Le offese. Le provocazioni. Le polemiche unite al fascino della bellezza. Ma la Sicilia ha bisogno di equilibrio
di Roberto Puglisi (livesicilia.it, 15 novembre 2017)
Caro Vittorio (o) Sgarbi, tu non sei uno, ma due. E vedremo in seguito perché. Subito un piccolo spazio amarcord che racconta molto di te. Sicuramente non rammenterai la nostra prima e unica conversazione insieme. Ti rinfresco la memoria. Su LiveSicilia.it avevo appena scritto – qualche anno fa – un commentino pungente a tuo proposito.Una telefonata in redazione: “Ti cerca Vittorio, vuole parlare con te”. “Vittorio chi?”. “Ma come chi? Sgarbi”. Mi preparai alla valanga in ansiosa attesa. Già immaginavo la conversazione. Un giornalista alla cornetta, dall’altra parte un ossesso vomitante insulti, contumelie – capra, capra, capra! – e via, appunto capreggiando con grande dovizia di corna. Squilla il telefono: “Ciao, sono Vittorio. Volevo dirti che mi hai massacrato, ma ti faccio i miei complimenti lo stesso perché il pezzo era scritto benissimo. Bravo!”. Non me l’aspettavo. Conoscevamo tutti, da telespettatori di grado semplice, lo Sgarbi furente che quasi boxava con Roberto D’Agostino. La mina vagante nel salotto di Costanzo. Quello di Sgarbi Quotidiani che concionava accanto al suo anfitrione (già, come si chiamava?). Il paladino di battaglie che avevano tutte l’urgenza di risolversi in sconfitta. Il polemista da salotto. Invece, ecco un uomo calibrato, sportivo, garbato. Una star mediatica che, addirittura, cercava un cronista di provincia per complimentarsi di un articolo che non l’aveva trattato con i guanti bianchi. Non eri uno, perché eri due, questo mi venne in mente, a chiacchierata conclusa. E non sarai mai uno. Sei Sgarbi che ha bisogno di vento nelle sue vele, affinché si parli di lui, comunque e sempre, sebbene con l’insulto e i capreggiamenti. Il narciso che non resiste alla sua immagine iraconda nello specchio, purché ci sia lo specchio. Il dadaista che scompone il senso comune, offende e duella, solo per godersi lo spettacolo. Una natura completamente teatrale. E poi sei Vittorio che, con le sue pennellate, ti spiega un quadro che nemmeno sapevi come guardare. Il coltivatore della bellezza che sempre ha un fondamento morale. Il cielo stellato sopra di me, la capra belante dentro di te. Non uno, ma due. E saranno fatti tuoi, del tuo pubblico, ma ora la cosa ci riguarda, in quanto siciliani, poiché tu sarai l’assessore ai Beni culturali della erigenda giunta di Nello Musumeci. Perciò la domanda si pone: chi sarai tu, Vittorio o Sgarbi? Compulsiamo una recente intervista rilasciata a Repubblica per trarne auspici significativi. Vittorio: “Devo studiarci un po’, ma non c’è dubbio che bisogna riorganizzare i turni dei custodi per far sì che musei e siti archeologici si possano visitare ogni giorno sino alle 23. Perché in Libia si può ricostruire e in Sicilia no? Ci vogliono grandi finanziatori privati. Io ce li ho già”. Sgarbi: “Vorrei chiedere a Crocetta di fare da testimonial per il turismo gay”. E non è che in precedenza non avessi largheggiato, per esempio con i grillini: “Non vi divertirete perché vi mangerò vivi, con me in aula sarà come avere un leone, una tigre senza catene, senza gabbia”, si legge sul web. Questa – va detto per onestà – fa il paio con la battuta del caro leader sui giornalisti da mangiare e vomitare. Ecco, non sarebbe il caso di rinunciare a certe bellurie linguistiche? Non sarebbe opportuno dismettere l’uniforme dadaista e prepararsi a indossare la grisaglia di assessore? Non sarebbe meglio esserci, ma per restare, non per rubacchiare un altro quarto d’ora scenografico, lasciando che il vento nelle vele si affievoli e che la sostanza prevalga sulla forma? Caro Sgarbi (o Vittorio), questa terra disperata ha bisogno di qualcuno che la ami davvero, che ci sia per darle prospettiva, che fornisca pane e lavoro, anche attraverso la bellezza, non drappeggi, non orpelli, non copioni teatrali. Di teatri e teatrini ne abbiamo subiti fin troppi. La questione appare semplicissima, in fondo. Benvenuto Vittorio, se darai il meglio di te. Altrimenti di Sgarbi non sapremmo che farcene. Non siamo capre fino a tal punto.