C’è chi dice no: le calciatrici spagnole si oppongono alla Supercoppa in Arabia Saudita

Ph. Álex Caparrós / Uefa – Getty Images

di Silvia Renda (huffingtonpost.it, 31 gennaio 2025)

«Quello che so dell’Arabia Saudita è che la condizione delle donne non è molto tutelata. C’è ancora tanta strada da fare, e quindi non so se mi sentirei a mio agio a giocare lì». Il messaggio apparso sui social è firmato dalla centrocampista del Barcellona Aitana Bonmatí, la calciatrice più forte al mondo. La sua posizione è stata condivisa da altre colleghe: non sono favorevoli al trasferimento della Supercoppa spagnola in terra saudita – ipotesi al vaglio – e a motivare la loro decisione sarebbe anche l’imbarazzo di esibirsi in un luogo in cui delitti d’onore e molestie ai danni delle donne sono all’ordine del giorno.

La violazione dei diritti umani, la condizioni dei lavoratori impegnati negli stadi, i trattamenti riservati alla comunità Lgbt avevano già sollevato polemiche quando a trasferirsi in Arabia erano state le competizioni di calcio maschile. Si è parlato tanto di sportwashing, intesa come la pratica portata avanti dai Paesi del Golfo per rilanciare la propria immagine sul palcoscenico internazionale, utilizzando i grandi eventi sportivi per dare un colpo di spugna alle critiche.
Il dibattito è ancora accesso: c’è chi ritiene contrario all’etica accettare di collocare in questi luoghi le più importanti gare mondiali, e chi invece, pur riconoscendo la volontà di praticare sportwashing, troverebbe ancora più lesivo per la popolazione locale spegnere i riflettori su questi Paesi, isolandoli dal resto del mondo. Sul tema, non conosciamo il pensiero di alcun calciatore noto.
Se dal calcio maschile non si sono levate voci di protesta, non vale lo stesso per quello femminile, con l’esempio spagnolo a fare da apripista. Il presidente della Reale Federazione Spagnola di Calcio (Rfef), Rafael Louzán, ha dichiarato a Jeddah il 12 gennaio che l’istituzione da lui presieduta stava lavorando e facendo progressi affinché la competizione femminile, come quella maschile, si svolgesse in Arabia Saudita. Le dichiarazioni di Louzán hanno turbato una parte significativa del calcio femminile, che già si era schierato pubblicamente per chiedere l’interruzione del rapporto di partnership con Aramco, la compagnia petrolifera statale.
In 130 avevano firmato una lettera indirizzata alla Fifa, invitando Gianni Infantino a tagliare i rapporti con il Paese, in quanto si tratta di un regime autocratico che viola sistematicamente i diritti delle donne e criminalizza la comunità Lgbt. L’attaccante finlandese della Real Sociedad, Sanni Franssi, e le difenditrici del Barcellona, Marta Torrejón e Fridolina Rolfö, hanno descritto l’accordo come «un pugno nello stomaco per il calcio femminile». Alcune calciatrici esprimono la loro difficoltà nel formulare un giudizio sulla Supercoppa saudita: il timore è che una presa di posizione di principio finisca comunque per svantaggiare le donne.
«La Supercoppa maschile si sta già svolgendo in Arabia Saudita, così come i tornei di basket, Formula 1 ed eventi tennistici» ha dichiarato Alexi Putellas, anche lei calciatrice da Pallone d’Oro. «Inizio a sentire che questa è una questione esclusivamente femminile da affrontare. Credo che dobbiamo andare tutti insieme o non andare affatto, perché, in caso contrario, sono sempre le donne a subire le conseguenze. Se l’evento si svolgesse lì sarebbe per motivi economici, senza dubbio. Se scegli di non partecipare perdi quei benefici finanziari, rendendo ancora più difficile il progresso. Successivamente, ci troveremo di fronte alla narrazione del “non generi entrate”».
María José López, avvocato e co-direttrice legale dell’Afe, l’associazione dei calciatori spagnoli, ritiene che le calciatrici hanno diritto all’obiezione di coscienza per non recarsi in Arabia: «In Spagna, la discriminazione delle donne non è accettabile. Com’è possibile che alle calciatrici verrà chiesto di andare a giocare in un Paese in cui subiscono discriminazioni? Potrebbero sollevare l’obiezione di coscienza, perché qui una legislazione del genere è proibita».
Discriminazioni, insulti e molestie le stanno già subendo le donne approdate in Arabia per sostenere i partner calciatori. Quando il Real Madrid ha affrontato il Maiorca nella semifinale della Supercoppa maschile in Arabia Saudita, all’inizio di gennaio, Cristina Palavara, moglie del giocatore del Maiorca Dani Rodríguez, ha denunciato aggressioni sessuali da parte della gente del posto all’uscita dallo stadio. «Appena finita la partita, hanno iniziato a prenderci in giro», ha dichiarato su Instagram. «Non c’era alcun tipo di sicurezza. Ci hanno riso in faccia, ci hanno toccato il viso e hanno persino afferrato i sederi delle donne. È stato il caos finché non siamo arrivati agli autobus».
Lo scorso febbraio, il Daily Mail aveva raccolto le testimonianze anonime di alcune Wags. «Ci insultano per strada e ci rifiutano in ristoranti e negozi perché abbiamo le spalle scoperte» racconta una di loro, «non ci permettono d’indossare i pantaloncini nemmeno in spiaggia, nonostante le alte temperature. E se lo fai, le persone ti guardano come se ti odiassero. Riceviamo sguardi intimidatori, anche dalle stesse donne». Un’altra: «Sono stata cacciata da un centro commerciale con l’accusa di non essere vestita adeguatamente. Sul tema delle donne ci sono regole molto rigide e alcuni comportamenti possono essere spaventosi. Abbiamo ansia e paura».
E un’altra ancora: «Sono stata allontanata dai centri commerciali solo perché la parte superiore delle mie braccia e le mie spalle non erano coperte e si poteva vedere parte del mio petto perché indossavo un giubbotto. La gente mi ha detto di tornare quando mi fossi vestita adeguatamente. A volte le donne ti urlano insulti e può essere molto spaventoso. Non puoi comportarti in modo naturale come in Occidente. Devi stare in guardia ogni volta che esci, quindi tendi a non uscire».
Fino a poco tempo fa, secondo la legge saudita, era obbligatorio per tutte le donne, comprese le straniere, coprirsi i capelli e indossare un abaya, una lunga veste solitamente nera. L’obbligo è stato abolito, ma la stragrande maggioranza di loro continua a utilizzarlo, rendendolo la norma culturale. Così come non è più obbligatorio per una donna uscire solo se accompagnata da un uomo, ma resta difficile incontrarne da sole.
Nel Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, l’Arabia Saudita si è classificata 126esima su 146 Paesi analizzati. Da pochi anni a questa parte le saudite possono guidare, vivere da sole, richiedere il passaporto e aprire attività senza il consenso maschile. Ma il divario di genere rimane pesantissimo.

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