di Valerio Moggia (linkiesta.it, 21 giugno 2023)
Cercherà di insistere. Sono queste le parole con cui Emmanuel Macron ha risposto a un tifoso preoccupato, la scorsa settimana. La preoccupazione è quella che, questa estate o al più tardi in quella del 2024, Kylian Mbappé lasci il Paris Saint-Germain e la Francia per trasferirsi all’estero, quasi certamente al Real Madrid. È una questione che riguarda da vicino il Presidente della Repubblica, notoriamente legato all’attaccante parigino e altrettanto interessato a contrastare l’indebolimento del calcio locale.
Una vicenda di calciomercato, come ce ne sono tante durante l’estate europea, è diventata quindi materia politica. All’inizio di giugno è stato reso noto che Mbappé non intende rinnovare il suo ricchissimo contratto con il Psg, deluso dall’andamento della squadra, e si potrebbe liberare gratuitamente tra un anno, oppure prima e a pagamento, se il suo club dovesse decidere di cederlo adesso per incassare una qualsiasi cifra – verosimilmente superiore ai cento milioni di euro – per il suo cartellino. Ciò significa che la Francia perderebbe il suo più grande campione, e il Presidente una delle sue più potenti armi comunicative.
Il valore sociale di Mbappé
Il contesto della società francese in relazione al calcio è decisamente particolare. Il Paese transalpino è il terzo Stato europeo per Pil, una riconosciuta potenza economica del continente, il cui campionato di calcio – vale a dire lo sport più seguito del Paese – è però solo il quinto per valori tecnici ed economici nell’area Uefa. La Ligue 1 vive da anni problemi di finanziamenti, in particolare dai diritti tv, e di stabilità finanziaria dei propri club. Sebbene il sistema francese sia tra i più produttivi al mondo in termini di calciatori di talento, le sue società faticano a trattenere i pezzi pregiati, e di conseguenza a competere a livello internazionale (l’ultimo trofeo vinto è la Champions League del 1993, conquistata dall’Olympique Marsiglia). La Francia, nel calcio, è un Paese d’esportazione.
Diventa allora comprensibile il peso simbolico di Mbappé, il primo calciatore transalpino dai tempi di Zinédine Zidane a essere considerato uno dei più forti al mondo. Trattenerlo a giocare in Francia rappresenta un tassello fondamentale in una strategia che vuole mostrare il Paese competitivo anche nel calcio. È la trasposizione sportiva dello stereotipo, non del tutto falso, della grandeur francese, oggi sempre più in crisi in un mondo occidentale che si percepisce in declino.
Mbappé è un figlio delle banlieue multiculturali delle grandi città francesi, quelle che dalle rivolte del 2005 sono il grande tema dell’attualità locale e hanno finito per alimentare la propaganda xenofoba e securitaria di Marine Le Pen. Nato a Bondy, alla periferia di Parigi, non ha mai dimenticato il suo luogo d’origine, e incarna uno dei rari esempi di riscatto sociale e successo che arrivano da queste zone.
Il campione e il Presidente
Ecco allora perché Macron ha voluto fin da subito interessarsi a lui. Giovane, figlio di immigrati (il padre è camerunense, la madre algerina), di successo ma con una forte coscienza sociale, Mbappé è il modello di elettore ideale per Macron. I due si conoscono da tempo, ed è noto che si sentano spesso per scambiarsi opinioni sul calcio e sulla politica. La notizia di questo rapporto molto profondo è stata diffusa, con tempismo perfetto, proprio alla vigilia delle elezioni del 2022, e in Francia c’è chi ha pensato che sia stato proprio l’ufficio stampa del Presidente a farla uscire, usando il calciatore come strumento di propaganda.
Non sorprende più di tanto: pochi politici usano il calcio come fa Macron. Fin dalla sua prima elezione, nel 2017, ha potuto sfruttare lo sport più amato del suo Paese per rinforzare la propria narrazione. Il successo mondiale, solo un anno dopo, della Nazionale francese multietnica, contestatissima da Le Pen, è servito a mostrare le immense potenzialità di un Paese capace di integrare gli immigrati. E anche davanti alla sconfitta subita lo scorso autunno in Qatar, Macron ha cercato di mettere la sua firma, scendendo in campo a consolare i giocatori. Un modo di agire che ormai è comunemente riconosciuto dalla stampa transalpina, se pensiamo che già nel 2019 Le Parisien lo apostrofava come «Coach Macron», il Presidente che si autorappresenta come “allenatore” della nazione.
Ne consegue che, in un quadro di questo tipo, la capacità di Macron di convincere la stella Mbappé a non lasciare il Psg abbia un peso non indifferente. Tanto importante da andare al di là del tifo, dato che il Presidente è un sostenitore del Marsiglia, storico rivale dei parigini: l’aspetto politico conta più di tutto. Già l’anno scorso l’attaccante di Bondy pareva pronto a trasferirsi a Madrid, non rinnovando il suo accordo con il Psg, e fu proprio Macron a intervenire per fargli cambiare idea, convincendolo a firmare un prolungamento fino al 2024.
Il Presidente promette ora di riprovarci, anche se alcuni iniziano a sospettare che il rapporto tra i due non sia più così solido come un tempo. Se n’è iniziato a parlare dopo le immagini conclusive dei Mondiali in Qatar, con Macron che cercava di confortare Mbappé dopo l’eliminazione e l’attaccante che sembrava quasi ignorarlo. Poi, la scorsa settimana qualcuno ha chiesto conto al giocatore delle parole di Macron sul suo futuro, domandandogli che influenza possa avere il Presidente della Repubblica sulla carriera di un calciatore della Nazionale: «Sulla mia carriera, nel 2023, nessuna», ha risposto Mbappé. E d’altronde non è chiaro se l’uso politico dell’attaccante serva davvero a qualcosa, e non sia solo un feticcio di Macron: il profilo demografico del suo elettorato è quello dell’anziano benestante che vive nelle grandi città, non certo i giovani delle periferie che Mbappé dovrebbe rappresentare.