Cinque consigli ai giovani occidentali per una carriera politica di media portata

di Costantino della Gherardesca (ilfoglio.it, 21 giugno 2018)

In un tempo molto lontano, quando i televisori erano profondi come il mio sconforto ed essere razzisti non era una considerata una cosa carina, in Italia ci si lamentava del fatto che la politica non parlava alla gente. Anzi, a voler essere più precisi, ci si lamentava che i politici non parlavano come la gente.studio_tvIn quel periodo, i potenti usavano una lingua monotona, piena di tecnicismi e poco incline al sensazionalismo. Eppure, la stessa gente che avrebbe dovuto sentirsi tagliata fuori dalla politica andava a votare in massa e militava attivamente in partiti politici di ogni schieramento. Da allora sono passati quasi una trentina d’anni, i televisori sono diventati piatti come la curva della mia libido e invocare la pulizia etnica è una promessa elettorale come tante altre. Per la gioia degli animi semplici, i politici hanno finalmente cominciato a parlare come pensionati al baretto, e il risultato è che l’astensionismo ha toccato i suoi massimi storici, si fa molta meno militanza nei partiti e la politica – come tutti gli altri aspetti delle nostre vite – è diventata una gara di simpatia. Mi sembra quindi utile, se non addirittura indispensabile, dare qualche consiglio ai giovani occidentali che avrebbero il talento per entrare nella scena politica attuale, ma che oggi non fanno altro che intasare i social augurando la morte a chiunque sia nato in un Paese più frizzante del loro. Prendete nota:

1. Se è complesso, è falso. Il discorso politico all’ombra del quale è cresciuta la mia generazione (e tutte quelle che l’hanno seguita) tende all’ipersemplificazione ed esclude a priori la possibilità che un problema possa richiedere una soluzione complessa. Dire che una certa questione necessita il parere di un tecnico è come ammettere che state temporeggiando nell’attesa che Soros vi faccia un bonifico e vi metta a libro paga. Indipendentemente dall’oggetto del contendere, non affannatevi a farvi venire un’idea su come agire: nel dubbio, date sempre la colpa al governo che vi ha preceduto.

2. Meglio soli. Il confronto con l’avversario politico va evitato come la peste. Se la gente da casa vede due politici nella stessa inquadratura, dopo un paio di minuti non ricorda più per quale dei due ha votato, li confonde uno con l’altro e all’improvviso sente puzza di magna-magna. Fatevi intervistare sempre ed esclusivamente da soli e ripetete più volte nel corso della conversazione che vi scusate d’aver potuto confermare la vostra presenza solo all’ultimo minuto: passerete per una persona modesta e darete l’impressione di essere uno che ha molto da fare. Una volta che avrete stabilito il vostro status di umile-e-indaffarato, potrete tranquillamente proporre di rastrellare i campi rom: riceverete applausi anche dalle maestrine delle scuole elementari.

3. Il bello del non detto. Se proprio non riuscite a sottrarvi al confronto pubblico con un avversario, non entrate mai nel merito delle sue posizioni. Non vi servirà nemmeno completare le frasi. Il più delle volte basterà dire una cosa come: “Eh, perché voi, invece…”. È un ottimo modo per costringere il vostro avversario a farsi carico anche della vostra parte di lavoro, perché toccherà a lui spiegare cosa viene dopo quei puntini di sospensione. Da quel momento in poi, qualsiasi cosa egli dica, agli occhi del pubblico suonerà come una giustificazione.

4. Mai una parola di troppo. Dopo che il vostro avversario avrà completato la frase che voi avrete volutamente lasciato in sospeso, interrompetelo senza pietà con un’altra espressione del tutto priva di senso, ma di grande presa scenica: “Lasciamo perdere, va’…”. Il pubblico in studio e quello da casa apprezzeranno la magnanimità con cui avete concesso al vostro avversario l’opportunità di cambiare argomento.

5. Le qualità del nemico sono i suoi peggiori difetti. Se il vostro avversario è una persona perbene e nel suo programma non si parla né di castrazione chimica per chi sbaglia a fare la raccolta differenziata, né di usare i migranti come banche organi per i bulldog francesi di Chiara Ferragni, il gioco è fatto: dategli del buonista. È un’offesa che fa infuriare chiunque, me compreso. Ogni volta che qualcuno me la rivolge, ribadisco che sono un pezzo di merda egoista, interessato solo al cibo e ai soldi. Ho solo questa piccola peculiarità di non essere razzista, tutto qui. Se invece il vostro avversario ha dei titoli di studio, magari ottenuti all’estero, rivolgete ai giornalisti e al pubblico uno sguardo di ironica complicità e aprite ogni vostro intervento dicendo: “Be’, non avremo studiato alla London School of Economics, ma qualcosa la sappiamo anche noi, no?”. Di colpo la competenza del vostro avversario diventerà una macchia di cui vergognarsi.

Sono solo cinque consigli, ma dovrebbero bastare per una carriera politica di media portata, durante la quale accumulare soldi, potere e benefit di vario tipo: tutte cose che io mi posso solo sognare. Segretamente, infatti, vivo come la maggior parte del popolo, ma ci tengo che non si sappia in giro. Preferisco essere percepito come uno stronzo in una torre d’avorio.

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