Bob Marley contro l’oppressore

(ilpost.it, 6 febbraio 2025)

La lista delle persone che in Giamaica hanno ottenuto la carica di eroe nazionale, la più prestigiosa onorificenza del Paese, è molto breve: comprende appena sette nomi, tra cui due ex primi ministri e un predicatore che guidò la rivolta che nel 1831 mise fine alla schiavitù nell’allora colonia britannica. Sorprendentemente, manca il nome che tutti si aspetterebbero di trovare scorrendo l’elenco: quello di Bob Marley, il musicista reggae più famoso e influente di sempre, che nacque il 6 febbraio di ottant’anni fa.

La sua assenza da quella lista viene ciclicamente discussa e commentata da intellettuali e giornalisti, giamaicani e non solo, che la considerano inspiegabile non soltanto per il ruolo centrale che Marley ebbe nel definire i canoni musicali, culturali ed estetici che in larga parte caratterizzano la musica giamaicana ancora oggi, come il legame con il rastafarianesimo, l’importanza rituale attribuita al consumo di marijuana e le acconciature dreadlock, ma anche per la sua eredità più strettamente politica. Tra gli anni Sessanta e Ottanta, quando si consacrò come uno dei musicisti più famosi al mondo, Marley diventò un simbolo della lotta contro il colonialismo, un riferimento per i diritti delle persone nere e uno dei principali divulgatori del panafricanismo, un movimento che voleva incoraggiare e rafforzare i legami di solidarietà tra tutti i gruppi etnici protagonisti della diaspora africana e fra tutti i Paesi del Continente.
Il reggae si era diffuso in Giamaica nella seconda metà degli anni Sessanta come evoluzione dello ska, una musica spensierata e ritmata che nel decennio precedente era diventata la colonna sonora del processo che sfociò nell’indipendenza giamaicana dal Regno Unito. In Giamaica fu un fenomeno culturale enorme grazie a interpreti come Laurel Aitken, Prince Buster e Desmond Dekker, che si lasciarono ispirare in parte dalla rumba della vicina Cuba e in parte dai generi che andavano per la maggiore nella comunità afroamericana, come il jazz, il gospel e il rhythm and blues, per creare una musica ibrida che potesse far ballare e divertire la gente.
Insieme ad altri precursori come Toots & The Maytals e i futuri compagni di band Bunny Wailer e Peter Tosh, Marley ebbe l’intuizione di mantenere le caratteristiche più esaltanti e coinvolgenti dello ska, come gli accenti ritmici sul secondo e il quarto quarto della battuta e la grande attenzione al groove, ma di rallentarne il ritmo ed eliminarne le influenze più marcatamente jazzistiche, come per esempio la centralità dei fiati. Questi accorgimenti permisero a Marley e colleghi di ottenere un suono più flemmatico e rilassato, funzionale alla scrittura di canzoni diverse: ballate romantiche (Is This Love), canzoni autoironiche e danzerecce (Lick Samba) e soprattutto inni politici e di denuncia sociale in cui riversare il loro interesse per il panafricanismo, l’anticolonialismo e le dottrine che promulgavano l’emancipazione delle persone nere.
Un altro elemento centrale della poetica di Marley fu la promozione del rastafarianesimo, un movimento religioso nato nella Giamaica orientale intorno al 1930 ma diffusosi in altre parti del mondo proprio grazie all’influenza della sua musica. S’ispira ampiamente alla Bibbia, ma la sua teologia si sviluppa attorno all’idea che la società occidentale dei bianchi (Babylon) abbia oppresso e costretto alla diaspora i popoli africani, dei quali auspica la riunificazione in una terra promessa chiamata Zion. La figura più importante del movimento fu Hailé Selassié, l’ultimo imperatore d’Etiopia, che la maggior parte dei seguaci del rastafarianesimo considera l’incarnazione di Dio: la canzone War è ispirata a un suo celebre discorso alle Nazioni Unite.
L’influenza di questi temi sulla scrittura di Marley è piuttosto evidente: canzoni come I Shot the Sheriff, Redemption Song, Get Up, Stand Up e Africa Unite oggi sono considerate degli inni di resistenza a tutti gli effetti, e negli anni hanno ispirato movimenti di liberazione nazionale e per i diritti civili in tutto il mondo. Parlando del lato più politicamente impegnato della sua produzione, lo storico britannico Jason Toynbee ha scritto che attraverso le sue canzoni Marley divulgò una forma di «cosmopolitismo radicale», promuovendo una visione di solidarietà globale tra i popoli che considerava oppressi.
Come ha notato Kalilah Reynolds, una giornalista beliziana che vive e lavora in Giamaica, il mancato riconoscimento dello status di eroe nazionale è sorprendente anche per l’impatto che Marley ebbe nella vita politica giamaicana degli anni Settanta, quando il Paese visse un momento di tensione sociale e violenza contrassegnato dall’antagonismo tra i suoi due principali partiti, il People’s National Party (Pnp), di centrosinistra e guidato da Michael Manley, e il Jamaica Labour Party (Jlp), conservatore e guidato da Edward Seaga.
In quel contesto Marley tentò di sfruttare la sua enorme influenza culturale per porsi come una sorta di pacificatore nazionale. Il 5 dicembre 1976 partecipò allo Smile Jamaica Concert, un concerto gratuito voluto dall’allora primo ministro Manley per placare la conflittualità politica in vista delle elezioni presidenziali, che si sarebbero tenute di lì a dieci giorni. Marley accettò di partecipare ma pretese diverse garanzie, tra cui quella di essere annunciato come un musicista indipendente, evitando così che la sua presenza finisse per essere considerata un appoggio esplicito a Manley.
Per enfatizzare la sua neutralità politica, Marley inoltre chiese e ottenne di spostare la sede del concerto dalla Jamaica House, la sede del primo ministro, al National Heroes Park, un famoso parco botanico di Kingston. Nonostante queste cautele, la sua partecipazione non fu vista di buon occhio dai sostenitori del Jlp: il 3 dicembre, due giorni prima del concerto, lui, la moglie Rita Anderson e due membri del suo staff, il manager Don Taylor e l’assistente Louis Griffiths, furono attaccati da sette uomini armati di pistole.
Anche se non ci sono conferme ufficiali, il giornalista musicale Timothy White, autore di un’apprezzata biografia dedicata a Marley, ha scritto di aver saputo da alcuni funzionari giamaicani che l’attentato fu organizzato da Lester Coke, leader di una banda criminale legata al Jlp. Marley fu ferito a un braccio, ma nonostante ciò suonò per novanta minuti durante lo Smile Jamaica Concert; tuttavia dopo quell’evento decise di trasferirsi in Inghilterra insieme alla moglie e alla sua band, The Wailers. Tornò in Jamaica due anni dopo, per partecipare a uno dei suoi concerti più famosi: il One Love Peace Concert, che coinvolse i sedici musicisti giamaicani più importanti del tempo, tra cui Jacob Miller, Peter Tosh, Dennis Brown, Dillinger e lo stesso Marley, e che fu ribattezzato “Third World Woodstock” (La Woodstock del Terzo Mondo).
Viene ricordato ancora oggi anche perché i suoi organizzatori furono Claudius Massop e Aston Marshall, leader di due bande criminali legate rispettivamente al Pnp e al Jlp, che decisero di organizzarlo per placare le violenze e dare inizio a un processo di riappacificazione nazionale. Si svolse il 22 aprile 1978 allo stadio nazionale di Kingston ed è ricordato ancora oggi per il suo profondo significato simbolico: durante la sua esibizione, Marley riuscì infatti a convincere Manley e Seaga a stringersi la mano. Anche se quel momento fu letto come un segnale di distensione, in realtà la conflittualità politica e la violenza politica tra gruppi criminali vicini al Pnp e al Jlp sarebbe andata avanti fino alle elezioni presidenziali dell’anno successivo, e Manley e Seaga sarebbero tornati a farsi vedere insieme pubblicamente soltanto nel 1981, in occasione dei funerali di Marley.
Gli avvenimenti di quegli anni ispirarono la scrittura di Survival (1979), il quinto album in studio di Marley e uno dei più apprezzati della sua carriera. Fu anche il suo disco più impegnato politicamente: conteneva canzoni apertamente ispirate al panafricanismo, come So Much Trouble in the World, Africa Unite e Zimbabwe, che diventò una specie di inno per i guerriglieri coinvolti nella Chimurenga, la lotta armata che portò alla fine del governo coloniale britannico in Zimbabwe. Survival è anche il disco di Ambush in the Night, in cui raccontava l’attentato che aveva subito tre anni prima. Reynolds ha sottolineato che l’ascolto di dischi come Survival e l’impegno politico di Marley ebbero un ruolo importante nella formazione di giornalisti, accademici e intellettuali legati alla diaspora africana.
Per esempio, uno dei versi più celebri di Redemption Song, «emancipate yourselves from mental slavery, none but ourselves can free our mind», è la citazione di una famosa massima dello scrittore e sindacalista giamaicano Marcus Garvey. «Quelle parole ci hanno dato coraggio, spingendo generazioni di persone [della diaspora africana] a istruirsi. Eppure c’è chi crede che questo non sia eroico», ha scritto Reynolds. Tornando sull’esclusione di Marley dalla ristretta lista degli eroi nazionali, Reynolds ha notato come le argomentazioni dei suoi detrattori poggino su argomenti molto fragili e moralistici, quali il consumo di marijuana, le relazioni extraconiugali e i figli che ebbe fuori dal matrimonio. Tuttavia, ha aggiunto, lasciare che questi elementi offuschino la sua eredità «non è solo irrispettoso nei confronti di Bob, ma anche della stessa Giamaica».

Spread the love