di Nadia Ferrigo (lastampa.it, 27 marzo 2024)
La Disney e il governo della Florida hanno trovato un accordo e chiuso una battaglia legale durata due anni. Lo scontro tra la popolare e longeva Walt Disney Company e il governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis iniziò a marzo del 2022 con la “Parental rights in education bill” (Legge sui diritti dei genitori nell’educazione), poi soprannominata dalle opposizioni “Don’t say gay”(Non dire gay). La norma vieta ogni insegnamento «su orientamento sessuale o identità di genere che non sia adeguato all’età o allo sviluppo degli studenti», dalle scuole materne alla terza elementare.
Il testo, molto vago, non dà altre particolari indicazioni ma obbliga le scuole a informare i genitori della presenza di eventuali servizi di supporto psicologico, con la possibilità di vietare ai propri figli di accedervi. Non è la prima norma del genere negli Stati Uniti, anzi: negli ultimi due anni si sono moltiplicati i progetti di legge che vogliono limitare l’autonomia degli insegnanti.
Disney, oltre a sospendere le tradizionali donazioni ai politici dello Stato di entrambi gli schieramenti politici, dopo la firma della legge diffuse un comunicato per dire che il provvedimento «non avrebbe mai dovuto essere votato». Il governo di DeSantis iniziò così una campagna contro il gigante dell’intrattenimento, prima accusandolo di «essersi approfittato troppo a lungo dei privilegi concessi dal governo della Florida» e poi di voler «portare avanti la sua ideologia woke», per poi, nell’aprile del 2022, sospendere un accordo fiscale in corso con il governo del “distretto speciale” della Florida.
Il parco di divertimento a Sud di Orlando Disney World venne costruito alla fine degli anni Settanta nell’area di 38,5 miglia quadrate ribattezzate Central Florida Tourism Oversight District, tra i distretti speciali della Florida che possono gestire autonomamente il proprio territorio. La Disney pagava le tasse a quel distretto, che forniva i servizi municipali e lo esentava da alcune normative. Quando il governatore repubblicano riuscì a prendere il controllo del board del distretto per poi cancellare una serie di vantaggi fiscali, la Disney si presentò davanti ai giudici denunciando una «ritorsione politica attuata per punire l’espressione di un’opinione, un diritto difeso dalla Costituzione», così da «difendere l’azienda contro uno Stato che usa il suo potere come un’arma per portare avanti punizioni politiche».
Al tempo il New York Times scrisse che «sfidare Topolino è un affare pericoloso», considerando che, in controtendenza rispetto a un passato conservatore, le grandi aziende americane occupano posizioni sempre più progressiste. Lo scontro con la Disney è stato anche protagonista della campagna del governatore DeSantis per la corsa presidenziale americana, dalla quale poi si è ritirato.
Disputa conclusa mercoledì, il 27 marzo, con «soddisfazione» da entrambe le parti per quella che sembrerebbe la fine delle ostilità. «Siamo lieti di aver messo fine alla battaglia legale» il commento di Jeff Vahle, presidente di Walt Disney World. «Con questo accordo lavoreremo con Disney e altre aziende che si trovano in Florida per rendere l’area famosa per le sue attrazioni» fa eco Charbel Barakat, vicepresidente del Central Florida Tourism Oversight District, nominato inizialmente da DeSantis per mettere i bastoni tra le ruote a Disney.