di Enzo Bonaiuto (adnkronos.com, 22 maggio 2021)
Cantautore, musicista, poeta, persino pittore e scultore: qualunque categoria si scelga, appare riduttiva per descrivere l’artista Bob Dylan, che lunedì compirà ottant’anni, essendo nato il 24 maggio del 1941 (da genitori ebrei ucraini, con nonni paterni di origini turche e materni di origini lituane) a Duluth, cittadina americana del Minnesota, porto sui Grandi Laghi, con il nome di Robert Allen Zimmerman, poi cambiato legalmente in Robert “Bob” Dylan – che, dunque, non può considerarsi un nome d’arte – quando aveva vent’anni. Artista a 360 gradi, che comunque ha un posto riservato nell’Olimpo della Musica.
Sin dall’inizio della sua carriera artistica, ha inteso scompaginare le regole non scritte della discografia. Non a caso, è suo il primo singolo di “lunga durata”, più di sei minuti e dunque ben oltre la soglia di quella che allora era considerata commercialmente “tollerabile”: è il brano Like a Rolling Stone del 1965 – peraltro citato da Franco Battiato, recentemente scomparso, nel testo della sua Cuccurucucù. Nonché, l’anno successivo, il primo album doppio nella storia della musica rock: Blonde on Blonde; mentre il video promozionale di Subterranean Homesick Blues si può considerare di fatto come il primo videoclip prodotto da un cantante. Bob Dylan “ha creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana” recita la menzione per il Premio Nobel della Letteratura, conferitogli nel 2016; riconoscimento che va ad aggiungersi ai più prestigiosi premi internazionali: dall’Oscar nel 2001 per il brano Things Have Changed, inserito nella colonna sonora del film Wonder Boys, per cui si aggiudicò anche il Golden Globe; al Pulitzer nel 2008 e ai dieci Grammy Award, di cui nel 1991 quello alla carriera; solo per citare i riconoscimenti più ambiti al mondo.
Dopo alcuni concerti al Greenwich Village di Manhattan a New York, il giovane artista incide il suo primo album nel 1961 tra melodie folk e blues, intitolato semplicemente Bob Dylan, con scarso successo, al punto da rischiare che la casa discografica gli stracciasse in faccia il contratto appena firmato. Andò decisamente meglio con il secondo album, che conteneva fra l’altro il capolavoro musicale Blowin’ in the Wind, manifesto del pacifismo e successo internazionale. Da qui, anche il suo impegno politico in difesa dei diritti civili, spesso accanto a Joan Baez nelle manifestazioni e nei concerti, compreso la Marcia su Washington con Martin Luther King e il suo celebre discorso I have a Dream. Anche se in seguito si sentì, a torto o a ragione, manipolato dallo stesso movimento di protesta che aveva appoggiato in tante occasioni, abbandonandolo. Segue un periodo artistico più “romantico” o riecheggiante il rock and roll, fino alla svolta “elettrica” e acustica, con venature di surrealismo e misticismo, per arrivare a Mr. Tambourine Man. Con Like a Rolling Stone raggiunge il punto del successo universalmente riconosciuto.
Dopo il tour europeo e il ritorno negli Usa, un incidente motociclistico crea un alone di mistero sulle cause e sulle conseguenze, anche con la sua “complicità”, cui seguirà un periodo “country” di ritorno alle origini e poi la composizione dell’intimista Forever Young, proposta in due diverse versioni, nel 1974. È lo stesso anno in cui decide di ritirarsi dalla vita pubblica; l’anno dopo incide Hurricane, tornando alla canzone di protesta e a raccogliere successo. Nel 1978 abbraccia con convinzione il Cristianesimo, sottolineando dal punto di vista musicale questa scelta con gli album gospel Slow Train Coming e Saved, mentre negli anni Ottanta è fra gli artisti che aderiscono al progetto musicale benefico di We are the World contro la carestia in Africa. E nel 1988 parte quel Never Ending Tour di cui ancora non è stata decretata ufficialmente la fine – ultimo concerto finora nel 2019, con oltre tremila show in totale –, alla vigilia dello spegnimento delle ottanta candeline sulla torta di Bob Dylan.