv in questione», ha raccontato il giornalista Sam Wolfson, che ha seguito la campagna di Trump.
«Sono ragazzi molto di destra, anche se alcuni sono più mainstream. Jake e Logan Paul per esempio sono estremamente popolari, e sono piuttosto apolitici. Si presentano come pugili che vogliono solo divertirsi. Creando questo strano miscuglio di politica, razzismo, combattimenti, gioco d’azzardo e altre cose, diventa difficile capire cosa sta succedendo, ma alla fine dell’episodio te ne vai con un forte messaggio di destra in testa».
Spesso, il risultato è straniante: in una delle clip che sono circolate di più, per esempio, Trump parla con il comico Theo Von di come ci si sente sotto l’effetto di cocaina. A un certo punto, Von gli dice: «la cocaina ti trasforma in un cazzo di gufo, amico». L’intervista ha ottenuto 14 milioni di visualizzazioni su YouTube nell’arco di pochi giorni.
La persona alla quale Trump si è mostrata più vicina, oltre a Joe Rogan, è stato Adin Ross, amico di Barron e famoso soprattutto per i video in cui gioca ai videogiochi, e per essere stato bandito da Twitch varie volte per violazione degli standard della comunità. Tra le altre cose, ad agosto Ross ha pubblicato un video in cui regalava a Trump un Cybertruck di Tesla incartato con una carta su cui era stampata la faccia dello stesso Trump, pochi minuti dopo l’attentato di cui è stato vittima a luglio.
«Sono personaggi che hanno personalità molto diverse tra di loro: ciò che hanno in comune sono i formati informali e discorsivi delle proprie interviste, un palese atteggiamento da ragazzini, una passione per gli scherzi e le trovate acrobatiche e, nella maggior parte dei casi, una riverenza quasi supina nei confronti di Trump», ha scritto il Telegraph. Personaggi, insomma, che appartengono alla cosiddetta “sottocultura dei bro” (dalla parola “brother”, “fratello”).
«Si tratta di una subcultura associata al mondo dei college e delle confraternite studentesche, e più in generale a qualsiasi ambiente sociale maschile caratterizzato da una forma di complicità tossica che sfocia in atteggiamenti ipermaschilisti, reazionari e transmisogini. Negli ultimi anni la categoria si è declinata in tanti modi diversi, venendo progressivamente utilizzata per descrivere comunità di giovani maschi in fissa con la palestra e gli steroidi (i gym bro), la tecnologia e l’informatica (i tech bro), oppure le criptovalute (i crypto bro)», ha spiegato il giornalista Leonardo Bianchi, che si occupa da anni di sottoculture di destra on line.
Le persone da cui Trump si è fatto intervistare nelle ultime settimane appartengono esattamente a questa sottocultura, e rispondono molto bene al genere di personaggio iper-mascolino che Trump da anni comunica di essere. Peraltro, molte promesse politiche dei Repubblicani si allineano effettivamente con gli interessi economici e sociali di molte persone che consumano questi contenuti: vari giovani elettori maschi, per esempio, hanno detto esplicitamente di aver votato Trump perché Harris intendeva regolamentare il settore delle criptovalute.
A questo bisogna aggiungere che «già da prima delle elezioni, Trump era visto di buon occhio da tutte le comunità che si muovono principalmente nella cosiddetta “manosfera”, la galassia di Internet fatta di gruppi sessisti e antifemministi in cui rientrano tra gli altri incel, attivisti per i diritti degli uomini e dating coach», aggiunge Bianchi. Parte del successo di Trump tra i giovani maschi, ma in realtà anche su altri segmenti demografici, è stata l’avversità sua e del Partito Repubblicano nei confronti del politicamente corretto e della cosiddetta “ideologia woke”, strettamente associata al Partito Democratico. A insistere su questo aspetto è stato notoriamente l’imprenditore Elon Musk, che ha fatto un’intensa campagna elettorale per Trump, ed è peraltro uno degli storici cavalli di battaglia di Rogan.
Allontanati temporaneamente dalle piattaforme mainstream tra il 2016 e il 2020, in seguito a un’ampia discussione pubblica rispetto alla necessità che le aziende tecnologiche moderassero maggiormente i contenuti politici più radicali, i creatori di contenuti della “manosfera” sono tornati a ottenere molta attenzione durante la pandemia di Covid-19 anche grazie a una maggiore indulgenza nei loro confronti su piattaforme come Twitch e TikTok. Il volto più celebre di questo movimento informale, l’ex pugile Andrew Tate, non ha intervistato Trump ma, nei giorni precedenti l’elezione, ha scritto on line che l’America si trovava davanti a «una guerra tra uomini da una parte, e ragazze e gay dall’altra».
In questo contesto, la vittoria di Trump è stata ampiamente festeggiata da molte delle personalità che negli ultimi mesi gli hanno dato uno spazio on line. Joe Rogan, il cui podcast è seguito all’81 per cento da uomini e al 56 per cento da persone tra i 18 e i 34 anni, ha reagito alla notizia pubblicando un video in cui urla «Holy shit!» («Porca vacca!»): pochi giorni prima aveva annunciato pubblicamente il proprio sostegno a Trump, nonostante alcune delle sue posizioni politiche siano più vicine a quelle dei Democratici e nel 2020 avesse sostenuto il socialdemocratico Bernie Sanders.
Dave Portnoy, fondatore del seguitissimo blog Barstool Sports, ha commentato la vittoria dicendo che «i Democratici non hanno dato scelta a persone come me, indipendenti o moderate. La loro è stata la campagna peggiore. La loro arroganza, il loro senso di superiorità morale ha allontanato le persone. Se dici che stai votando per Trump all’improvviso sei un nazista, sei Hitler, sei spazzatura». Nelle stesse ore, su TikTok hanno cominciato a circolare vari video di giovani appartenenti a confraternite che festeggiavano la vittoria di Trump ballando la canzone Y.M.C.A., che suona solitamente alla fine dei suoi comizi.