(ilpost.it, 25 agosto 2023)
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è consegnato giovedì alle autorità della Georgia, dove è stato incriminato con l’accusa di aver tentato di sovvertire i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali del 2020. Il suo arresto è stato accompagnato da una foto segnaletica, la prima a un ex presidente degli Stati Uniti che sia mai stata fatta, e che immediatamente è diventata un’immagine storica. Nella legge statunitense questo tipo di foto è noto come mugshot, e consiste in una coppia di immagini in cui tradizionalmente la persona arrestata appare di fronte e poi di profilo.
Un formato diventato noto in tutto il mondo per via dei film e della sua diffusione sui mezzi d’informazione, spesso dopo l’arresto di personaggi famosi. Trump era già stato incriminato altre tre volte, ma questa è la prima in cui all’incriminazione è seguita la diffusione della foto segnaletica, una pratica che in Georgia è permessa, a differenza di altri Stati statunitensi in cui rimane riservata. L’attesa sulla foto segnaletica di Trump era stata nutrita e fomentata, in parte, anche da lui stesso: nei mesi scorsi, mentre procedevano le indagini su di lui, sul suo sito ufficiale era stata messa in vendita una maglietta con sopra una finta foto segnaletica di Trump con l’espressione molto seria e la scritta «NON COLPEVOLE».
Una delle cose che in molti si chiedevano era proprio che tipo di espressione avrebbe tenuto Trump nella foto segnaletica: se seria oppure divertita, come altri personaggi famosi le cui foto segnaletiche hanno avuto un grande impatto sulla cultura popolare. Ad esempio Bill Gates, o gli attori Mickey Rourke e Steve McQueen, che nello scatto espone le dita a V, in segno di vittoria, dopo essere stato arrestato perché alla guida in stato di ebbrezza. Comunque sia ci si aspetta che Trump tragga vantaggio dalla diffusione della propria foto segnaletica, sfruttandola per continuare a presentarsi come vittima di una persecuzione portata avanti per motivi politici.
La “foto segnaletica” è, nel dire comune, sia la foto di una persona ricercata diffusa dalla polizia, sia quella che viene scattata a una persona dopo che è stata arrestata. Negli Stati Uniti il mugshot – che deriva da “mug”, un termine gergale con cui si indicava la faccia, e “shot”, scatto – ha soprattutto questa seconda funzione: può servire sia a identificare la persona arrestata, anche per farlo più facilmente in caso di recidiva, sia per documentare le sue condizioni al momento dell’arresto.
Nell’immaginario collettivo le foto segnaletiche sono legate soprattutto agli Stati Uniti, ma furono inventate in Francia, negli anni Ottanta dell’Ottocento, da Alphonse Bertillon, antropologo francese e funzionario della prefettura di Parigi. Fu lui a formalizzare per primo la tipica coppia di foto di fronte e di profilo, accompagnata dalle informazioni necessarie a identificare la persona. Erano informazioni particolarmente accurate, che comprendevano anche descrizioni fisiche e misurazioni del corpo: per questo la foto era chiamata portrait parlé, “ritratto parlato”, per il numero di informazioni sulla persona che poteva fornire alle forze dell’ordine. In precedenza c’erano state altre forme di identificazione simili: negli anni Quaranta dell’Ottocento, per esempio, già in Belgio i detenuti venivano fotografati per poter essere identificati, anche se non con lo stesso livello di accuratezza nelle procedure e nella raccolta delle informazioni.
A volte le foto segnaletiche venivano scattate in modo coercitivo, contro la volontà delle persone detenute: nel 1908, per esempio, il dipartimento di polizia di New York mise insieme una specie di guida grafica che spiegava come scattare questo tipo di foto. La fotografa statunitense Shawn Michelle Smith, che ha raccontato questa guida in un suo studio, ha spiegato come alcune immagini simulavano persone che si rifiutavano di sedersi per scattare le foto segnaletiche, e diversi membri delle forze dell’ordine che le obbligavano a farlo. L’esposizione del viso da più lati ha reso quelle segnaletiche delle foto abbastanza uniche e inconfondibili, in grado di dare a chiunque vi venisse ritratto «un’identità e un’individualità certe, durevoli, invariabili, sempre riconoscibili», ha scritto l’Economist. Nel corso del Novecento diverse foto segnaletiche di artisti e personaggi dello spettacolo sono diventate iconiche, contribuendo alla loro popolarità e alla costruzione dei rispettivi personaggi, anche per le storie che le accompagnavano.
È il caso della foto segnaletica del cantante e attore statunitense Frank Sinatra, arrestato il 26 novembre 1938, a 23 anni, con l’accusa di «seduzione» per aver avuto un rapporto sessuale con una «donna sola di buona reputazione». O quello dell’attrice statunitense Jane Fonda, arrestata nel 1970 a 33 anni perché accusata di aver preso a calci il poliziotto che le aveva trovato addosso alcune pillole sospette (che poi si rivelarono essere vitamine): nella foto la Fonda ha il pugno alzato, come a sfidare l’autorità delle forze dell’ordine. O ancora la foto di David Bowie, arrestato nel 1976 perché accusato di essere in possesso di marijuana, o di Michael Jackson: entrambi appaiono vestiti e truccati come in qualsiasi altra apparizione pubblica, che ha reso le loro foto ancora più distintive.
Altre fotografie sono diventate note perché ritraevano famosi attivisti per i diritti civili, il cui arresto simboleggiava di fatto un’ingiustizia, che la visibilità della foto segnaletica rendeva ancora più concreta e immediata. È il caso tra gli altri di John Lewis, Rosa Parks e Martin Luther King, tra i più noti esponenti dei movimenti per i diritti civili degli afroamericani. La foto di Martin Luther King ebbe tra l’altro tutta una sua storia: dopo il suo arresto nel 1958, scomparve per 46 anni, per poi ricomparire nel 2004, ritrovata nella casa di uno sceriffo appena deceduto. Sulla foto qualcuno aveva scritto con una biro a inchiostro blu due volte la parola “morto”, una sopra il torace di King, e la data del suo assassinio, il 4 aprile 1968: sono dettagli che hanno reso la foto ancora più rappresentativa della violenza e delle persecuzioni contro cui King si era battuto. Sono stati ritratti in foto segnaletiche anche noti leader politici, come Fidel Castro, Lenin e Iosif Stalin, arrestati per via delle proprie attività rivoluzionarie: quella di Lenin è ancora oggi molto popolare, e la si trova come poster in vendita su Amazon e altri siti.
Nel corso del tempo, negli Stati Uniti, la pubblicazione e diffusione delle foto segnaletiche è stata progressivamente abbandonata da diverse agenzie di polizia e dai giornali, perché ritenuta irrispettosa nei confronti della persona arrestata. È un problema di cui negli Stati Uniti si è discusso molto, e che è stato affrontato e commentato da più parti. Pochi anni fa William Scott, ex capo della polizia di San Francisco, in California (uno dei primi dipartimenti di polizia negli Stati Uniti a ricorrere ai mugshot), ha annunciato che nel suo dipartimento si sarebbe smesso di diffondere le foto segnaletiche delle persone arrestate, se non per ragioni di sicurezza. Secondo Scott la diffusione delle foto segnaletiche contribuiva a fomentare pregiudizi razziali: è un aspetto che Jennifer Eberhardt, docente di Psicologia all’Università di Stanford, ha approfondito a proposito di San Francisco, studiando la correlazione tra la percezione del crimine da parte dell’opinione pubblica e le immagini delle persone non bianche. Pur rappresentando una minoranza nella città, queste persone erano molto più rappresentate nelle foto segnaletiche diffuse dalla stampa dopo gli arresti, cosa che secondo lei ha contribuito a consolidare l’associazione mentale tra le persone non bianche e il crimine.
Anche Keri Blakinger, giornalista statunitense molto esperta di giustizia penale e carcere del Marshall Project, ha scritto in più occasioni della necessità di interrompere le pubblicazioni delle foto segnaletiche: lei stessa fu arrestata e detenuta quando era giovane per reati legati al possesso e consumo di sostanze stupefacenti, e ha raccontato della propria umiliazione nel veder diffusa e pubblicata la propria foto segnaletica. Secondo la Blakinger smettere di pubblicarle è un «passo collettivo» verso un sistema penale pensato per riabilitare le persone e dar loro una seconda possibilità, anziché per “inchiodarle” al proprio reato e identificarle con ciò che hanno commesso.